giovedì 29 novembre 2018

Mio fratello rincorre i dinosauri


In questo periodo in cui, mio malgrado, riesco a leggere poco, mi sono imbarcato nella lettura di un romanzo storico di più o meno mille pagine. Al mio ritmo attuale di una pagina al giorno la vedo pressoché infinita. Ma non disperate, prima o poi troverete anche lui su questi schermi.
Poi domenica siamo stati invitati a pranzo dalle mie nipoti, una delle quali è una forte lettrice, e le ho saccheggiato la libreria. A sera, tornato a casa, ho messo temporaneamente da parte l’ereader con il romanzo storico e ho iniziato questo Mio fratello rincorre i dinosauri di cui avevo già sentito parlare qualche tempo fa.
La sera dopo era terminato.



Per fortuna ogni tanto succede di leggere un libro molto buono.
Questo di Giacomo Mazzariol è la storia del rapporto tra l’autore e suo fratello Giovanni, affetto dalla sindrome di Down: dall’entusiasmo iniziale per l’imminente nascita di un fratellino alla scoperta che questo fratellino non sarebbe stato normale, dall’iniziale rifiuto, dalla vergogna e dal non voler far sapere questo fatto alla propria cerchia di amici, alla completa accettazione della sua condizione e di lui stesso. Un vero e proprio romanzo di formazione adolescenziale.
Scritto molto bene, si legge in tre ore al massimo senza cali di tensione e, cosa che non guasta mai, pur trattando una tematica seria è anche divertente. Tanto è vero che quando è uscito ha avuto un discreto successo.
In fin dei conti il libro è un invito per tutti ad accettare le conseguenze della presenza di questo cromosoma in più con tutto ciò che ne deriva di buono e di meno buono, e di considerare le persone che ne sono portatrici come ogni altro essere umano, come si dovrebbe fare comunque e con chiunque.
La vicenda di Giacomo e Giovanni e di questo libro ha avuto una notevole ricaduta mediatica anche per il filmato con cui si sono fatti conoscere su Youtube, dal titolo A simple interview, e che potrete trovare qui (la mia era la 411.133esima visualizzazione, tanto per farvi capire).
La cosa che non riusciranno mai a farmi credere, comunque, è che questo romanzo l’abbia scritto per intero una persona di soli diciannove anni.
Passi l’uso dei verbi, tutti inseriti in modo perfetto (anche mio figlio a quindici anni padroneggiava l’uso dei congiuntivi), passi l’assenza di refusi, passi l’uso dell’ironia perché anche un adolescente può saper fare un buon uso dell’umorismo, la cosa che penso non sia stata farina del sacco del Mazzariol è il ritmo. Tutte le vicissitudini narrate sono cadenzate in modo perfetto, messe al momento giusto nel modo giusto da un professionista, inserite alternando spunti simpatici ad altri che lo sono meno, alcune perfino risolte in modo ottimale a molte pagine di distanza (vedi la scena del Pisone), ai fini dell’insegnamento che intendeva fornire il libro.
Un ritmo così può averlo dato solo una persona esperta, di quelle che sanno ciò che stanno per fare, altro che un diciannovenne inesperto, e io sospetto fortemente che i due ringraziati in postfazione, Fabio Geda e Francesco Colombo, o chi insieme a loro, gli editors della Einaudi, per esempio, abbiano fornito ben più del piccolo aiuto per il quale sono ringraziati.
Senza comunque voler togliere nulla all’autore.
Il Lettore 




mercoledì 21 novembre 2018

Casino totale


Gran bel romanzo. Viene da concordare con Massimo Carlotto che, dopo averlo letto, ne è rimasto entusiasta.
Nonostante Il sole dei morenti non mi abbia coinvolto più di tanto, ero rimasto curioso di leggere ancora qualcos'altro di Jean Claude Izzo, e ho optato per il suo romanzo più famoso, Casino totale, con cui ha dato vita alla serie trilogia marsigliese, e quindi ad un intero genere letterario, il noir mediterraneo.



