lunedì 30 giugno 2014

Aglio e zaffiri

In una delle mie rare uscite televisive (nel senso di quelle rare volte che guardo la televisione; mai stato dentro ad alcun programma), l’altra sera ho visto la finale di Masterchef USA con la vittoria del friulano Luca Manfè sull’altra finalista, l’antipaticissima Natascia. Ho sempre nutrito la profonda convinzione che trasmissioni del genere siano tutte taroccate e imbastite apposta, negli States come in Italy, ma una volta che ne sei consapevole te le puoi gustare senza false illusioni apprezzandone gli spunti simpatici.

Come potrete facilmente immaginare, a me piacciono soprattutto la capacità critica e la cattiveria dei tre giudici: Gordon Ramsey, Joe Bastianich e Graham Elliot.


Guardare la trasmissione gastronomica mi ha fatto tornare in mente il libro di cui oggi vi propongo la recensione: Aglio e zaffiri di Ruth Reichl, che avevo letto qualche anno fa: mi era piaciuto talmente tanto che una volta terminato avevo comperato anche gli altri due libri più famosi della stessa autrice: Confortatemi con le mele e La parte più tenera.
Aglio e zaffiri prende spunto dall’inaspettata assunzione dell’autrice da parte del New York Times, dove la chiamano a ricoprire il ruolo di critico gastronomico: in pratica, il giornale le chiede d’improvviso di sostenere la parte del critico più importante del mondo nel settore culinario. Ruth Reichl era già il critico gastronomico del Los Angeles Times, quindi non l’ultima arrivata, una giornalista quotata e abile nella sua specializzazione, e questo si può apprezzare nel suo modo di scrivere.
Nel libro, il gioco delle gag si sviluppa sull’intenzione dell’autrice di valutare i vari ristoranti di New York sia come critico del Times, sia come cliente qualunque, ferma nella convinzione di come la maggior parte dei ristoranti propinino cibi e trattamenti diversi in dipendenza del cliente. Prima ancora di arrivare a New York la Reichl scopre che tutti i ristoranti hanno in bacheca il suo ritratto, pronti a servirla e riverirla con tutti gli onori appena ne avrebbe varcato la soglia, e decide che avrebbe loro attribuito le famose “stelle” solo dopo averne assaggiato la cucina prima nella sua veste ufficiale e poi come cliente qualunque, ricorrendo spesso a travestimenti e modifiche dei tratti somatici da parte di abili truccatori per non farsi riconoscere.
Scopre così, e nel libro è abile a raccontarlo, che se al Le Cirque, uno dei più rinomati ristoranti newyorchesi da sempre detentore di ben quattro stelle, si presenta prenotando a suo nome, allora la fanno passare davanti al re di Spagna e le assegnano un tavolo centrale enorme e prestigioso con tutto il personale ai suoi piedi, ma se prenota come Signora Nessuno la costringono a tre quarti d’ora d’attesa sull’orario concordato, le strappano i menu dalle mani e non c’è traccia né del proprietario del ristorante né del sommelier che si erano prodigati la prima volta. Ruth Reichl è onesta nell’ammettere la suprema bontà dei cibi in entrambe le cene, ma dopo aver assaggiato anche il trattamento più sbrigativo riservato ai comuni mortali, le stelle del Le Cirque sono scese a 3.
E così via mangiando sia nei più noti che nei meno conosciuti locali della città più famosa del mondo, ricorrendo ai trucchi più svariati per non farsi riconoscere e poter scrivere quindi delle recensioni il più possibile oneste. Il libro è condito degli stessi articoli da lei pubblicati sul giornale, e qua e là dalle ricette che più l’hanno colpita nel corso della sua avventura.
Ho trovato questo resoconto veramente carino, soprattutto per un amante della buona cucina, scritto bene e stuzzicante per il modo in cui l’autrice riesce a farti percepire con le parole le caratteristiche peculiari dei piatti descritti.
E comunque... quanto mi piacerebbe far parte della giuria di Masterchef!
Il Lettore

sabato 28 giugno 2014

Un bel sogno d’amore

Nei giorni scorsi mi sono letto un altro romanzetto di Andrea Vitali, leggero e spumeggiante come suo solito. Non sarà famoso come altri dello scrittore bellanese, e nemmeno allo stesso livello qualitativo di Una finestra vista lago o Olive comprese, ma il suo dovere di farti passare qualche ora piacevole lo fa lo stesso.


Come dice il titolo, la vicenda principale del romanzo racconta della storia d’amore banalotta tra due compaesani, una volta tanto ambientata nella metà degli anni ’70 e non nel ventennio tra le due guerre.
Il filo della trama è molto tenue e tutto il romanzo si basa più che altro sulle gag, sul gioco degli equivoci e sulla caratterizzazione dei personaggi che Andrea Vitali prende pari pari dal suo ambulatorio per trasferirli sulla carta. La linea principale è arricchita da tutta una serie di vicissitudini laterali dei protagonisti: dallo scalcagnato delinquente locale alla bi-vedova pettegola al maresciallo dei carabinieri, che la rimpolpano con scenette anche carine ma forse tirate un po’ per le lunghe.
Lo stile è quello solito di Vitali: capitoli molto brevi, scene fugaci, quasi una sceneggiatura da fiction televisiva, che permettono una lettura veloce appena complicata dalla tecnica di non far capire, spesso, chi sia il soggetto dell’azione o nel dare enigmatici anticipi di episodi per poi chiarirli molto dopo.
Una lettura di certo non esaltante, ma leggera e piacevole.
Il Lettore

