lunedì 30 aprile 2018

Sfida totale


Questi scrittori che dopo cinque anni dalla loro morte pubblicano ancora mi stupiscono non poco.
E sembra pure che nel redigere questo libro sia stato “solo” aiutato da Mark Greaney, visto che mettono soltanto un “con” prima del suo nome (in piccolo) nel titolo. Come se l’avesse scritto realmente il defunto Tom Clancy e Greaney avesse fornito giusto un aiutino.
Fatto sta che lo stile è quello di Clancy, i personaggi principali li ha creati lui, la tecnica di costruzione del libro pure e potrebbe sembrare in effetti che il romanzo lo abbia scritto lui stesso. Se non fosse già morto da un pezzo.
Il fatto è che Clancy oltre ai suoi personaggi ha contribuito a creare anche un caposaldo dell’editoria americana che sarebbe un peccato smettere di sfruttare, e allora mettiamo pure in bella vista il suo nome, l’importante è che la Rubicon Inc. continui a vendere come quando il suo principale creatore di introiti era ancora vivo.



Perché dietro c’è un impero non da poco basato sulla costruzione letteraria, dai romanzi ai film, dai videogiochi alle sceneggiature ai saggi, tutti imperniati sul genere techno-thriller del quale Clancy è stato il precursore.
E ci sono personaggi seriali che hanno saputo conquistarsi il favore dei lettori a partire da Jack Ryan, l’uomo qualsiasi arrivato a diventare pluri-presidente degli Stati Uniti, proseguendo con il letale John Clark, l’efficiente Dingo Chavez e altri ancora, per finire con Jack Ryan Junior, il figlio del Presidente che ha intrapreso la carriera di agente segreto. Tutti personaggi che nel corso di parecchi romanzi sono passati attraverso evoluzioni personali che ne hanno definito le più particolari caratteristiche e hanno contribuito a far affezionare i lettori.
Mark Greaney è stato bravo a riprendere tutte quelle peculiarità e ad ampliarle sull’onda impostata da Clancy che è quella del dare peso al coinvolgimento personale facendo muovere i personaggi dell’autore primigenio su trame dettate dalla politica internazionale: prima i russi al termine della Guerra Fredda, poi la lotta contro la droga, la Cina e il terrorismo (di volta in volta nel corso di diversi romanzi). Per finire con gli attualissimi contrasti degli Stati Uniti con la Corea del Nord. Attualissimi e già obsoleti, a sentire le ultime notizie (reali) di distensione tra le due Coree e il resto del mondo.
Nella corsa romanzesca del regime coreano a cercare di sfruttare immensi giacimenti di terre rare e trovare quindi i soldi per approfondire un programma nucleare si intromettono i soliti agenti segreti statunitensi (quelli del “Campus” e già protagonisti degli altri romanzi), e l’intelligence coreana decide allora di eliminare direttamente il Presidente degli Stati Uniti facendo esplodere una grossa bomba nel corso di una visita di Jack Ryan a Città del Messico. Ovviamente Ryan si salva e l’autore sposta l’attenzione del lettore sulla vendetta a cui darà corso e su altre vicende strettamente personali. Come riusciranno i “nostri” a scoprire e neutralizzare gli attentatori?  Riuscirà il direttore della miniera di terre rare a salvarsi nonostante il dittatore Choi Ji-hoon, alter ego del reale Kim Jong-un, lo abbia già praticamente condannato a morte? Riuscirà la spia americana infiltrata a scappare dalla Corea del Nord?
Facendo ricorso ai più moderni ritrovati tecnologici le azioni intraprese andranno quasi tutte in porto, in un succedersi di azioni scontate e già viste in passato (ma che sono in ogni caso scritte bene), in un romanzetto che si legge, sì, ma che alla fine risulta abbastanza monotono nonostante l’azione e moderatamente deludente. Tanto è vero che per terminarlo, come ho anticipato la settimana scorsa, ci ho messo quindici giorni.
Nulla a che vedere con i primi romanzi del vero Clancy, quelli per i quali è diventato meritatamente famoso.
Il Lettore 