Il romanzo inizia con Ugo che ritorna nella città in cui è stato giovane, Marsiglia, e in cui è morto l’amico Manu a cui era legatissimo. Ma anche Ugo resta vivo per un solo capitolo, per lasciare il posto al vero protagonista, Fabio Montale, il terzo componente del trio di amici inseparabili, al quale il desiderio di sapere come e perché sono morti coloro che considerava dei veri e propri fratelli non da tregua.
Si da il caso che Fabio Montale sia pure un poliziotto, e per quanto gli è concesso si mette ad investigare su ciò che è successo, dapprima coinvolgendo antiche amicizie, poi calandosi nei meandri della malavita marsigliese, della quale aveva rischiato di entrare a far parte da giovane come era successo agli altri due amici.
In questo percorso Izzo ci fa calare all’interno dei problemi sociali di una società multietnica come quella di Marsiglia, sottolineando i forti screzi tra fazioni in eterna lotta tra loro: francesi, arabi, neri, poliziotti, delinquenti, poveri e benestanti, giovani in cerca di un futuro e coloro che quel futuro lo hanno già perso, giovani ragazze che non hanno altra scelta che fare le prostitute per poter vivere e quelli che se ne approfittano arrivando ad ucciderle per un nonnulla.
Lo stile è asciutto e crudo, senza abbellimenti, ma lasciando comunque molto spazio all’uso dell’immaginazione da parte del lettore e senza scendere nell’esplicitazione di scannamenti o simili cose estremamente trucide come negli autori più recenti. Si nota anzi un tentativo, da parte del protagonista, di ricerca di giustificazioni morali per comportamenti non in linea con il politicamente corretto, un tentativo di ritorno agli ideali di cui sono piene le menti dei giovani, in un mondo in cui è difficile poter fare i “buoni” quando anche i poliziotti sono tra coloro da combattere.
Casino totale (Total Khéops) ha fatto da capostipite a un genere letterario insieme agli altri due romanzi di cui è composta la trilogia con protagonista Fabio Montale: Chourmo e Solea, e, visto che mi è piaciuto, prima o poi leggerò anche questi altri due.
Il Lettore 




giovedì 15 novembre 2018

Io sono un gatto


Oltre al fatto che riesco a leggere molto di meno, sono incappato in una sequela di libri che si rivelano pallosissimi, come l’ultimo postato e come questo, che porto avanti con fatica quando addirittura non sono costretto a piantarli a metà, come questo (e due), e che pur possedendo una certa dose di fascino non posseggono tutti gli altri requisiti necessari a dare soddisfazione.
In più mettiamoci che l’atto stesso di scrivere questo post sta diventando una tortura perché ho tutte le dita, compreso carpo e metacarpo, indolenzite per aver usato troppo motoseghe e roncola questa mattina e l’essere passato alla tastiera non consueta del computer nuovo non aiuta di certo.
Va be’, problemi di noi boscaioli (quelli non abbastanza allenati).



