venerdì 25 settembre 2015

E l’uomo incontrò il cane

Per approfondire la ricerca su un progetto che ho in mente mi sono riletto da poco questo libretto che avevo già assaporato decenni fa, in pratica appena pubblicato, quando ancora non c’erano mai stati cani a tenermi compagnia. Questi sarebbero venuti dopo, e i gatti ancora più tardi, e con il loro arrivo ho ripreso in mano diverse volte E l’uomo incontrò il cane (So kam der Mensch auf den Hund) per studiare i comportamenti reciproci di queste due bestie e prepararmi al confronto.
Da quando è stato pubblicato nel 1973 quindi, lo stesso anno in cui Konrad Lorenz ha conseguito il Premio Nobel per la medicina, fino alla settimana scorsa, avrò letto questo libricino almeno sette o otto volte.
Quanti altri proprietari di cani avranno fatto altrettanto?




Pur essendo costruito con il linguaggio semplice della divulgazione scientifica ad uso dei profani, e con parecchie scene narrate più con il piglio del romanziere che dello scienziato ricercatore, questo libro è un vero e proprio saggio sull’evoluzione del rapporto uomo-cane condito con molte delle considerazioni etologiche che hanno fatto di Lorenz uno dei padri di questa scienza. L’etologia non è altro che la ricerca comparata sul comportamento degli animali e Lorenz, paleontologo mancato, ne è stato uno dei fondatori arrivando a conseguire il Nobel per i suoi studi sull’imprinting nelle oche, che ha poi esteso a molte altre specie animali.
Un libro veramente delizioso che tutti i proprietari (compagni) di cani dovrebbero leggere. Dopo di questo, e soprattutto in questi ultimi anni, di libri seri sui cani ne sono usciti a centinaia e anche di notevole importanza ― La vita segreta dei cani, L’intelligenza dei cani eccetera ―, ma E l’uomo incontrò il cane resta sempre il basilare antesignano di una corrente che rimarrà sempre attuale fino a che vi saranno bavosi quattrozampe a tenere compagnia a semplici bipedi.
Di Konrad Lorenz ho letto anche L’anello di Re Salomone, forse il suo libro più famoso, L’aggressività e L’altra faccia dello specchio, e in tutti ho riscontrato, insieme alla conoscenza delle materie trattate per quanto all’epoca innovative, uno sconfinato amore per gli animali oltre ad una notevole capacità di saper scrivere e divulgare concetti complessi con un linguaggio semplice.
Questo ti fa anche mettere da parte, per un momento, la simpatia di Lorenz per il partito nazional-socialista e le sue discutibili affermazioni sulla “doverosa” egemonia della razza ariana.
Col tempo, dopo la prigionia in Russia (dalla quale confessa di aver riportato la sorprendente analogia riscontrata tra nazismo e marxismo), e una volta persa la guerra, si sarà anche redento con le sue ricerche, ma di sicuro la disciplina del Reichstag gli era rimasta dentro se, allo scopo di proteggere il figlio dai numerosi animali che circolavano liberi per la sua fattoria, non ha trovato di meglio che chiudere lui in una gabbia…
Il Lettore 

sabato 19 settembre 2015

Le uova del drago

Qualche anno dopo la fine della seconda guerra mondiale l’uomo politico inglese Sir Harold MacMillan (Primo Conte di Stockton e consigliere civile dell’amministrazione militare alleata in Italia), scriverà nel suo memoriale per la commissione studi delle nazioni Unite (War Diaries: Politics and War in the Mediterranean, January 1943 – May 1945): “Nel volgere di due anni, i siciliani avevano vissuto la duplice esperienza di essere occupati dai tedeschi e liberati dagli Alleati. Non è facile dire quale dei due processi sia stato più doloroso e più sconvolgente per loro.” E detto proprio da un inglese…
Nel narrare le avventure di una spia tedesca operante nella Sicilia post-invasione alleata, Pietrangelo Buttafuoco ha voluto raccontare come secondo lui i siciliani hanno vissuto dapprima l’occupazione nazista e quindi la liberazione.
Da siciliano colto, preparato, impegnato e “leggermente” di parte.