domenica 22 aprile 2018

Giallo d’Ischia



Buongiorno e buona domenica a tutti voi che state leggendo. È un pezzetto che non ci sentiamo, ma sono dieci giorni che sono impegnato con lavori dentro casa e quando hai gli idraulici in giro devi stare ai loro comodi. Arriva la sera che sono sfinito e riesco a leggere al massimo due pagine prima di crollare esanime. Per questo motivo i libri da recensire sono calati considerevolmente e per almeno un paio di settimane prevedo che continuerà così.
Allora oggi, al posto del consueto Squizzalibro domenicale, recensisco un libro che mi è arrivato fresco fresco proprio ieri per posta, con tanto di dedica personalizzata. Tranquilli, mi è arrivato in forma cartacea appena ieri, ma posso già farne la recensione perché io lo ho già letto qualche mese fa, in formato digitale, quando l’autore me lo ha inviato per posta elettronica chiedendomi cosa ne pensassi.
Ora che è stato pubblicato lo voglio rileggere per la seconda volta, se non altro per accertarmi del come Massimo Bertarelli vi ha operato le piccole modifiche su cui allora gli avevo consigliato di mettere mano.


Solo piccole, perché non c’era bisogno d’altro, in quanto il giallo era già ben costruito fin dall’inizio. E non avrebbe potuto essere altrimenti, dal momento stesso che mi ci ha chiesto un parere sopra. L’autore sapeva benissimo che se ci fosse stato qualcosa da criticare non glielo avrei mandato a dire, per cui ha avuto l’accortezza di spedirmi una versione già pronta per la stampa, riveduta, corretta e riguardata più volte, nella quale, ovviamente, ho trovato qualcosa da dire solamente per piccoli aggiustamenti di tiro poco influenti nel disegno complessivo. Bene così.
Giallo d’Ischia è un romanzo gradevole, nel quale i personaggi rimangono simpatici (anche alcuni “cattivi”), non sono supereroi e restano sempre con i piedi per terra. Massimo Bertarelli per fortuna non si è lasciato influenzare dall’onda anomala del “bisogna stupire il lettore ad ogni costo” e ha dato vita a personaggi comuni, con modi di fare comuni, con abitudini, vizi e virtù propri della vita di tutti i giorni. E li ha fatti muovere nello stupendo ambiente ischitano sulle note di una vicenda intrigante.
Lui, nordico di Monza. Della Brianza velenosa, come diceva il buon vecchio Lucio. Alla prima occasione (e capiterà, non dubitate) mi dovrò far spiegare da dove è nata l’idea di questo romanzo ambientato così lontano dai luoghi dove abita l’autore. Da un ciclo di terme? Da una vacanza isolana? Da un viaggio alla scoperta del nostro Sud? La cosa mi incuriosisce non poco e capiterà l’occasione di togliersi i dubbi.
Lasciati i panni di Ugo, il colto clochard protagonista di un altro suo romanzo, Massimo Bertarelli si cala all’interno dell’indagine per un omicidio nella quale hanno sostanziale rilevanza antichi reperti storici trovati sull’isola e i loschi traffici della camorra locale. A capo dell’indagine c’è il Commissario Domenico “Mimmo” Criscuolo (stazza sui cento chili, amante della buona tavola e della semplicità), e il morto (forse incidentato, ma forse anche ammazzato) è un semplice (forse) pescatore di nome Catello Iodice. Criscuolo è circondato da una schiera di umanissimi e credibili gregari, tra due dei quali l’autore fa sbocciare anche l’amore, che si muovono in modo del tutto consono a un’indagine di pubblica sicurezza. Nel cercare di scoprire la verità sulla morte dello Iodice emergono man mano altri fatti e personaggi sui quali il lettore è portato a riflettere e a chiedersi come siano coinvolti nella vicenda. Come dicevo prima: non stupire, ma interessare.
Un romanzo leggero e piacevole, senza la pretesa da concorso letterario di voler fornire importanti e profondi significati a carattere sociale/umanitario/politico più o meno nascosti, ma il cui pregio più rilevante è proprio ciò che è: un romanzo giallo gradevole da leggere, interessante e scritto bene.
Conoscendo alcune delle letture personali dell’autore, ricordo che mentre lo leggevo mi è venuta in mente l’influenza che altri scrittori possono esercitare sulla persona che sta scrivendo: questo Giallo d’Ischia mi ha fatto pensare ad Andrea Camilleri per il modo di costruire la vicenda poliziesca e i personaggi di contorno, ma anche a Maurizio De Giovanni per i capitoletti autoriali nei quali il narratore onnisciente sottolinea alcuni aspetti misteriosi della vicenda. Del resto, il “voglio vedere se riesco a fare come lui perché mi è piaciuto” è importante per ogni persona che si accinge a scrivere.
Notizia dell’ultima ora: mi hanno informato da poco che un altro romanzo di Massimo Bertarelli ha incontrato la via della pubblicazione. Altro romanzo che ancora una volta io ho già letto, avendomene l’autore chiesto un parere preventivo anche in questo caso. Lo recensirò su queste pagine nel momento in cui sarà dato alle stampe, ma posso anticipare che, se l’autore per Giallo d’Ischia ha preso spunto per lo stile da Camilleri e De Giovanni, per quello ancora da pubblicare si è lasciato influenzare da Lee Child.
E visto che gli riesce bene: vai, continua così!
Il Lettore 