giovedì 26 giugno 2014

Lezioni (semiserie) di Scrittura Creativa - Terza Puntata


3 – I CONTENUTI
Ecco, paradossalmente questo è l’aspetto più importante dello scrivere ma del quale c’è meno bisogno di parlare.
Domanda: quand’è che un presunto Valutatore preposto a dare un giudizio sulla vostra opera comincerà a pensare seriamente al contenuto della stessa? Risposta: solo quando avrà terminato di leggerla. Solo allora ne valuterà l’omogeneità e la coerenza, lo spessore del contenuto.
Il problema non di poco conto è riuscire a farcelo arrivare, alla fine.
Quando valuto l’opera di un esordiente, per me è la stessa cosa se questa tratta delle avventure di una dama del Settecento o degli omicidi seriali di un killer psicopatico o di un saggio sulle variazioni ritmiche della musica dodecafonica (la casa editrice per cui leggo non ha mai pubblicato alcunché su quest’ultimo tema, nonostante ciò continuano ad arrivare scritti su argomenti del genere…): cerco di immergermi nella lettura e di lasciarmi trascinare dalle parole, cerco di farmi ammaliare dall’autore, di calarmi nell’opera, di riuscire ad interessarmi a ciò che leggo; sono aperto ad essere conquistato dalle successioni di frasi di qualsiasi cosa esse trattino.
Il fatto che questo non succeda quasi mai non è colpa mia. Giuro.
E in genere non succede per la scarsa cura con cui gli autori trattano i propri elaborati: la barbara impaginazione, la presenza di errori ortografici, grammaticali, sintattici, semantici, di refusi e frasi senza senso, di abbondanza di avverbi e/o aggettivi e/o eccessi di autoreferenzialità, di continue divagazioni fuori tema, di cazz… ehm, di scempiaggini insulse, di dialoghi improbabili non permettono il necessario calarsi all’interno della vicenda e impediscono quella lettura fluida che invece lo avrebbe consentito. Quando questi impedimenti sono presenti fin dalle prime pagine diventa giocoforza interrompere la lettura e catalogare l’elaborato tra le schifezze. Alla faccia dei contenuti (che magari avrebbero potuto essere veramente profondi, ricchi di significato, socialmente utili eccetera eccetera). Solo quando il Valutatore sarà riuscito ad arrivare in fondo allora si domanderà cosa avesse voluto dire l’autore e se sia veramente arrivato a conseguire il suo scopo.
Di conseguenza in queste lezioni non si parlerà quasi mai di contenuti, più che altro esse verteranno sul “come” elaborare qualsiasi tema in modo da renderlo gradevole alla lettura per quanto serio o faceto possa essere l’argomento. Vista da un’altra angolazione, anche se ne volessimo parlare potremmo starci fino alla fine dei tempi e non risolveremmo nulla di concreto: di temi e argomenti di cui raccontare ne esistono un numero infinito e tutto si può rendere interessante, se se ne possiede la capacità, ma qualsiasi buon contenuto può essere distrutto da una stesura raffazzonata.
L’importante è che, all’atto del mettersi a scrivere, si abbia qualcosa da dire. Qualsiasi cosa. Su qualsiasi argomento. Ma deve esserci a priori. Non ci si può mettere a scrivere senza avere un “progetto”. Non ci si sveglia la mattina con l’idea balzana di scrivere un libro e dopo aver fatto colazione tracchete! si è già di fronte al pc a dattilografare “Capitolo primo…”
Non è così che funziona.
Quando ho iniziato a scrivere il primo romanzo che mi è stato pubblicato avevo in mente un’idea ben precisa, il progetto di un’opera con una sua funzione specifica. Che non era per nulla un romanzo. Ma avevo ben chiaro lo spunto da cui partire e la meta da raggiungere, e il fatto che l’obiettivo si sia poi modificato lungo il percorso non modifica il concetto: un progetto c’era.
Scriveva Ernest Hemingway: “La gran cosa è resistere e fare il nostro lavoro e vedere e udire e imparare e capire, e scrivere quando si sa qualcosa; e non prima; e, porco cane, non troppo dopo”.
“Scrivere quando si sa qualcosa”.
Come primo punto quindi bisogna saperlo, quel “qualcosa”, e poi sentire il bisogno di narrarlo, e poi saperlo fare bene. Quant’è lunga la strada…

Lo Scrittore Insegnante

martedì 24 giugno 2014

Il piccolo naviglio

La passione per il Portogallo e la sua cultura che ha permeato Antonio Tabucchi per tutta la vita non gli ha impedito di scrivere della storia di casa nostra, la Storia con la S maiuscola, la Storia della povera gente contrapposta alla storia di quelli che la Storia la riscrivono sempre secondo come fa loro più comodo.


La storia (e dai!) di questo romanzo rientra fra i misteri editoriali: pubblicato nel 1978 da Mondadori, il volume è andato immediatamente fuori commercio e non si sa per quale ragione è risultato introvabile per più di 30 anni, cioè fino a quando Feltrinelli non lo ha ristampato nel 2012.
Era da parecchio tempo che volevo leggere qualcosa di Antonio Tabucchi perché ne avevo sempre sentito parlare bene, ma non mi era mai capitata l’occasione di sperimentare di persona. Si è rivelata una lettura interessante e godibile, ricca di particolari su alcuni dei quali l’autore si sofferma a lungo, ripescandoli in continuazione, prendendoli come spunto per elaborare deviazioni dalla linea narrativa e magari spiegandone la ragione della presenza solo a posteriori. Così come elabora continue anticipazioni di fatti e concetti che spiegherà a volte dopo molti paragrafi. Lo stile è circonvoluto e ricco di ritorni, di sottolineature, di subordinate, di insistenze su semplici particolari che assumono l’aspetto di tormentoni significativi essenziali ai fini della narrazione.
Il romanzo racconta la saga di una discendenza sovrapponendola alla storia d’Italia, dalla creazione del Regno a quella della Repubblica, calcando la mano sulle differenze sociali tra i lavoratori povera gente e gli sfruttatori politicizzati che Tabucchi dipinge con una penna impietosa trasparente sotto il manto di una forte ironia. Il piccolo naviglio, allegoria del tragitto della vita umana, ripercorre le lotte del proletariato in una Toscana che emerge più rovinata che consolidata ad opera di una crescita realizzata dagli stessi individui che Tabucchi caricaturizza ferocemente.
Una lettura piacevole, stimolante, un Tabucchi caustico e impietoso, ma anche caritatevole e comprensivo, che con una perfetta circolarità apre e chiude il romanzo in modo simile, entrando prepotente nella narrazione, negli stessi panni del protagonista, come solo un grande Autore si può permettere di fare.
Il Lettore 

domenica 22 giugno 2014

Lo Squizzalibro di domenica 22 giugno

Buon inizio di estate a tutti! Il solstizio è appena passato, e anche quest’anno mi sono perso la vista del sorgere del sole incorniciata dai megaliti di Stonehenge. Non che avrei fatto carte false per essere lì, ma l’idea resta affascinante. In compenso ieri ho onorato questo giorno particolare con una lunga passeggiata nei nostri boschi (che rimangono a latitudini più umane).

