lunedì 16 novembre 2015

La rabbia e l’orgoglio

Dopo la tragedia di Parigi sono apparsi sui giornali molti titoli che recitano più o meno così:
Perdonaci Oriana, avevi ragione”.
Ma sono sicuro che in molti quei titoli non l’hanno capiti, perché Oriana Fallaci è stato un personaggio talmente difficile che in tanti hanno scelto di non leggerla mai, e molti di coloro che lo hanno fatto hanno poi preferito attaccarla o perlomeno dimenticare subito ciò che aveva scritto.




Oriana Fallaci è stata una scrittrice scomoda, osteggiata da coloro che non hanno mai accettato il suo rifiuto di conformarsi ai dettami di certe classi dirigenti, e fino ad ora non m’ero mai accinto a recensire un suo libro, forse perché già solo il nome della più grande giornalista italiana mi incuteva timore facendomi desistere dal solo tentare di esprimere qualche pensiero sul suo modo sublime di scrivere. Un modo che mi ha colpito fin dalle prime sue parole che ho letto, tanti anni fa, all’inizio dello splendido Il richiamo della foresta di Jack London, di cui costituivano quella che più che una prefazione era una vera e propria opera letteraria a sé stante.
Un personaggio del quale ho amato la maggior parte dei libri che ha scritto, e che schifata da come stavano andando, e ancora stanno, le cose qui in Italia ha scelto un esilio volontario perché: “vivere gomito a gomito con un’Italia i cui ideali giacevano nella spazzatura era diventato troppo difficile, troppo doloroso”.
E dopo quattordici anni le cose sono anche peggiorate.
Di lei non ho mai scritto, e non lo farò nemmeno ora.
Di questo La rabbia e l’orgoglio, buttato giù all’indomani dell’11 settembre (o del 13 novembre?), non dirò nulla, se non: se non l’avete ancora fatto, leggetelo.
Lettore

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