lunedì 9 aprile 2018

Perché scrivere


Zadie Smith, diventata nota al pubblico fin dal suo primo romanzo Denti Bianchi, è una delle scrittrici britanniche moderne più rinomate e questo libretto raccoglie due delle lectio magistralis che tiene ogni tanto in giro per il mondo.
Nella prima lezione si domanda qual è il motivo che porta gli scrittori ad imbrattare fogli di carta al giorno d’oggi, mentre nella seconda analizza le possibili cause degli inevitabili (quasi sempre) fallimenti.



Questa scrittrice è diventata famosa prima dei suoi 25 anni e a 30 già insegnava e si è data alla carriera di critico culturale. Va be’. Non avendo mai letto (prima) niente di suo non mi dilungo oltre.
In effetti questo librettino di una settantina di pagine è scritto e si legge bene. In entrambi i saggi la Smith si pone una serie di domande sul senso della scrittura nel momento attuale, con i potenziali lettori obbligati a leggere sempre più velocemente e sui più svariati argomenti; spinti a decidere fin dalla prima riga se vale la pena o no di proseguire a perdere tempo o passare ad un’altra lettura in rete; quali sono le motivazioni che spingono a decidere che una persona valga più di un’altra come scrittore; cosa significa padroneggiare la tecnica; come fare tesoro delle stroncature eccetera.
Sia nel primo che nel secondo saggio, facendo ricorso a citazioni di autori passati, si interroga e interroga il lettore su molti argomenti che qualsiasi (o quasi) scrittore pone ai primi posti nelle domande che fa a se stesso.
Domande importanti per qualsiasi intellettuale, spunti di riflessione interessanti. Ha senso al giorno d’oggi fare una scrittura politica? Qual è lo scopo filosofico dello scrivere al giorno d’oggi?
Ovviamente la scrittrice lancia le domande ma non fornisce nessuna risposta. Che intellettuali saremmo se non sapessimo trovare le risposte da soli, ognuno quella buona per se stessi e basta?
Si mostra leggermente più decisa solo nel secondo saggio, intitolato Il fallimento riuscito, nel quale tra altre cose analizza anche il modo di fare critica letteraria (o toh!, anche questo mi coinvolge direttamente…).
Ma anche in questo caso rimanda il compito di enunciare alcuni concetti fondamentali a chi in passato ne ha già trattato a fondo. Personaggi del calibro di T. S. Eliot o Roland Barthes, tanto per dare un’idea, per concludere con le parole di Virginia Woolf che ribadiscono (quello che dico sempre ai miei allievi) come in fondo qualsiasi critica sia soggettiva e opinabile, e comunque non criticabile: “[…] e ancora più difficile è poter dire: «Non soltanto è un libro di questo tipo, ma il suo valore è questo; qui sbaglia; qui è riuscito; questo non va; questo va». Per potere adempiere questa parte del compito del lettore, bisogna avere tanta immaginazione, intuito, ed erudizione, che quasi non si riesce a concepire una mente umana abbastanza dotata; nemmeno i lettori più sicuri di se stessi oserebbero vantarsi di possedere tutte queste qualità […] E anche se i risultati sono disgustosi, e i nostri giudizi sbagliati, è sempre il nostro gusto, quel nervo della sensazione che ci manda i suoi impulsi, a offrirci la fondamentale illuminazione; impariamo attraverso il sentimento; non possiamo sopprimere la nostra idiosincrasia senza impoverirla.”
Come riuscire a non dire nulla di nuovo e farcisi pure pagare sopra. Ma perlomeno l’ha detto bene.
Il Lettore 