Ma torniamo al quiz, che stavolta è mediamente facile.


1 – Il libro da indovinare oggi è un romanzo.
2 – La vicenda romanzata è una scusa per ripercorrere la storia del nostro paese dalla seconda metà dell’Ottocento al secondo dopoguerra.
3 – Nonostante l’autore sia italiano, è sempre stato pervaso da una sfrenata passione per un altro Paese europeo, tanto forte da andarci perfino a morire.
4 – L’autore rientra nel novero degli scrittori italiani proposti per la candidatura al Premio Nobel per la Letteratura.
5 – Il titolo da indovinare non è tra i suoi romanzi più famosi, ma possiede la particolare caratteristica di essere stato pubblicato per la prima volta quasi trent’anni fa e di essere subito diventato irreperibile fino alla sua recente riedizione.
Buon lavoro!
Freereader

venerdì 20 giugno 2014

Il Vangelo di Maria Maddalena

Negli anni successivi alla pubblicazione de Il Codice Da Vinci sono usciti sulla sua onda una caterva di romanzi concernenti le stesse tematiche che Dan Brown aveva a sua volta ripreso pari pari dall’interessante saggio Il Santo Graal, scritto da Michael Baigent, Richard Leigh e Henry Lincoln. Non credo che l’accusa di plagio che a suo tempo i tre autori avevano rivolto a Brown sia sfociata in alcunché di fatto, né me ne può fregare di meno, ma capisco come i tre si possano essere sentiti defraudati di qualche buon milioncino di dollari. Del resto penso che sia stato in gamba Dan Brown a saper romanzare quelle che i tre avevano giustamente esposto solo come delle affascinanti ipotesi.


Indubbiamente, se esistessero prove concrete dell’esistenza di un altro Vangelo più credibile dei quattro canonici, e se questo Vangelo fosse addirittura scritto da una donna, e se questa donna fosse stata addirittura la legittima moglie di Gesù Cristo, e se addirittura si fosse chiamata Maria Maddalena, e se nientedimeno al momento della Crocifissione Maria stesse aspettando il terzo figlio, e se poi tutti loro fossero fuggiti in Francia dando origine a conosciute stirpi reali, allora, dicevo, le parole di questo ipotetico Vangelo potrebbero provocare un terremoto inimmaginabile che metterebbe seriamente in crisi il potere politico costruito dalla Chiesa Cattolica in 2000 anni.
Il ritrovamento di questo testo è l’assunto su cui si è basata Kathleen McGowan per scrivere il suo Il Vangelo di Maria Maddalena, romanzetto senza lode e senza infamia, condito da una vena thriller francamente scritta male, banale e scialbina, con personaggi stereotipati e poco interessanti e della lettura del quale si può benissimo fare a meno.
Ma nonostante le pecche compaiano fin dall’inizio l’ho letto fino in fondo, perché ancora una volta sono rimasto affascinato dalla rivisitazione della vicenda del Cristo osservata da un’altra angolazione: il mio agnosticismo non mi impedisce di provare un interesse genuino per la figura di Gesù Cristo, sugli insegnamenti del quale andrebbe fondato il comportamento di qualsiasi persona civile, e la mia curiosità mi spinge a cercare ottiche alternative allo scontato e datato cinquanta millimetri con il quale il Catechismo ha plasmato l’adolescenza di milioni di persone.
Dando per certa l’esistenza di un predicatore di nome Easa, o Gesù, vissuto 2000 anni fa come riportato dagli storici di tutte le religioni, ci si può domandare: e se fosse vero che Easa avrebbe generato dei figli con sua moglie Maria di Magdala? E se fosse vero che la Maddalena stessa avrebbe scritto in prima persona la storia della Passione di suo marito? E se fosse vero che Easa prima di morire avrebbe investito Lei della carica di suo successore?
Se tutto ciò fosse vero, le basi stesse della Chiesa verrebbero a trovarsi d’improvviso senza più fondamenta. Un concetto per tutti: in duemila anni la Chiesa, o meglio gli uomini, i politici della Chiesa hanno cercato in ogni modo di imbrigliare l’importanza della figura femminile, di porla sempre un gradino più in basso dell’uomo in qualsiasi manifestazione sociale. Cosa succederebbe se si scoprisse che davvero Gesù aveva eletto Maria a condurre il suo gregge?
Sono queste ipotesi a rendere affascinanti le teorie più o meno fantasiose che hanno fatto guadagnare un mucchio di soldi a Brown e compari o che rendono Rennes Le Chateau uno dei luoghi più visitati al mondo. Ma per occultare e confondere gli indizi delle quali, se putacaso queste teorie possedessero un barlume di concretezza, i politici della Chiesa avrebbero avuto ben 2000 anni di tempo.
Il problema è che di tutte le teorie, canoniche e irreali, riconosciute e apocrife, plausibili o meno, non esiste alcuna prova concreta. Vera e originale. Non inquinata. Di prima mano. Dimostrabile. Nessuna.
Ma né in una, né nell’altra parte.
Il Lettore Gnostico

