martedì 30 maggio 2017

Le sei mogli di Enrico VIII

Enrico VIII d’Inghilterra è stato uno dei monarchi più conosciuti e dibattuti di tutti i tempi. Secondo re della dinastia Tudor e noto anche per aver dato vita alla Chiesa Anglicana (pur essendo sempre stato un fervente cattolico), è diventato famoso soprattutto per aver avuto ben sei mogli, delle quali una è morta di parto, due le ha ripudiate, due le fatte decapitare e solo l’ultima gli è sopravvissuta.
All’epoca non si andava tanto per il sottile, la parola femminicidio non era ancora entrata nel dizionario, e in ogni caso un monarca detentore del potere assoluto poteva permettersi qualsiasi nefandezza senza alcuna conseguenza.


Questo ponderoso saggio storico di Antonia Fraser non è un pezzo di storia romanzata, è solamente storia, senza alcun infiocchettamento, e per questo motivo non risulta facile da leggere. La Fraser fornisce una quantità impressionante di notizie documentate e un po’ per questo, un po’ per lo stile leggermente caotico e confusionario, un po’ per la presenza di numerosissime note, la lettura non è che possa essere considerata tutto questo gran piacere. E il fatto che badi quasi esclusivamente ai fatti avvenuti e al gossip della corte cinquecentesca le fa tralasciare l’introspezione psicologica delle donne protagoniste.

Per fornire il maggior numero di informazioni possibile l’autrice ha inserito una quantità di note numerate a fondo libro, e se queste nel corso della lettura si possono tranquillamente saltare non è così per tutte quelle a fondo pagina segnalate da asterischi. Perlomeno io non ci riesco a ignorarle, e quindi la lettura ne risulta spezzettata.
Inoltre i periodi principali sono intercalati da una miriade di subordinate che alle volte rendono difficile seguire il discorso principale. Non solo, non so se per colpa della Fraser o dei traduttori, qualche volta non si capisce proprio il senso di qualche frase. Una prova è questo brano che si riferisce alle vicissitudini matrimoniali del Duca di Suffolk, amico devoto di Enrico: “Per esempio, si era impegnato a sposare una ragazza e l’aveva messa incinta, poi l’aveva abbandonata per sposarne una zia di vent’anni più anziana, che aveva una grossa eredità, infine aveva fatto annullare il matrimonio in base alla parentela tra zia e nipote e, tenendosi il patrimonio della moglie, era tornato sui propri passi e aveva sposato la prima fidanzata…”. Che cosa significhi “aveva fatto annullare il matrimonio in base alla parentela tra zia e nipote” non è dato di capire e non lo sarà mai, al di là del sancire quanto il nobile fosse un bastardo nato e cresciuto.
Per questo motivo, dopo che per cinque sere sono stato costretto a rileggere le stesse tre pagine per farmele rimanere in mente, ho interrotto la lettura del libro senza essere arrivato nemmeno a metà, e nonostante mi interessasse il venire a conoscenza dei motivi (presunti) per i quali qualcuna delle mogli è stata mannaiata e qualcuna ripudiata.
Certo, reputo che sia oltremodo interessante documentarsi sulla storia di chi ci ha preceduto, anche in tempi e terre molto lontani dai nostri, ma a patto che chi ne scrive lo faccia in modo intrigante oltre chiaro, in modo da rendere il tutto piacevole. Al liceo ho avuto un professore di storia noiosissimo: sarà stato anche bravo, non lo metto in dubbio, ma la noia non ti fa proprio appassionare a qualsiasi materia.
Il Lettore 

mercoledì 24 maggio 2017

I padroni del mondo

Una volta, a long long time ago come direbbero gli inglesi nelle favole, quando tenevi i soldi in banca ti davano un minimo di interessi perché facevi loro un favore a permettere che conservassero i tuoi soldi. Perché nel frattempo li potevano usare guadagnandoci sopra. Ora, se affidi loro i tuoi soldi ci devi pagare pure sopra. Sono riusciti a ribaltare il concetto: non sei più tu che fai un favore a loro, ma sono loro che lo fanno a te e quindi devi compensarli. Becca su e porta a casa.
Non a caso il giornalista Luca Ciarrocca i banchieri li chiama banksters, accoppiando il termine banker con gangster. Altro che mafia! L’associazione a delinquere più grande e diffusa del mondo. E legalizzata, per giunta.