Io sono un gatto mi ha attratto subito per il solo fatto di avere questo titolo. Natsume Soseki (pseudonimo di Kinnosuke Natsume, ma in ogni caso non si conosce lo stesso), lo ha scritto nel lontano 1905 mentre il Giappone era in guerra contro la Russia, ed è il primo romanzo di questo autore.
Questo libro mi ha attirato per il solo fatto di parlare di gatti, che sono animali che amo molto. Ma in genere la maggior parte degli autori che trattano di gatti non sono capaci a tener viva l’attenzione: o si fanno ben presto noiosi o cadono nello scontato e nella melensaggine. Conosco un solo autore “gattaro” interessante, ed è il blogger de I gatti di Monte Malbe (http://igattidimontemalbe.blogspot.com/).
Natsume Soseki arriva al punto di immedesimarsi con questo gattino appena nato che del tutto inaspettatamente arriva in casa di un professore di liceo (dal carattere interessante come quello di un’ostrica) e viene ignorato ma nutrito, e nel suo poter andare dappertutto assiste e commenta la vita della casa e di chi la frequenta passando per lo più inosservato nella totale trascuratezza degli umani nei suoi confronti. È lo stesso gatto che narra in prima persona: non ha un nome perché nessuno si è preso la briga di metterglielo, e di ogni cosa fa un argomento sul quale intervenire e dire la sua.
Personaggi simpatici o insopportabili, consuetudini strane o del tutto normali. Il gatto vede e commenta. Come però farebbe un “umano” alquanto erudito. Arrivando a parlare di filosofia e rifacendosi a molte massime “zen”. In pratica Soseki lo ha reso troppo umano, lo ha antropomorfizzato troppo arrivando a rendere la cosa alquanto inverosimile, facendolo comportare come una persona con una cultura universitaria e non più come un semplice gatto.
Inoltre la maggior parte delle cose nominate ha il nome giapponese: vestiti, cibi, consuetudini sociali, modi di fare, il che rende molte pagine veramente incomprensibili (fino a sapere cosa sono un futon o un tatami ci arrivo, ma il mochi e il kenban mi sono proprio ignoti. È vero che ci sono delle note con le spiegazioni a fondo libro, ma è troppo scomodo dover andare alla fine ad ogni richiamo che si incontra. Continuiamo a rimanere nell’ignoranza, ma non è piacevole). Tutto questo rende il testo, sia pure da un certo punto di vista anche affascinante, oltremodo non interessante e noioso, e arrivato circa a metà sono stato costretto ad abbandonarlo per l’incapacità a proseguire per più di una pagina al giorno.
Comunque ve ne riporto l’incipit: “Io sono un gatto. Un nome ancora non ce l’ho. Dove sono nato? Non ne ho la più vaga idea. Ricordo soltanto che miagolavo disperatamente in un posto umido e oscuro. È là che per la prima volta ho visto un essere umano. Si trattava di uno di quegli studenti che vivono a pensione presso un professore - mi hanno poi detto - e che fra tutti gli uomini sono la specie più perversa. Si racconta che costoro ogni tanto acchiappino uno di noi, lo mettano in pentola e se lo mangino. Però in quel momento, non sapendolo, non ebbi paura. Provai soltanto un senso di vertigine quando lo studente mi mise sul palmo della mano e di colpo mi sollevò per aria. Appena ritrovai una certa stabilità lo guardai in faccia, era il primo individuo appartenente alla specie umana che vedevo in vita mia. Che creatura curiosa, pensai, e quest’impressione di stranezza la conservo tuttora. Tanto per cominciare il viso, invece di essere coperto di peli, era liscio come una teiera.
E fin qui è comprensibile. Poi peggiora. Le 500 e passa pagine non sono riuscito a reggerle tutte.
Il Lettore 




martedì 6 novembre 2018

L’ingegnere in blu


Così come in questi ultimi tempi sono affascinato da David Foster Wallace, un altro autore che mi ha molto incuriosito (in questo caso pur non piacendomi quasi per nulla, vedi qui), è Carlo Emilio Gadda, e per andare più a fondo ho letto un libro con protagonista questo scrittore.
Questo L’ingegnere in blu non è una vera e propria biografia, e neanche un libro di critica “gaddiana” (a dire il vero non ho ancora ben capito cosa sia), forse un misto di entrambi: racconta della vita di Gadda e delle cose che ha scritto e del come e perché le ha scritte e come mai le ha scritte in quel modo, e anche qualcosa in più.



Alberto Arbasino è uno scrittore e giornalista (e anche politico, ma sorvoliamo questo aspetto che qui non si parla di politica), del quale fino ad ora non avevo mai letto nulla. È un grande estimatore di Gadda, si sente da come ne scrive, e questo non è l’unico saggio che ha completato con argomento lo scrittore milanese.
Evidentemente era affascinato dal suo fare in modo che il lettore non capisca pressoché nulla perché, a detta di alcuni, in genere anche la scrittura di Arbasino vira molto sul surrealista (e a detta di altri invece è proprio delirante).
Fatto sta che io non l’ho trovata né surrealista né delirante, ma certo, non è che sia stata una lettura tra le più leggere. Anzi, direi proprio che mandar giù questo L’ingegnere in blu è stato proprio pesantuccio quando non decisamente noioso.
Arbasino mostra diversi aspetti di Gadda: oltre ai cenni biografici tratta della sua produzione sotto l’aspetto critico e degli autori italiani che amava. O che non amava: se ammirava molto Alessandro Manzoni, non si può dire la stessa cosa per Giovanni Pascoli, per esempio. Si sfiorano le sue parentele, la scelta di rimanere scapolo e i suoi interessi politici fino a formare un quadro per niente esaustivo ma in fondo sufficientemente coprente tutti gli aspetti di questo personaggio, e in definitiva si sente che il libro è stato scritto principalmente per l’ammirazione sconfinata che prova l’autore per questo scrittore.
Quanto al risultato… ve l’ho già detto che l’ho trovato abbastanza noioso?
Il Lettore