mercoledì 18 giugno 2014

Lezioni (semiserie) di Scrittura Creativa – Seconda puntata


2 – LEGGERE
La prima cosa da fare per poter mettersi a scrivere non è prendere in mano foglio e penna, ma aprire un buon libro e incominciare a leggere. Anzi, questa è una cosa che avrebbe dovuto già essere stata fatta a priori. Se ora divorate un bel giallo, magari quell’unico libro all’anno che leggete, e magari vi piace talmente tanto che sull’onda dell’entusiasmo siete indotti a ipotizzare accidenti che bello! Quasi quasi ne scrivo uno anch’io…  Eccheccivuole!
Ecco, lasciate pure perdere, non è così che funziona.
Premessa: considerate che, secondo le statistiche attuali, qui in Italia un “Alto Lettore” legge una media di dodici libri all’anno. Ridicolo! Non oso pensare a quanti libri legga un “Basso Lettore”. E poi ci si lamenta dell’ignoranza dilagante.
Seneca sosteneva che, prima di poter pensare di scrivere qualcosa, una persona dovrebbe aver letto almeno 600 libri. Bagaglio culturale personale. Come quantità a me sembra proprio il minimo; forse andava bene per l’epoca in cui Seneca l’ha pensata, duemila anni fa. Ma ammettendo che seicento libri bastino e se ne vogliamo trarre una conclusione, ne deriva che un “Alto Lettore” medio, ammettendo che abbia imparato a leggere a 6 anni, dovrebbe pensare di poter mettersi a scrivere solo dopo aver festeggiato il suo cinquantaseiesimo compleanno. Se penso a Melissa P. mi viene un po’ da ridere. Quanti libri potrà avere mai letto prima di essersi messa a scrivere (!) Cento colpi di spazzola… ? Ma forse il suo ghostwriter, lui sì, ne avrà letti qualche migliaio…
Voi quanti libri leggete all’anno? Sinceri. Spero che mi rispondiate trenta o quaranta, che significa in media uno ogni dieci giorni. Ma mi accontenterei anche di venti, che rappresenterebbero una base per poter cominciare a scrivere una volta oltrepassati i trentasei anni di età. Ora non vi chiederò quanti anni avete, ma fate un esame di coscienza…
Questo è un modo come un altro per arrivare al nocciolo di ciò che intendevo dire: per scrivere occorre esperienza, sia di vita che soprattutto di lettura. Potreste obiettare che Emilio Salgari non si è mai recato nei luoghi in cui ha ambientato i suoi romanzi, o che Isaac Asimov e Ernest Hemingway già scrivevano benissimo a 21 anni; è vero, ma le eccezioni esistono per quasi tutte le regole. Sul serio ritenete di poterne fare parte?
Eppure, leggere è il solo modo di imparare a scrivere. Il modo “basilare”. Bisogna leggere molto, moltissimo, come tirocinio ad un buono stile di scrittura. Leggere tutto e di tutto, per rendersi conto di come scrivono gli altri, per imparare la differenza tra brani buoni e cattivi, per non scrivere di cose già scritte, per poter redigere passi fluidi. Per imparare.
Quindi, se non l’avete ancora fatto, o se non l’avete fatto abbastanza, cominciate pure a leggere, e poi continueremo il discorso. Stephen King ha scritto: “Se volete fare gli scrittori, ci sono due esercizi fondamentali: leggere e scrivere molto. Non conosco stratagemmi per aggirare queste realtà, non conosco scorciatoie”.
Intanto leggete, dello scrivere ne parleremo in seguito. Sul che cosa e quale autore leggere potrete trovare qualche dritta in questo stesso blog.
E comunque no: Novella 2000 non rientra fra i testi consigliati. Altre domande?

Lo Scrittore Insegnante

lunedì 16 giugno 2014

Sui Concorsi Letterari

Torino è grande, Perugia è piccola.
Torino ha la Fiat, a Perugia abbiamo la torta al testo.
Ma se Torino ha la Mole di Antonelli, a Perugia abbiamo Palazzo dei Priori con la sua Sala dei Notari, che seppur rovinata in modo infame da quelle comodissime poltrone azzurre la cui modernità fa a cazzotti con l’austera antichità del luogo, è uno di quei posti in cui ogni volta che vi entri ti senti in soggezione e proiettato di colpo nel 1300.

In realtà quello che volevo dire è che se Torino ha il Salone del Libro, a Perugia abbiamo Umbria Libri, che è (quasi) la stessa cosa.