In questo I padroni del mondo, dal chiaro sottotitolo Come la cupola della finanza mondiale decide il destino dei governi e delle popolazioni, Ciarrocca analizza e descrive i meccanismi perversi della finanza a livello globale e come l’uno per cento della popolazione controlli la quasi totalità del denaro in circolazione nella più completa assenza di una parvenza di democrazia e anzi, riuscendo ad approfittarsi delle classi più povere e delle medie.
Un’analisi ampia e lucida, basata su riscontri oggettivi e che coinvolge l’intero pianeta all’insegna del concetto: comanda chi ha i soldi, e fanculo tutti gli altri. Comanda solo il capitalismo più sfrenato, un capitalismo che se ne frega della democrazia e che fa arrivare al governo degli stati solo chi può fare loro comodo mandando avanti leggi a loro favorevoli, che mette nelle posizioni di controllo persone ben addestrate a non provocare loro danni.
I banksters hanno fatto in modo di far legiferare in modo che se qualche scalzacane dei loro livelli medi riesce a mandare in malora una banca, tanto poi c’è il governo che la salva con i fondi di tutti; ma intanto se tu hai bisogno di un mutuo ti ipotecano la casa per il triplo della somma che ti serve. E l’assurdità è che hanno reso possibile anche il far coniare moneta dalle banche stesse, quando ciò dovrebbe essere esclusivo appannaggio di uno Stato. Tanto per fare un esempio: la Fed, la banca centrale americana, ovverossia l’organismo di controllo delle banche statunitensi, è stata creata dalle stesse maggiori banche statunitensi. Chi vuoi che controlli i controllori?
Certo è un libro che deprime perché una persona in buona fede non riuscirebbe mai a capacitarsi di essere nelle mani di delinquenti fatti e finiti (compresi soprattutto i politici), ma è scritto bene, in modo chiaro e semplice in modo che lo capisca anche chi non è al dentro dei segreti della finanza, e molto interessante anche per i non addetti ai lavori (come lo sono io).
Al termine Ciarrocca riporta anche dei possibili sistemi per salvare una situazione ormai deteriorata, uno dei quali è togliere al più presto alle banche la possibilità di creare moneta e rimetterla nelle mani del popolo.  
Un libro che tutti dovrebbero leggere, se non altro per avere, anche se come singoli poco di costruttivo possiamo fare, perlomeno la consapevolezza di come stanno le cose.
Il Lettore 

sabato 20 maggio 2017

L’unicorno

Con questo susseguirsi di giornate splendide è giocoforza, per chi ha un orto o un giardino, dover impiegare gran parte del tempo libero per svolgere i lavori all’aperto. Di conseguenza si relega il tempo per leggere al momento in cui ci si infila a letto e, già stanchi per la giornata di lavoro, si fa presto a crollare con la faccia sul libro.
Per questo motivo ci ho messo parecchio a terminare questo romanzo di James Lasdun, e anche perché, ad onta della smaccata pubblicità in copertina che recita “un romanzo che intrappola il lettore”, in realtà non è che “tiri” un granché e quindi il sonno vince facile.




Questo L’unicorno però un pregio ce l’ha: la prosa è squisita, formalmente è scritto benissimo, sia nella scelta della terminologia che nella sintassi, e a dirla tutta l’ho finito di leggere solo per questo, perché quanto alla vicenda raccontata non è che mi abbia coinvolto poi così tanto. Basato per la maggior parte sui pensieri e sulle ossessioni del protagonista narrante, un professore inglese trasferitosi a New York, e sui suoi rapporti con colleghi e conoscenti, il romanzo si perde in una miriade di flashback e fatterelli sparsi che per quanto raccontati in modo superbo finiscono col distogliere continuamente l’attenzione dalla linea narrativa principale, tanto che diverse volte sono dovuto tornare indietro per provare a raccapezzarmici. Complice anche il sonno.
Della tensione che il lato thrilling avrebbe dovuto innescare non ce n’è neanche l’ombra e quindi, per quanto il romanzo sia costruito davvero con una finezza di scrittura piuttosto rara da trovare, in definitiva l’ammirevole sforzo dell’autore si è risolto in un’opera che lascia il tempo che trova senza lasciare il segno.
Adesso devo trovare qualcos’altro per stasera, ma intanto bisogna mettere mano al rasaerba e al decespugliatore.
Il Lettore 