martedì 3 aprile 2018

Tipi non comuni


Pensavo fosse un romanzo e al secondo capitolo, quando salta improvvisamente di palo in frasca, non ci stavo capendo più nulla. Poi ho scoperto che Tipi non comuni non è un romanzo ma una raccolta di racconti.
Tutto questo perché ho cominciato a leggerlo senza informarmi prima ma incuriosito soltanto dal nome dell’autore. E che nome! Una persona che nei primi tempi mi era sembrata leggermente antipatica, ma che dopo aver visto Forrest Gump (che con la complicità del mio bimbo — al quale è piaciuto molto — mi sono sorbito almeno una decina di volte), è diventato uno dei miei attori preferiti i cui films sono da guardare a scatola chiusa.
Ebbene sì, ora si è messo a scrivere anche il pluri-oscariato Tom Hanks. Dopo essere morto di Aids come Andrew, dopo aver impersonato il diversamente intelligente Forrest, dopo essere precipitato su un’isola deserta come Chuck, dopo essere riuscito a rientrare sulla terra da Jim per finire abbandonato in un aeroporto da Viktor, aver fatto da balia a Leonardo di Caprio e aver impersonato anche il dottor Robert Langdon, dopo aver salvato centinaia di persone nei panni di Sully, ora si è messo a scrivere.
Quando uno si è già divertito a fare l’attore, il regista, lo sceneggiatore e il produttore, non gli resta altro che crearsi da solo le storie da tramutare in film.