Ieri facevo appunto un giretto per la manifestazione e, dopo aver assistito alla presentazione di un libro dell’Editore con cui collaboro, sono entrato del tutto per caso in un’altra presentazione: romanzo e autore completamente sconosciuti. Di entrambi ve ne parlerò appena avrò letto il libro che ho comperato: mai non si dica che recensisco solo autori famosi!
Fatto sta che quella presentazione si è rivelata una palla mostruosa (in futuro vi dirò anche il perché), e di conseguenza con la scusa della sigaretta sono uscito dalla più piccola, ma non meno affascinante, Sala della Vaccara e sono andato a curiosare nella Sala dei Notari, scoprendo così che vi stavano dibattendo i cinque finalisti del Premio Strega di quest’anno, moderati da un Moderatore a me sconosciuto.
Accidempolina! Qui siamo nell’Olimpo della Letteratura italiana, ho pensato avvicinandomi al banco dove erano in bella mostra le opere dei cinque finalisti. Queste avevano in comune con il Moderatore il fatto di essermi totalmente sconosciute. Sia titoli che autori. Di noto c’erano solo le Case Editrici: le cinque italiane più grandi.
Mi metto a seguire il dibattito dal fondo della sala e dopo un attimo mi si affianca un altro Editore che conosco. Entrambi ascoltiamo l’oratore di turno che sta spiegando come tra tutte le opere partecipanti al Premio gli scarti dei voti siano risultati ma proprio minimi, dell’ordine di due o tre sole preferenze tra l’uno e l’altro, e come quindi l’elite del gruppo dei finalisti allo Strega sia così compatta da rendere difficili ulteriori scelte e altissimo il livello qualitativo.
Con la coda dell’occhio noto che il conoscente Editore sta sbuffando e scuotendo la testa. Mi giro verso di lui e con un muto sorriso e un cenno del capo gli chiedo “come mai sbuffi?”. Lui volta gli occhi verso l’esterno e solleva due dita. Traduzione: “Usciamo, andiamo a fumarci una sigaretta”. Gli do le spalle ed esco: tra noi Perugini bastano poche parole.
Una volta fuori accendiamo e aspetto una risposta. Lui si mette a ridere.
«Ma tu li conosci quei cinque?» mi fa.
«Mai sentiti» dico io.
«E i libri?»
«Idem.»
«Ma gli Editori li conosci?»
«Ovvio, sono i più grandi.»
Continuando a ridere mi prende sottobraccio.
«Lo sai?» mi dice, «qualche mese fa mi ha chiamato XXX (mi dispiace, ma questo nome non posso proprio dirvelo, vi basti sapere che è uno scrittore molto conosciuto che pubblica anche con l’Editore con cui stavo parlando – NdF) e mi ha snocciolato tutti e cinque i nomi dei tizi che sono seduti lì dentro, e la mattina dopo avevo in dono nella casella di posta elettronica tutti e cinque i romanzi in prima visione. Tra tutti i partecipanti al Premio, quelli e solo quelli.»
«La fortuna di voi Editori…»
«Proprio ora sto leggendo quello che vincerà.»
«Ma come…» devo aver fatto una faccia perplessa, perché lui si mette a ridere più forte.
«Già» continua, «e pensa che quando XXX mi ha fatto questi nomi ancora non erano state nemmeno costituite le Commissioni di Valutazione…»
Rimango in silenzio. E quindi mi metto anch’io a sbuffare e scuotere la testa. Lui continua a ridere. C’è poco da ridere, penso, e in quell’attimo mi vengono in mente il blogger de I gatti di Monte Malbe e i suoi ultimi post, nei quali i mici protagonisti sono alle prese con rapine, truffe, ruberie, tangenti, politica inquinata, infinita corruzione e tutte le altre amenità che rendono il nostro paese meno vivibile del Burundi (con tutto il rispetto), e una personcina come Vallanzasca un lineare esempio di coerenza.
E mi vengono in mente i miei amici scrittori: sì, ho pensato proprio a voi due che vi siete iscritti da poco ad un Concorso Letterario e che nel vostro intimo coltivate la speranza che le cose non stiano così come purtroppo vanno in generale. Be’, anch’io lo spero con voi, sul serio, ma poi succede sempre che noi speranzisti ad oltranza andiamo a sbattere il muso da qualche parte, e conviene essere preparati all’impatto.
Lo Scrittore 

sabato 14 giugno 2014

Il responsabile delle risorse umane

Non ho una grandissima esperienza di scrittori israeliani: ho provato a leggere David Grossman ma quel romanzo in particolare l’ho lasciato a metà perché mi annoiava, e non ho mai aperto un libro di Amos Oz; di conseguenza quando M. mi ha consigliato di leggere Abraham B. Yehoshua l’ho fatto volentieri, e devo dire che non me ne sono pentito.

Grazie M.!


Il romanzo si sviluppa su un assunto sospeso tra il tragico e l’ironico, con un tocco di surreale: un’addetta alle pulizie, non israeliana, di una grande fabbrica rimane tra le vittime di un attentato terroristico e il capo del personale della fabbrica – Il responsabile delle risorse umane – è chiamato a fare tutto quanto in suo potere per riportare la salma nel suo Paese di nascita salvando nel contempo la ditta da maligne insinuazioni.
L’odissea intrapresa suo malgrado dal protagonista si snoda con una prosa eccellente dal ritmo lento ma piacevole, nella quale l’autore sviluppa una mirabile introspezione del personaggio facendone emergere quella sensibilità che si contrappone all’indifferenza e alla superficialità dei rapporti interpersonali.
Alcuni particolari stilistici sono veramente degni di nota, come per esempio l’assenza completa dei nomi di tutti i personaggi ad eccezione della donna morta. In tutto il libro compare solo il nome Julia Regajev, mentre tutti gli altri sono di volta in volta indicati con un loro attributo: il padrone, il responsabile, il console, il medico ecc. Oppure quello di iniziare molto spesso i periodi con una subordinata, il ché rallenta sia l’azione che la lettura, oppure di inserire brevi flash in corsivo scritti in prima persona e narrati da personaggi del tutto secondari, che dal margine commentano la scena che il narratore onnisciente sta raccontando in terza persona. Molto interessante.
Bel romanzo, curato fin nei minimi particolari, che assume una dimensione paradossale e donchisciottesca nell’ossessività con cui la salma di questa donna viene sballottata di qua e di là e con la quale il protagonista instaura un rapporto quasi morboso.
Dalle notizie che ho raccolto, poi, sembra che questo romanzo di Abraham B. Yehoshua non sia nemmeno considerato tra i suoi migliori, e se tanto mi da tanto dovrò leggere anche L’amante o Fuoco amico.
Per par condicio ammetto di non avere una grande esperienza nemmeno di scrittori arabi. Dovrò colmare le lacune su entrambi i fronti.
Il Lettore

giovedì 12 giugno 2014

Nelle terre estreme

Dal momento che da questo resoconto ci hanno anche tirato fuori un film (Into the Wild – Nelle terre selvagge, di Sean Penn), la tragica vicenda di Chris “Alex” McCandless è diventata di pubblico dominio in tutto il mondo dividendolo quasi esattamente in due fazioni: “quelli che ammiravano molto il ragazzo per il coraggio e i nobili ideali, e quelli che lo definivano un idiota imprudente, un folle, un narcisista morto per arroganza e stupidità…” come spiega lo stesso autore Jon Krakauer nell’introduzione al libro.

Io non mi schiererò: sono dell’idea che un uomo abbia tutto il diritto di scegliere di vivere e morire come crede, e mi limiterò a parlare (male) del libro e non del defunto protagonista.