sabato 13 maggio 2017

Lo sterminatore

Pare che sotto lo pseudonimo di Andy McNab si nasconda un ex-sergente dello Special Air Service britannico, un po’ l’equivalente dei Navy Seals e della Delta Force statunitensi, corpo celebrato nella letteratura soprattutto da Frederic Forsyth e i membri del quale sembrano essere una via di mezzo tra Rambo e la versione buona di Darth Vader prima di abbandonarsi al Lato Oscuro della Forza.
Superuomini rotti a tutte le esperienze (da come li descrive Forsyth), combattenti addestratissimi in ogni disciplina, a loro agio sia in acqua sia in cielo e la cui fedeltà al corpo di appartenenza è pari solo al loro sapersi muovere nell’ombra e nel silenzio.
Tanti anni fa una mia amante mi disse che ero l’unico uomo di sua conoscenza che avrebbe visto bene a far parte della Legione Straniera (che sarebbe l’equivalente francese; e non so ancora adesso se lo intendesse come un complimento nei miei confronti o se sott-intendesse il desiderio di non avermi tra i piedi per almeno cinque anni), ma pur avendo già fatto a suo tempo un pensierino sulla Legione non credo che sarei riuscito a superare la fase di addestramento necessaria per entrare nel SAS.
Non per altro che per la miopia, che avete pensato?




Dopo essersi congedato dall’esercito Andy McNab ha pensato bene di mettersi a scrivere, e quale migliore background della sua carriera di veterano delle forze speciali? Il suo primo romanzo parzialmente autobiografico, Pattuglia Bravo Two Zero, ha avuto un immediato successo di pubblico, dopodiché ne ha scritti un’altra ventina tutti sullo stesso genere, inventandosi un protagonista seriale dall’originale nome di Nick Stone, con le sue stesse esperienze di vita, al quale affidare i casi più ostici e pericolosi. Meglio se c’è anche da ammazzare qualche “cattivo” senza stare troppo a pensarci sopra.
Ho già letto il primo romanzo di McNab e un paio dei successivi, e questo Lo sterminatore è del tutto sulla stessa linea dei precedenti. Stone è chiamato da un amico ad aiutarlo in un’azione da mercenari e, come in un film con il giovane Clint Eastwood, i due prima le buscano di brutto e poi trionfano alla grande (almeno in parte). Tutto nella norma, viva l’originalità.
Il romanzetto è leggero e la lettura anche scorrevole, l’autore si mostra abbastanza pragmatico e in fondo il libro si lascia leggere ma, dal momento che i paragoni vengono spontanei e tanto per restare nello stesso genere narrativo, anche se cominciasse a saltare a più non posso non riuscirebbe nemmeno ad arrivare a sfiorare il ginocchio di un Lee Child.
Child sa renderti interessante tutto ciò di cui parla e sa benissimo quando è il momento di tralasciare e quando di insistere, e dove lo fa ti rende tutto più chiaro. McNab insiste dove non dovrebbe con il risultato di annoiarti quando vorresti invece andare avanti veloce e trasforma le scene di azione in un guazzabuglio di arti che si muovono senza scopo. Se Child ti spiega perfettamente le descrizioni degli strumenti utilizzati (armi, visori, grimaldelli, paracadute, bombe eccetera), con McNab hai difficoltà a capire se un certo numero è il calibro di una rivoltella o la combinazione di una cassaforte. Per non parlare delle sigle. Forse per apparire più professionale, in un eccesso di uso dell’ellisse McNab ha riempito il testo di acronimi e sigle per alcune delle quali a volte non fornisce nemmeno la spiegazione per esteso: andiamo alla DLB, hai preso la NCCT?, superiamo il VCT! A capire cosa significa DNA ci sono arrivato.
Da quanto ricordo della lettura degli altri romanzi di McNab che ho letto, questo Lo sterminatore è risultato nettamente inferiore come qualità e piacevolezza di lettura. Come al solito: la quantità è nemica della qualità, e anche i veterani invecchiano.
Il Lettore 

martedì 9 maggio 2017

Senza frontiere

 “Quanti front men di gruppi del progressive rock finiscono per formare un’associazione che affronta i grandi temi internazionali?”, si chiede a pagina 17 Daryl Easlea, l’autore di questo libro, unendo l’oggetto del testo a personaggi del calibro di Nelson Mandela, Desmond Tutu, Jimmy Carter e Kofi Annan.
E dal momento che il sottotitolo esaurientemente esplicativo recita Vita e musica di Peter Gabriel, non ci sono dubbi a capire di chi si sta parlando. I lettori più affezionati di questo blog già conoscono il mio amore per il progressive e per i Genesis in particolare, e capiranno bene il perché, appena venuto a conoscenza di questa nuova uscita, non ho potuto fare a meno di procurarmene una copia e leggerla bramoso, pur essendo già a conoscenza dei fatti salienti della narrazione.




