Nota per i miei allievi
passati e futuri dei corsi di scrittura creativa: se mai vi venisse in mente di
scrivere un romanzo con un qualsiasi io
narrante che si rivolge ad una qualsiasi seconda persona singolare (sul tipo: “Ma dove cazzo sei? Ti ho telefonato almeno quattro volte, non rispondi
mai.” Eccetera eccetera), perlomeno siate consapevoli che il risultato
finale sarà immancabilmente una sega.
Non a caso la citazione in
corsivo del paragrafo precedente è l’incipit
di questo Gli sdraiati, romanzo (?) di
Michele Serra che è stato uno dei
fenomeni editoriali degli ultimi tempi.
E come al solito, dopo averlo
letto non ne capisco il perché.
In quarta di copertina hanno
scritto, testuali parole, “romanzo
comico”. Comico? Come dire “divertente” del funerale di un bambino. Nel
corso di tutte le stiracchiate
centootto pagine, molte delle quali bianche e altre con miseri trafiletti di una
sottotrama in divenire, il testo non mi ha strappato lo straccio di un sorriso,
ma ha anzi innescato una depressione montante intercalata al desiderio di
piantarlo a metà, tant’è vero che nella seconda parte ho direttamente saltato
diversi brani per arrivare alla fine il più in fretta possibile e finalmente
dimenticarmene.
Nel descrivere la generazione
attuale degli adolescenti (ma quale? Immagino solo quella ristretta al suo
microcosmo e dovutamente esagerata), Michele Serra ha infarcito il testo di una
sfilza di ovvietà mimetizzate dall’attualità e gonfiate al vano scopo di far
sorridere. Dal punto di vista concettuale ha finito col generalizzare una
situazione particolare: se tuo figlio è venuto su a cazzo di cane e non sei
stato capace di metterlo in riga, non è detto che tutti i figli siano così.
Per non parlare del
compiacimento narcisistico nell’usare
un linguaggio ricercato da “guarda quanto
sono colto… io sono un giornalista famoso, mica cazzi!”, o nel riempire due o tre
pagine fitte usando solo la virgola come segno interpuntivo.
Dopo averne sentito parlare
parecchio mi ero creato diverse aspettative su questo testo, che sono state
miseramente deluse fin dalle prime pagine: un libro noiosissimo per quanto corto (fortunatamente!), e deprimente nel
senso più deteriore del termine alla faccia del presunto “comico”.
E la domanda resta: com’è
possibile che un libro del genere venda
e diventi un caso editoriale? Solo perché chi l’ha scritto è conosciuto? Va bene
che per la stessa ragione vendono anche Bruno
Vespa o Francesco Totti, ma non
basterebbe questo a farne disconoscere gli autori e a mandarli a zappare la
terra invece di continuare a influenzare malamente le opinioni di un popolo
ormai miseramente televisivo?
Il Lettore deluso