Non ho visto il film, ma ho sentito dire che Sean Penn è riuscito a costruire una pellicola piacevole ed emozionante e, dando per scontato che ciò sia vero, allora si è meritato tutti i complimenti possibili per essere riuscito a fondarla su questo Nelle terre estreme la cui intenzione sarebbe stata quella di suscitare sentimenti struggenti, ma che in definitiva riesce solo a farti sbadigliare troppo spesso.
La vicenda di McCandless è raccontata con una narrazione dettagliata ma per nulla avvincente, cadendo spesso nel noioso soprattutto quando l’autore ripercorre la biografia del ragazzo o quando narra le proprie imprese (oltretutto alquanto deludenti), dando francamente il sospetto che abbia costruito tutto un libro su McCandless solo per poterci mettere quella ventina di pagine di autocelebrazione fallimentare. Lo stile è piatto, e l’oscillare tra passato remoto e passato prossimo del protagonista, insieme all’andirivieni  temporale e geografico tra diverse località di Usa e Canada, rendono la cronistoria contorta e poco agevole da percorrere, peggiorata dalla considerazione che molto spesso la costruzione dei periodi è complicata da un uso delle subordinate caotico, e di questo, non avendo letto l’originale inglese, non so se attribuire la colpa all’autore o alle traduttrici.
Probabilmente il successo del libro è stato mitizzato a posteriori una volta uscito il film: nonostante tutte le sue ricerche e l’impegno profuso, Krakauer non riesce a farti appassionare alla vicenda umana del protagonista, non riesce ad emozionarti come forse sarebbe stato nelle sue intenzioni né riesce a coinvolgerti, e rende il tutto di un piattume fastidioso.
Per completezza però devo confessare che il 90% delle recensioni di questo libro che per curiosità mi sono andato a leggere in rete ne parlano tutte in maniera entusiasmante, lasciando ad una minoranza i pareri meno che positivi. Ma la maggior parte di quelli che ne parlano bene, secondo la mia modesta opinione, non intendono riferirsi tanto alla biografia di Krakauer quanto alla fascinazione indotta dalle scelte, criticabili o meno, del protagonista, confondendo il contenuto con il contenente, il significato col significante. E le tragiche avventure del protagonista e dei suoi epigoni, ricalcando spesso il fanatismo ecologico di un Thoreau, si prestano molto bene ad essere osannate, quando non addirittura portate ad esempio di modelli di vita, da persone facilmente suggestionabili e/o sognatrici, gli stessi che in genere i piedi per terra ce li tengono poco.
Il Lettore

martedì 10 giugno 2014

La piramide di fango

Dopo aver terminato la lettura sono andato a cercare in rete qualche recensione di questo nuovissimo Montalbano e sono rimasto stupito nel trovarle tutte positive. Addirittura un totale di 4.4 su Ibs. Sono rimasto stupito perché secondo me, pur essendo un romanzo leggibile (per uno che non si spaventa di fronte al dialetto siciliano strettissimo), e moderatamente piacevole, con tutta probabilità è il peggior Montalbano che mi è capitato di leggere fino a questo momento.


E sì che io sono un ammiratore di Salvo Montalbano e delle sue avventure, e Andrea Camilleri mi sta pure simpatico, anche se non ci ho mai parlato di pirsona pirsonalmente.
Ma non posso proprio tacere di aver trovato questo romanzo scialbo e insignificante, abborracciato nella costruzione e stereotipato come un sorriso di Berlusconi: le gag innescate da Catarella sono fotocopiate e tirate via, dei sogni premonitori all’inizio della narrazione ormai siamo stufi, così come siamo stufi della storia con Livia che in questa puntata regredisce ad un livello stucchevole quale non ci si aspetterebbe da un Montalbano nel pieno possesso delle sue doti intellettuali. Invece di piantarla, come tutti noi ci augureremmo che facesse, il commissario si lascia intenerire dall’abisso di disperazione nel quale la fidanzata è caduta in seguito alla morte del figlio adottivo, fino a che lei non si risolleva e torna ad essere allegra non per merito del suo uomo, ma grazie a… un cane. Pur amando i cani, se fossi Montalbano questa costituirebbe una buona occasione per un sano mavatteneunpoaff… e chi s’è visto s’è visto. E invece lui corre a trovarli, lei e il cane, pieno d’amore e di comprensione, probabilmente facendo contente tutte le lettrici di Camilleri situate oltre gli ‘anta.
La costruzione della storia può anche filare, se non fosse che il lettore smaliziato si accorge immediatamente di un particolare aspetto della vicenda (non vi posso dire quale…) del quale il commissario si rende conto solo verso la fine del libro, e per tutto il tempo non fa che domandarsi (il lettore): ma non lo vede? Possibile che non se ne accorge? È talmente lampante! E finalmente anche Montalbano ci arriva dopo una serie di illuminazioni.
Ma c’è una cosa che vi dico, andando contro il principio che mi sono imposto di non raccontare mai la trama di un libro: il lato peggiore del romanzo, l’errore macroscopico nel quale è caduto Camilleri forse sentendosi forte della notorietà del suo personaggio. Qual’è secondo voi lo sbaglio più grave che si può commettere scrivendo un romanzo giallo?
Ve lo dico io: far commettere l’assassinio da una persona che non è mai comparsa nel corso della narrazione e che appare solo alla fine in tempo per prendersi la colpa. È come se Roger Ackroyd risultasse ammazzato da uno che passava lì per caso. Inammissibile: in un buon giallo l’assassino deve sempre far parte del cast dei personaggi principali ed entrare in gioco fin dall’inizio.
Purtroppo, invece, in questo La piramide di fango il responsabile di tutto risulta proprio uno che compare di persona solo nelle ultime pagine e del quale poco si era sentito parlare prima, sommando quindi un’altra delusione alle precedenti.
Come concludere? Comunque in fondo ci sono arrivato, e non è bastata l’insoddisfazione provata per farmi decidere di non acquistare un prossimo Montalbano.
Ma certo che…
Il Lettore

domenica 8 giugno 2014

Lo Squizzalibro di domenica 8 giugno

In questa giornata di prese per i fond… scusate, volevo dire in questa giornata di ballottaggi, per tirarvi su il morale sprofondato nell’indecisione di non saper individuare quale dei due candidati ruberà di meno, vi propongo un quiz facile facile, del tutto in tema con corruzione, mafia, riciclaggi e sistemi politici inquinati.