E devo dire che ha scritto questi racconti anche molto bene, con una prosa semplice e azzeccata, senza alcun manierismo arzigogolato da scrittore da concorsi letterari, lasciando libero sfogo alla fantasia per quanto riguarda temi, protagonisti e ambientazioni.
Si passa da giovani coppie in crisi ad astronauti fai-da-te, da romantiche scrittrici sull’orlo della depressione a figli con mamme realizzate e iperattive, spaziando alla grande sui luoghi e sulle contestualizzazioni.
Il filo comune che lega i racconti è che in ognuno vengono in qualche modo tirate in ballo le macchine da scrivere. Una o più di una, come solo accenno o da protagoniste, questi attrezzi ormai non più necessari vengono trasformati nei personaggi di un mondo sorpassato ma per il quale ancora si prova della nostalgia se non un attaccamento difficile da sradicare.
Racconti simpatici, leggibilissimi, ma che non rientrano nel novero dei racconti che preferisco per due aspetti importanti: il primo è che a me piacciono soprattutto le storie con un plot finale, un sia pur minimo colpo di scena che spiazzi il lettore, e invece queste hanno un tono vagamente minimalistico, cioè inquadrano un aspetto circoscritto di una situazione nel suo evolversi. Il secondo è che le contestualizzazioni sono tipicamente americane, con modi di fare, usi consolidati e abitudini proprie del sistema di vita statunitense che trovano poco riscontro nelle varie altre parti del mondo.
Dobbiamo fargliene una colpa? Assolutamente no! Del resto se uno è nato, cresciuto e si è realizzato alla grande negli Stati Uniti buon per lui. Il minimalismo l’hanno consacrato lì così come l’obesità adolescenziale e non sarò certo io, da buon italiano provincialotto, a dire che sono esempi da non seguire. E del resto Tom Hanks è sempre riuscito perfettamente ad incarnare l’americano medio.
Dei suoi ultimi films mi è rimasto da vedere Sully, in cui dà mostra della fulminea capacità decisionale dell’anzianotto pilota che è atterrato senza motori in pieno fiume Hudson nel bel mezzo di New York salvando l’aereo insieme a tutti i suoi occupanti. Vicenda da eroe anche questa tipicamente americana. Ma sono convinto che ne devono aver fatto un bel film. Su Netflix o qualcosa di simile lo troverò senz’altro.
Il Lettore 


domenica 1 aprile 2018

Lo Squizzalibro di domenica 1 aprile 2018


Buona Pasqua e buon primo d’aprile. Io non sono molto portato né per la religione né per gli scherzi, non amo farli e neanche riceverne, quindi trattiamola come una domenica piovosa qualsiasi e speriamo bene.
In compenso mentre scrivo sto mangiando la torta di Pasqua che abbiamo fatto ieri: le inevitabili sia pur minime variazioni nella realizzazione non l’hanno resa perfetta, dovremo tenerne conto l’anno prossimo. Ho anche assaggiato i primi asparagi di produzione propria, ma il freddo di questi giorni ne avrà già fermato la crescita e temo che la loro stagione sarà pessima come anno scorso. Fanculo.
Perlomeno ci fossero le letture a risollevare il morale, ma anche quelle si sono schierate dalla parte deprimente e un libro veramente buono non capita più tanto spesso.
Cambierà. Pazientiamo e basta. Intanto beccatevi questo quiz pasquale.




1 – Oggi parliamo di un libro di racconti.
2 – L’autore è ancora una volta statunitense e molto famoso. Ma mooolto famoso. Ma proprio famoso famosissimo. Lo conoscete tutti di sicuro, come uno di famiglia.
3 – Ma il suo mestiere non è quello di scrivere. È diventato famoso in tutt’altro campo, nel quale è proprio ai vertici della categoria avendo già conseguito reiteratamente quei riconoscimenti che vengono assegnati ai migliori, ai top dei top.
4 – Ovvio. Un libro di racconti vende solo se sei già conosciuto, sia in campo letterario che per qualsiasi altra cosa tu abbia fatto. Ha venduto non poco anche la raccolta di barzellette di Totti. Puoi anche essere il più bravo scrittore di questa terra, ma se non sei già famoso col cazzo che vendi un libro di racconti. Tanto per dare un’idea cambiando ancora settore, il nostro è famoso quanto un Usain Bolt, e se si fosse trattato di un politico sarebbe al livello di un Trump o di un Putin.
5 – Come tutti i libri di racconti che si rispettino, l’oggetto del contendere ha un filo conduttore che in questo caso è rappresentato da un attrezzo, un arnese comune di quelli che tutti abbiamo o abbiamo avuto nelle nostre case. Un aggeggio obsoleto, ormai passato di moda e diventato pressoché inutile ma che annovera una folta schiera di amatori nostalgici. Un po’ come i maschietti amanti della rasatura tradizionale che non sanno rassegnarsi ad abbandonare i vecchi sistemi per passare ai multilama usa e getta.
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