Mi ci è voluto parecchio
anche per leggere questo romanzo, ma la cosa che alla fine viene da dire è: geniale.
È il primo attributo che mi viene in mente dopo
aver letto questo libro. Bisogna essere proprio un genio per scrivere un romanzo del genere. A una persona normale le
cose di cui tratta non verrebbero in mente.
Romanzo stranissimo ai limiti
dell’assurdo, La scopa del sistema è
il primo romanzo di David Foster Wallace,
scritto quando l’autore aveva solo 24 anni e che lo ha proiettato
immediatamente ai vertici della letteratura statunitense, facendolo diventare
un esponente di spicco della corrente letteraria avantpop. Il romanzo successivo, Infinite Jest, lo ha consacrato il personaggio più promettente
nella letteratura americana della sua generazione.
Dopodiché si è suicidato. Finiti i giochi.
In Questo romanzo si passa da
deserti neri creati artificialmente
a pappagallini parlanti che
diventano star televisive a nonne
cultrici di Wittgenstein che
scompaiono improvvisamente dall’ospizio in cui dovrebbero essere confinate,
transitando per innamoramenti folli e una miriade di personaggi uno più strano dell’altro di molti dei quali ammetto sinceramente di non aver neanche
capito bene la funzione e il perché del loro inserimento.
Comunque l’aspetto che mi ha
colpito di più nel romanzo è quello dei dialoghi:
finora di David Foster Wallace avevo
letto solo saggi senza “parlato” che
mi avevano colpito per lo stile e l’acume con cui aveva trattato argomenti tra
i più svariati, dalla letteratura alla filosofia al tennis alla critica
cinematografica, ma in effetti è proprio nella stesura dei dialoghi tra due o più persone che è risultato eccellere, non risultando mai banale e scontato e dando modo anche
di intuire le esitazioni, le ripetizioni e i momentanei controsensi di una
chiacchierata “vera”. Dovrò portarlo ad esempio di come si scrive un dialogo,
insieme a Ernest Hemingway e Ed McBain, nei miei corsi di scrittura.
Ma non solo: anche il
cambiare stile e forma letteraria
nei diversi capitoli, che richiede molta attenzione al lettore per restare al
passo, alla fine risulta gratificante (e non solo per essere riusciti a capire
il tutto).
Vi fornisco un esempio della
sua scrittura in un brano quasi “normale”, tanto per far capire come anche in
un semplice passaggio descrittivo ci
si trovi di fronte a uno scrittore che tanto normale non era: “L’improvviso impeto con cui il desiderio di
andare a vedere se le iniziali da me incise piú di vent’anni prima nello
sportello di uno dei gabinetti nel bagno dell’Art Building fossero ancora lí,
l’improvviso e inatteso e irresistibile impeto che mi aveva pervaso con tanta
urgenza appena sceso dal taxi, davanti al dormitorio, con Lenore, era una cosa
agghiacciante. Raggiunta che ebbi la serpentina di studenti che si snodava su
per il tutt’altro che mite pendio volto all’Art & Science Building, essi e
io parimenti impegnati nello sgraziato e fochesco passo di chi si inerpichi di
buona lena su per un tutt’altro che mite pendio, con la maggior parte di noi foche
evidentemente in ritardo per la lezione, e con una di noi in ritardo per
l’appuntamento con un circoscritto oceano di proprio passato, oceano disteso e
scrosciante accanto al graffitato pontile della sua infanzia e nel quale detta
particolare foca era in procinto di mescere un intenso (sperabilmente non bi-
né poliforcuto) fiotto della propria presenza, per dar prova di essere ancora,
e quindi d’essere stata – ammesso, ovviamente, che i bagni fossero ancora lí –,
raggiunta che ebbi la fila di foche in pantaloni corti e camicia a maniche
corte e scarpe da barca e zainetti, e mentre sentivo la paura che accompagnava
la e in parte dipendeva dalla intensità di sensazioni e desideri e via di
seguito che a loro volta accompagnavano persino il pensiero di uno stupido
gabinetto in uno stupido edificio di uno stupido college dove uno stupido
ragazzo triste aveva trascorso quattro anni vent’anni prima, mentre sentivo
tutte queste cose, dunque, mi venne in mente un fatto sul quale rifletto adesso
che mi trovo seduto sul letto della nostra stanza d’albergo, a scrivere, con la
televisione accesa a volume basso e con l’aguzzocrinito oggetto della mia
adorazione nonché centro assoluto della mia intera esistenza assopito e
lievemente russante accanto a me sul letto, un fatto della cui inconfutabile
verità sono ormai persuaso, e cioè che l’Amherst College nel 1960 sia stato per
me un divoratore del midollo emotivo, un edificatore di canyon psichici, un
istigatore del pendolo dell’Indole tramite la spranga dell’Eccesso.”
Notare la precisione di
assemblaggio, le invenzioni, i neologismi, lo sciabordante profluvio di
congiunzioni, le parole composte e le assurdità all’interno di un discorso
dalla sintassi perfettamente costruita oltre che chilometrica, con subordinate
a ripetizione ma perfettamente concatenate tra loro tramite una punteggiatura
perfetta. Trovo che un modo di scrivere così sia estremamente affascinante, anche se magari un po’
ostico da comprendere appieno.
Magari questo romanzo non mi è piaciuto del
tutto (forse proprio per la sua assurdità, forse perché io non sono abbastanza
geniale per comprenderlo appieno), ma l’ho trovato molto intrigante. In questo momento non me la sento di affrontare le
mille e passa pagine di Infinite Jest,
ma qualcos’altro di questo Autore rileggerò senz’altro a breve.
Il Lettore