E poi tranquilli, visto che oramai l’unico partito che poteva modificare qualcosa è fuori giuoco, come più o meno diceva il buon Tomasi di Lampedusa, chiunque votiate non cambierà proprio nulla. Del resto potete sempre seguire i mondiali di calcio, dite grazie.


1 – Come già segnalato sopra, il romanzo in questione tratta di corruzione, mafia, riciclaggi e sistemi politici inquinati.
2 – È uscito in libreria l’altro ieri, ed è già al primo posto delle classifiche di vendita (ve l’avevo detto che sarebbe stato facile!).
3 – Continuo? Non ce ne sarebbe bisogno, ma l’autore è italianissimo. Famoso? Di più.
4 – Leggendo, bisogna fare lo sforzo di tradurlo, perché non è scritto in italiano (e allora! Non ci siete ancora arrivati?).
5 – Un’anticipazione sul prossimo post: ne parlerò male.
Questa non ve l’aspettavate, vero?
Freereader

venerdì 6 giugno 2014

Notizie dalle tenebre

Terminare di leggere questo libro è stata una tortura, dilaniato in continuazione da una dicotomia insolubile: a me lo stile di Joe R. Lansdale piace molto, ma non sopporto le tematiche horror, tanto più quando sono condite da reiterate scene splatter.
Come fare?

Non c’è stata storia, alla fine ha avuto la meglio il piacere del suo stile originale, ma che fatica!


Come ho già scritto in quest’altra recensione, Joe R. Lansdale è uno degli scrittori statunitensi più quotati del momento, con una produzione di romanzi e racconti veramente consistente e un corpus di tematiche oltremodo interessanti, capace come pochi di passare dall’horror alla commedia, dalla denuncia sociale al romanzo di formazione, dal surreale alla realtà nuda e cruda.
Uno scrittore capace di scrivere metafore originali: “Era una signora di mezza età così robusta che avrebbe potuto bloccare un manzo a terra e costringerlo a recitare una poesia. E avevo saputo da qualcuno in città che l’aveva già fatto, tranne per la parte sulla poesia”. O scene decisamente ributtanti: “Elvis sognò che aveva tirato fuori il cazzo dai pantaloni, per controllare se la protuberanza sulla cappella si fosse di nuovo riempita di pus. In quel caso, l’avrebbe ribattezzata Priscilla, come la sua ex moglie, e si sarebbe masturbato fino a farla scoppiare”. O situazioni decisamente inquietanti, di quelle che è meglio non leggere in una notte di tempesta da soli in casa. Peccato che queste ultime siano troppo lunghe e articolate per poterle riportare qui, ma immaginate fantasmi sanguinolenti armati di rasoio, o mostri d’acciaio scaturiti dal nulla, o numerose dita scheletriche che si infilano tra gli stipiti della porta per cercare di raggiungere il protagonista indifeso…
I racconti di cui è composto questo Notizie dalle tenebre (e già il titolo la dice lunga), sono stati scelti da Lansdale stesso come i migliori della sua cospicua produzione, e lui stesso ha curato la prefazione all’edizione italiana inserendovi la spiegazione del perché preferisce scrivere racconti piuttosto che romanzi e di come sia molto più difficile scrivere i primi. È vero: un racconto può essere rovinato anche da una singola parola messa male.
Una prosa perfetta, giù fino alla scelta delle singole parole, delle parolacce e della punteggiatura. Ritmo come il respiro affrettato dalla paura di ciò che sta per succedere.
Ma alla mia tranquillità interiore ci tengo troppo. Non vedo la ragione per la quale turbarla con scene raccapriccianti o immagini inquietanti, e così come non vado a vedere film di questo genere e non metto piede sulle montagne russe da più di quarant’anni, credo che per leggere ancora Lansdale mi orienterò su quella sua parte di tematiche abbordabile dai deboli di stomaco.
Il Lettore

mercoledì 4 giugno 2014

Lezioni (semiserie) di Scrittura Creativa – Prima puntata

Ma sì, dal momento che in passato vi ho fornito qualche consiglio su come affrontare un editore, farò il buono e comincerò ad elargirvi delle preziose indicazioni sul come migliorare la vostra tecnica di scrittura in modo che i Valutatori delle case editrici non interrompano dopo appena tre pagine la lettura dell’elaborato che gli avete spedito. Sull’argomento ho già scritto un libro e quindi di materiale già pronto ne avrei anche, ma preferisco ricominciare da capo e spiegare alcuni concetti con parole nuove e pure scherzandoci sopra. Chissà mai che possa servire anche a me.

La pubblicazione delle presenti lezioni avrà una cadenza zoologica, nel senso che non seguiranno un calendario dal ritmo preciso ma saranno condizionate dall’estro dello scrivente, e di conseguenza usciranno su questo blog un po’ a gatto selvaggio, ovvero a cazzo di cane, come suol dirsi. Abbiate pazienza, si va ad iniziare.