Le uova del drago è stato finalista al Premio Campiello 2006 ed è uno dei pochi libri schierati apertamente sul lato dell’ex governo fascista e in cui i tedeschi fanno la parte dei “buoni” che purtroppo hanno perso la guerra. Del resto Pietrangelo Buttafuoco è un giornalista e scrittore siciliano già attivista del MSI e quindi di AN, e col fatto che si è anche convertito alla fede islamica ha inserito in questo romanzo anche un nucleo di terroristi musulmani che avrebbero dovuto costituire dei focolai di rivolta per “liberare” di nuovo l’Italia dagli stessi liberatori e riportarla nelle mani del governo nazista. Le uova del drago, appunto.
Comunque, a parte le considerazioni politiche personali che non siamo qui per questo, come romanzo avrebbe anche potuto essere buono. Gli ingredienti ci sono tutti: la guerra, gli sconvolgimenti causati da essa, i terroristi, lo spionaggio, qualche amore, una bionda eroina tedesca e, più importanti di tutti, gli italiani e in particolar modo i siciliani con tutte le sofferenze attraverso cui sono passati. Inoltre, a differenza di Scurati (vedi l’ultimo post pubblicato), Buttafuoco non utilizza un lessico eccessivamente ricercato e quasi incomprensibile, e le sue costruzioni sintattiche sono abbastanza elaborate ma di una scorrevolezza fluida.
Ripeto, avrebbe potuto essere un buon romanzo.
Dove Buttafuoco pecca di complicazione invece, secondo me, è nella costruzione delle molte scene che compongono un affresco ricco di innumerevoli personaggi, rendendo arzigogolata anche una successione temporale cronologica con frequenti rimandi nel passato e incursioni nel futuro, tutte condite da considerazioni di carattere politico. Se non si resta più che concentrati nella lettura può capitare che il tutto si tramuti in un’accozzaglia di fatti confusi e slegati tra loro, dei quali non si ricordano i nomi dei protagonisti.
Un romanzo tratto da una storia vera ma complesso da leggere, nel quale dà fastidio anche l’acredine personale nei confronti dei vincitori di opposta fede politica che traspare dai brani in cui Buttafuoco tratta malissimo gli Alleati (molto peggio gli Inglesi che gli Americani) denunciandone infinite nefandezze che essi avrebbero compiuto sul suolo di Sicilia una volta sbarcati.
All’epoca e in quei luoghi non c’ero, quindi non so come siano andate veramente le cose e lungi da me il giudicare. E del resto la storia la fanno i vincitori, quindi ho imparato da un pezzo a non credere del tutto a come i luoghi comuni dipingono i fatti passati. In ogni caso, anche se la versione corretta fosse quella di Buttafuoco, resta irritante come dietro le affermazioni si avverta un astio che un buon romanziere avrebbe saputo evitare.
L’inneggiare, poi, alla giustezza, al valore, alla probità della fede eccetera eccetera dei combattenti arabi schierati dalla parte dei tedeschi… ecco, anche questo mi è sembrato leggermente fuori luogo.
Peccato, avrebbe potuto essere un buon romanzo (e tre).
Il Lettore 

martedì 15 settembre 2015

Il padre infedele

Veramente perfetto questo romanzo di Antonio Scurati che è stato tra i finalisti nel Premio Strega 2014: Il padre infedele esibisce ortografia e sintassi perfette, ricerca lessicale perfetta, introspezione psicologica più che perfetta.
Talmente perfettino che l’ho piantato dopo ottanta pagine: non ne potevo proprio più!