Questo perché già posseggo quattro o cinque biografie dei Genesis e altre due o tre del solo Peter Gabriel e, per quanto si voglia rimescolare, i fatti delle loro vite quelli sono. Ma c’è modo e modo di raccontarli.
Daryl Easlea ripercorre tutta la vita di Peter Brian Gabriel in modo lineare e strettamente cronologico, dalla nascita ai tempi della Charterhouse – in cui tutti i Cartusiani erano sempre tragicamente indecisi se mettersi a piangere o masturbarsi –, dai primi approcci con quelli che saranno i suoi compagni d’avventura ai primi tentativi di diventare song writers, dalle iniziali difficoltà al successo sofferto e meritato. Il primo terzo del volume è dedicato interamente alla storia dei Genesis e della loro musica insuperabile fino al momento in cui P.G. deciderà di separarsi dal resto del gruppo e proseguire da solo per ragioni che sono ampiamente spiegate sia in questo libro che in molti altri.
Dopodiché, lasciati i Genesis, Gabriel continua in solitaria seguendo i suoi istinti e il suo modo di pensare, e  Daryl Easlea ci informa di tutti i dischi che ha pubblicato inserendo l’esegesi di ogni singolo brano oltre a una ristretta biografia di tutti i musicisti che vi hanno partecipato insieme ai loro rapporti con il nostro. Ci fa sapere delle sue esplorazioni, oltre che nel prog, nel rock, nel funky, nel punk e nella new wave per finire con l’amalgamarsi con la world music e il dedicarsi anima e corpo alle lotte per i diritti civili e umanitari.
Mentre leggevo non ho potuto fare a meno, man mano che veniva nominato un pezzo, di andare a riguardarne il video su Youtube (per questo sono in ritardo sulle pubblicazioni…) e gustarmi di nuovo, oltre alla musica e agli show spettacolari, tutti i numerosissimi cambiamenti intervenuti nella fisionomia di Gabriel in quasi cinquant’anni: da efebica silfide dai lunghi capelli scuri a nonnetto canuto e ben piazzato con barbetta, pancetta e pochi capelli tagliati alla marine, passando per le maschere più fantasiose e le incalcolabili trasformazioni. Ma nel mio immaginario resterà per sempre congelato nell’aspetto che mostrava la prima volta che l’ho visto dal vivo a Firenze, nel novembre 1993, nel tour di Secret World. E tutto sommato quella è stata una delle sue mise più “normali”.
Easlea ci racconta del successo planetario, delle esibizioni con le innovazioni tecnologiche dovute in gran parte al regista Robert Lepage: doppi palchi circolari e quadrati al cui interno gli artisti scompaiono inghiottiti da valigie che fanno accedere a botole, riprese con portable cam in diretta dal palcoscenico, vestiti costellati di luci, enormi bolle gonfiabili dal cui interno canta l’artista, smisurate calotte che vanno a nascondere l’intero palco, protagonisti che cantano mentre pedalano su biciclette o appesi a testa in giù a passerelle al di sopra del resto della band, gigantesche uova cosmiche che calano dal soffitto, fino al sottolineare la poliedricità e l’inventiva di un musicista eclettico, spinta fino al punto di abbandonare del tutto chitarre e batteria e affidarsi, anche nel memorabile concerto al David Letterman Show, all’accompagnamento di un’intera orchestra sinfonica.
Bel libro, straordinariamente particolareggiato e con le testimonianze dirette di una miriade di persone che indicano come l’autore abbia intervistato direttamente un mucchio di gente. Non è esente da difetti: la copertina è francamente brutta, con quella tripletta triangolare del nostro in differenti stadi di vita e carriera; vi sono tanti ma tanti refusi nella stampa che indicano la mancanza di un’adeguata cura editoriale e dal mero punto di vista del piacere di lettura risulterà anche leggermente noioso, proprio per la consistente mole di informazioni, a tutti coloro (miseri) che non sono Genesisiani convinti e non conoscono ancora tutti i fatti e personaggi di contorno alla vita dell’eroe.
Su Peter Gabriel potrei scrivere ancora per qualche giorno, ma adesso l’ascolto di Solsbury Hill ci sta proprio bene, fa allegria. Vi consiglio questa versione su Youtube, così avrete modo di erudirvi sulle varie fasi della vita del nostro e sui suoi aspetti nel corso dell’esistenza, e non solo, avrete una vaga idea di che cosa significava assistere dal vivo a un concerto di questo artista dall’impareggiabile senso dello spettacolo.
Il Lettore gabrielomane