1 - LA SPINTA
Vi siete chiesti per quale motivo strano vi è venuta all’improvviso la voglia di mettervi a scrivere? Esistono una marea di passatempi con i quali impiegare il vostro tempo libero, perché mai dovreste rinchiudervi in casa con una penna o davanti al pc a svolgere un’occupazione che vi porterà via un mucchio di tempo?
Un’occupazione oltretutto antisalutare, che vi costringerà su una sedia acutizzando la vostra ernia, che rammollirà i vostri muscoli, indebolirà le vostre ossa e contribuirà al lievitare della vostra pancetta. Che vi isolerà in una vita da eremita; che vi renderà antipatici ai vostri amici i quali vi tacceranno di essere diventati degli orsi scontrosi ed egocentrici; che vi farà litigare con il vostro partner tutte le volte che vi distoglierà dalla concentrazione nella quale siete assorti; che vi farà imbufalire se qualcuno avrà l’ardire di criticare quel passo sul quale avete tanto penato (diavolo, non esiste maniera migliore di scriverlo!); che si risolverà in una delusione (con conseguente esaurimento nervoso) quando scoprirete che delle cose che scrivete non interessa proprio nulla a nessuno; un’occupazione che oltretutto avrà una miserrima probabilità di riuscita e quasi certamente alla fine si risolverà in una mazzata ben assestata alla vostra autostima.
Ve lo siete chiesti? Se la risposta è positiva e la conclusione è che volete ancora farlo, allora lasciatemi dire che siete proprio degli incoscienti. Ma se proprio lo ritenete ancora utile, continuate pure a leggere.
Probabilmente questo desiderio vi ha assalito perché da sempre amate i libri e la lettura, e in qualche momento del vostro percorso letterario avete pensato: ma dài, se Tizio è riuscito a scrivere un libro così, allora sono capace anch’io! Oppure, meno prosaicamente, vi si è formata in mente quell’idea di buttare giù un qualcosa, non sapete ancora bene cosa, ma qualcosa che parli di… sì, quello, intanto butto giù due frasi come viene viene, poi vediamo. Oppure: oggi piove, quasi quasi scrivo qualcosa… Ma anche perché adorate l’oggetto-libro, e uno dei vostri desideri più segreti è sempre stato quello di vedere uno di questi feticci con il vostro nome scritto in copertina. Le ragioni sono tante quante le persone che scrivono.
E poi, che cos’è questa mania dilagante dello scrivere? Oggi sembra che scrivano tutti (complice la maggior quantità di tempo libero e il correttore automatico di Word), e che lo scrivere porti all’esterno le parti peggiori di ognuno (un po’ come il bridge). Esistono persone che si imbestialiscono perché un editore si rifiuta di pubblicare un loro manoscritto, ritenendo, ovviamente il più delle volte a torto, che esso sia invece meritevole di essere stampato. E magari è la prima volta che hanno provato a scrivere qualcosa. Amo la pittura, ma non mi sognerei mai né di dipingere un quadro né, tantomeno, qualora l’avessi mai dipinto di proporlo ad una galleria d’arte.
È come se questa gente invece pretendesse di effettuare un bypass cardiaco dopo aver tenuto un bisturi in tasca  per una giornata. È come se si arrogassero il diritto di pilotare uno Shuttle dopo una visita turistica alla Nasa. È come se pretendessero di allenare la Nazionale di calcio solo per averne parlato al bar la sera prima. È come… va be’, basta.
Absolute beginners irritanti, saccenti, presuntuosi che solo perché hanno imparato a scrivere alle elementari (e poi hanno disimparato al liceo) si ritengono in grado di costruire subito, al primo tentativo, un romanzo di successo, e si inalberano se qualcuno fa notare loro che le cose non stanno esattamente in questo modo. Ti minacciano pure, quelli stronzi.
Abbassiamo la cresta.
Scrivere è facile, si impara da piccoli, è un passatempo anche poco dispendioso, tutto sommato.
Saper scrivere è tutta un’altra cosa.
Non basta averne l’intenzione per riuscire a tramutare quel pio desiderio in una realtà concreta: scrivere è faticoso, stancante come spalare argilla; è lungo, avrete bisogno di tanto tempo a disposizione; è difficile: per ottenere un qualcosa di valido bisogna conoscere le tecniche, quindi bisogna studiare e studiare come per qualsiasi altra disciplina; è alienante: dovrete essere coerenti come una formica, tenaci come una colla epossidica, disciplinati come un cadetto di West Point (che similitudini che ho trovato!); è destabilizzante: l’atto dello scrivere è uno dei comportamenti più asociali che possano esistere; senza contare che i risultati saranno aleatori come un sei al superenalotto.
Come vedete sto facendo di tutto per scoraggiarvi perché so che la maggior parte di voi, seppur animati da lodevoli intenzioni, se mai riuscissero a scrivere qualcosa per intero la spedirebbero a qualche editore. E forse con la mia sfortuna prima o poi sarei costretto a leggerla. Considerando che il 95% degli elaborati che mi arrivano rimangono molto lontani dal superare la prova…
Ma se siete coerenti, tenaci e disciplinati, se sentite di avere dentro di voi quella spinta irrefrenabile, questi miei puerili tentativi di farvi cambiare idea non serviranno a nulla, e allora tanto vale cominciare a darvi davvero qualche consiglio per cercare di rendere i vostri scritti interessanti quel tanto che basta a far proseguire un eventuale lettore (me) per più di tre pagine.
Buona fortuna, alla prossima.
Lo Scrittore Insegnante 

lunedì 2 giugno 2014

Il giorno dei morti

Un po’ mi vergogno e chiedo scusa… avevo affermato che per un pezzo non avrei più parlato di Maurizio De Giovanni, e invece… ma quando ti capita sottomano un Ricciardi che non hai ancora letto come fai a resistere?


Tanto più che dopo l’estate viene l’autunno, e questo L’autunno del commissario Ricciardi viene tanto bene subito dopo l’ultima lettura dello scrittore napoletano, in perfetta continuità temporale con l’evoluzione dei complicati amori del protagonista.
Allora farò così: per non tediarvi eccessivamente di questo libro non dirò proprio nulla, salvo che è bello come quelli che l’hanno preceduto, che le tematiche sono le stesse e che a me è piaciuto molto. E il finale… mi ha commosso più che in altre avventure.  Stop.
Se ne volete sapere qualcosa di più su contenuti e stile dell'autore, cliccate qui sopra e guardatevi tutti gli altri commenti che ho scritto in passato.  
Il Lettore