Nel 1983, in seguito all’uscita
di questo romanzo di Walter Tevis,
si scatenò una diatriba sul perché nel gioco degli scacchi le donne non fossero
mai riuscite a raggiungere gli stessi livelli degli uomini.
Vennero tirate in ballo differenze
nella bravura, ma andando a scavare
la teoria non reggeva. Si dette la colpa all’intuizione, che secondo alcuni nelle giocatrici era carente, ma
anche questa ipotesi non trovò suffragio. Fu una donna che andò a cercare la
soluzione nelle mestruazioni, ma
anche questa era sbagliata.
A parer mio in uno “sport della mente”, come da anni
vengono riconosciuti gli scacchi e il bridge,
la ragione della differenza di rendimento tra uomini e donne va individuata
nella diversa capacità di mantenere un
altissimo livello di concentrazione
per lunghi periodi.
Tutte le donne che ho avuto
l’onore di avere come partner bridgistiche in tornei
ufficiali, pur non mancando affatto di una consistente dose di bravura non di rado superiore alla mia, nel corso di sedute di gioco che arrivavano spesso a
sfiorare le 6-7 ore consecutive incappavano sempre
in quel quarto d’ora in cui la loro mente se ne andava a viaggiare su altri
lidi, dando origine talvolta a disastri irrimediabili. Non chiedetemi perché. Ho
imparato che la mente femminile è fatta così, non ve la prendete con me.
(A proposito di
concentrazione sul gioco ricordo ancora una partita libera in cui ero al tavolo contro
quella che sarebbe poi diventata mia suocera. Era il suo turno di giocare, e la
vedevo assorta in una lunga riflessione con gli occhi sul ventaglio delle
proprie carte, tanto da farmi traversare la mente dalla maligna considerazione:
“ be’, finalmente sta pensando…”. Dopo
un intervallo di una lunghezza tale che se fossimo stati in torneo avrebbe infranto
la liceità, finalmente alzò gli occhi verso la sua compagna ed esclamò: “Pensavo a quanto era carino quel maglioncino che avevi l’altro
giorno!”).
Ma torniamo al libro, che
merita.
La
regina degli scacchi è
uno splendido romanzo che racconta di come una bambina relegata in un
orfanotrofio abbia imparato da piccola a giocare a scacchi e abbia perseverato
tra mille difficoltà fino al punto, dopo pochi anni, di diventarne campione
mondiale. Detta così in poche parole può sembrare riduttiva, ma vi assicuro che
Walter Tevis è riuscito ad
inserirci una serie di vicissitudini e di sentimenti che rendono questa trama
densa di lotta, di sofferenze, di patimenti, di tenacia e riscatti personali,
di indagini nei meccanismi psicologici dei combattimenti su scacchiera. Un
libro profondo, che non a caso fa venire in mente le lotte politiche
internazionali e quel Bobby Fischer
che con tutta probabilità è stato il più grande giocatore di scacchi di tutti i
tempi.
Lo stile è avvincente,
senza alcuna concessione all’autorialismo, nessun concetto “gentilmente”
elargito dal narratore. Tevis ti accalappia all’inizio senza farsi affatto percepire,
e ti “costringe” a seguirlo fino alla fine emozionandoti nel contempo.
Del resto che cosa ci si sarebbe
potuti aspettare dall’autore di quel fantastico L’uomo che cadde sulla terra? Una storia in cui la figura del
protagonista alieno è dipinta con una bravura tale da far percepire al lettore tutta
la fragilità e la malinconia che pervadono l’extraterrestre, il suo
spaesamento, la disperazione di chi sa che non rivedrà più la sua terra. Bellissimo,
un pugno in faccia a tutti quelli che considerano la fantascienza come una
categoria di secondo livello.
E molte persone non sanno
che Tevis è l’autore del romanzo Lo
spaccone, da cui l’omonimo e indimenticabile film con Paul Newman come protagonista, nonché del sequel Il colore dei soldi.
La
regina degli scacchi non
è un “semplice” romanzo, così come gli altri romanzi di Tevis non sono “semplici”
opere di fantascienza: Tevis faceva letteratura,
e di altissimo livello. Leggi un suo romanzo e questo ti resta dentro, ti ci
interroghi sopra, ne assapori stile e contenuti per parecchio tempo dopo averlo
terminato.
Con lo stesso titolo è
anche uscito un film della regista Claudia Florio nel 2002, ma la vicenda non è
quella del romanzo.
Il Lettore