domenica 7 maggio 2017

Lo Squizzalibro di domenica 7 maggio 2017

A volte ho un pizzico d’invidia nei confronti di tutti quelli che scrivono cazzate su Facebook pensando che gli altri amino condividerle. Anime semplici, per le quali poche cose sono importanti e vanno salvaguardate e diffuse a tutti i costi, e che fanno il paio con quelli per i quali è di fondamentale importanza far sapere a tutti i conoscenti come si sono svegliati quella mattina.
Ma solo un pizzico, di sfuggita (e solo perché invidio loro quella ristrettezza di pensiero che rende tutto più piacevole). In genere gli interventi di queste persone mi sfiorano senza toccarmi minimamente e anzi, molto spesso mi fanno imbestialire perché si impossessano di quella sia pur minuscola frazione del mio tempo necessaria per ignorarli e che avrei potuto impiegare invece per leggere qualcosa di più interessante.
Potenza della libertà di permettere a ognuno di poter esprimere tutto ciò che pensa. Ma se ritieni che uno muoia dalla voglia di sapere in quale stato d’animo sei quando ti alzi, perché non costruisci un sito o apri un blog in cui chiunque potrebbe andare a informarsi delle tue condizioni a cadenza regolare senza vedersi costretto a leggerle pur non desiderandolo affatto? Di volontà sua e, soprattutto, in modo da evitare di rompere le palle a tutti gli altri.
Certo, c’è la fatica di tenerlo aggiornato a ogni levar del sole, che non è poca, ma vuoi mettere quanti “ma vai a cagare…” ti risparmieresti?
Chi si collega a questo blog ci viene apposta, e di solito la domenica lo fa sapendo di andare incontro alla frustrazione di non riuscire a indovinare il titolo del libro proposto.
Dai che oggi è facile…




1 – Il libro da indovinare oggi è una biografia. Aridaje co’ ‘ste biografie, direte. Ma che volete farci, informarmi su vita morte e miracoli di persone interessanti lo trovo piacevole, soprattutto quando sono scritte bene.
2 – L’autore è inglese, pressoché sconosciuto ai più ma famoso nella cerchia ristretta della sua professione: critico musicale, deejay, redattore di riviste del settore e scrittore di biografie di personaggi legati al mondo della musica.
3 – Il personaggio sviscerato è un musicista che famoso è dire poco: può essere considerato una delle icone del ventesimo secolo, uno dei componenti sostanziali della musica contemporanea, un uomo che dapprima ha contribuito a creare uno dei complessi più importanti mai esistiti e che poi si è costruito una carriera da solista come poche altre, uno showman impareggiabile, una figura carismatica oltre che nella musica anche impegnata a tutto tondo in iniziative civili e umanitarie. Si è capito che mi piace un mucchio?
4 – Vi dirò di più: l’uomo di cui si narra la vita è vivo e attivissimo a tutt’oggi, costruisce musica insieme a professionisti del rock ma anche accompagnato da orchestre sinfoniche e i suoi concerti dal vivo sono uno spettacolo unico e indimenticabile. Potete credermi: negli ultimi venticinque anni sono andato a vederne di persona pirsonalmente almeno quattro o cinque, ognuno diverso dall’altro e tutti di livello stratosferico.
5 – Ancora di più, e poi non venite a dirmi che centellino le informazioni: l’oggetto del contendere è anch’esso inglese, ma dal momento che si è innamorato del nostro paese ha comprato casa in Sardegna e passa una gran parte del suo tempo qui da noi.
Facile, no? Se non proprio il titolo del libro e il suo autore non avrete di certo difficoltà a capire chi è il personaggio di cui si sta parlando.
Ma ora basta, fatemi tornare su Facebook che devo assolutamente bloccare qualche decina di account in modo da non vedere più le nefandezze che pubblicano. Vediamo: mio padre… mia madre… mio fratello…
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