Dopo la tragedia di Parigi sono apparsi sui giornali molti titoli che
recitano più o meno così:
“Perdonaci Oriana, avevi ragione”.
Ma sono sicuro che in molti
quei titoli non l’hanno capiti, perché Oriana
Fallaci è stato un personaggio talmente difficile che in tanti hanno scelto
di non leggerla mai, e molti di coloro che lo hanno fatto hanno poi preferito
attaccarla o perlomeno dimenticare subito ciò che aveva scritto.
Oriana
Fallaci è stata una
scrittrice scomoda, osteggiata da coloro che non hanno mai accettato il suo rifiuto di conformarsi ai dettami di
certe classi dirigenti, e fino ad ora non m’ero mai accinto a recensire un suo
libro, forse perché già solo il nome della più grande giornalista italiana mi
incuteva timore facendomi desistere dal solo tentare di esprimere qualche
pensiero sul suo modo sublime di scrivere. Un modo che mi ha colpito fin dalle
prime sue parole che ho letto, tanti anni fa, all’inizio dello splendido Il richiamo della foresta di Jack London, di cui costituivano quella
che più che una prefazione era una vera e propria opera letteraria a sé stante.
Un personaggio del quale ho amato la maggior parte dei libri che
ha scritto, e che schifata da come stavano andando, e ancora stanno, le cose
qui in Italia ha scelto un esilio volontario perché: “vivere gomito a gomito con un’Italia i cui ideali giacevano nella
spazzatura era diventato troppo difficile, troppo doloroso”.
E dopo quattordici anni le
cose sono anche peggiorate.
Di lei non ho mai scritto, e
non lo farò nemmeno ora.
Di questo La rabbia e l’orgoglio, buttato giù
all’indomani dell’11 settembre (o del 13 novembre?), non dirò nulla, se non: se
non l’avete ancora fatto, leggetelo.
Lettore
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