Una perfezione che sfocia fin dalle prime pagine in una noia mortale: una masturbazione mentale continua di questo protagonista che racconta la sua storia banale come tante altre, con le problematiche di laureato, lavoratore, fidanzato, marito, padre uguali a quelle di tanti altri uomini ma rese insopportabili dalla saccenteria con cui Scurati ha costellato ogni riga di questa sua opera.
Alla faccia della famosa casalinga di Voghera l’autore ha scritto un romanzo per pochi letterati (e si annoiano anche loro, prima o poi…) infarcendolo di termini ricercatissimi e dall’arcano concetto, dei quali qualche volta devi anche cercare il significato sul dizionario (eeehhhh… che vuoi, colpa mia che sono ignorante, leggo troppo poco!). Nichilismo maturo, idiosincrasia, intemperanza cosmica, infecondità ambientale, culinaria di un’epoca esangue (che cazzo vuol dire qualcuno me lo dovrebbe spiegare), intronazione, murmure polmonare, discepolanza sono solo alcuni dei termini quantomeno inusuali che si incontrano quasi a ogni paragrafo, per culminare con l’orgiastico “eudaimonia” (lo sapete tutti cosa significa, vero?), volendo usare il quale Scurati non si è limitato alla forma corretta della lingua italiana “eudemonìa” (dal vocabolario Treccani: nel pensiero filosofico, la felicità intesa come scopo fondamentale della vita), ma ha preferito inserire nientepopodimenoché l’originale radice derivante dal greco antico. Tanto per rendere le cose più semplici alla casalinga di Voghera.
Ma già, dimenticavo, un libro del genere non è scritto per costei: un libro del genere è costruito ad hoc per la giuria del Premio Strega, ai cui giurati devi far vedere quanto sei colto ed erudito, anche se poi del loro parere quelle quattro case editrici che ogni anno si spartiscono il premio se ne fottono del tutto.
Continuando sulla stessa scia, nelle prime ottanta pagine (dopo non so, e non lo saprò mai, e mi crogiolerò in questa ignoranza) Scurati inserisce una dopo l’altra citazioni di Hegel, Hemingway, Nietzsche, Tolstoj, Neruda e Stendhal, tanto per citarne alcuni e scusa se sono pochi, non dimenticandosi di nominare anche il Noma di Copenhagen, nel quale il protagonista si vanta di aver mangiato pure senza prenotazione (a proposito, è notizia dell’altro giorno che anche quest’anno il locale è assurto al ruolo di miglior ristorante del mondo).
Come dicevo, dopo ottanta pagine ne avevo i marroni pieni.
Oltretutto, leggendo una storia attraverso la quale io, come la quasi totalità degli altri maschietti maturi, sono già passato; esperienza già fatta, con poco di diverso, e senza alcuna voglia di sentire qualcun altro che me la ripete cercando di far vedere quant’è bravo. Oh, sì, Scurati bravo lo è senz’altro e ha fatto di tutto per metterlo in bella mostra.
Un bravo per pochi.
Leggo in rete che oltre ai vari titoli accademici è anche un insegnante di scrittura creativa. Lo sono anch’io. Anche se non così dotto e acculturato come lui. Ai miei “alunni” io cerco di far capire il valore della sobrietà nella scrittura: l’uso di un linguaggio semplice, di termini accessibili a tutti, di una sintassi lineare. Il lettore devi prenderlo, non stupirlo col tuo sapere.
Chissà se nei suoi corsi anche lui divulga lo stesso concetto. E nel caso, sarei curioso di conoscere la giustificazione per questa discrepanza tra operato del discente e insegnamento ai discepoli: predicare bene e razzolare male?
Il Lettore nauseato dalla perfezione

sabato 12 settembre 2015

Viaggio in India

Quanto tempo era che non leggevo Hermann Hesse!
Di sicuro più di venticinque anni. Dopo aver letto, a cavallo dei vent’anni, una buona parte dei suoi libri: da Siddharta a Il gioco delle perle di vetro (tanto per citarne solo due, rigorosamente in ordine cronologico ma anche di numero di pagine), ho lasciato passare veramente tanto tempo prima di riprendere in mano questo Viaggio in India del 1913 che costituisce un prodromo della sua produzione più celebre.




In realtà Hesse aveva cominciato a scrivere fin da prima che scoccasse il 1900, ma delle opere antecedenti questo diario di viaggio è restato famoso solo il Peter Camenzind. Un viaggio che lo scrittore tedesco ha iniziato appena compiuti i trent’anni sulla scia delle esperienze di genitori e nonni: ci sono uomini che, non sopportando più l’atmosfera di una casa affollata di moglie e tre figli piccoli, cominciano a giocare a bridge, Hesse si è preso una pausa di riflessione trasferendosi dall’altra parte del mondo. Ma poi è tornato a casa (a differenza di altri), e si è messo a scrivere sul serio fino a ottenere il Nobel nel 1946.
Questo Viaggio in India è stato un po’ una sorpresa: ho scoperto un Hermann Hesse più semplice per non dire terra terra, meno maturo di colui al quale ero abituato e più legato alle cose di vita comune, fosse una buona cena o una sigaretta, sempre riflessivo e acuto nelle sue considerazioni ma lontano dalle atmosfere magiche e misteriose de Il lupo della steppa o dalla spiritualità di Narciso e Boccadoro. Del resto, forse, il tema del contrasto tra natura e spirito si è evoluto in Hesse anche grazie a questo viaggio in cui, come molti occidentali, ha voluto toccare con mano le differenze tra la cultura europea e quella asiatica, e del quale si sente poi traccia in tutte le sue opere successive.
Più volte, leggendo, per come riporta la cronistoria dei luoghi visitati e degli incontri che lo hanno colpito inserendovi le sue considerazioni, mi ha ricordato Tiziano Terzani, che come Hesse era rimasto affascinato dall’Oriente e vi ha ambientato le sue peregrinazioni diverse  decine di anni dopo fino a scriverci sopra parecchi libri. Anche a distanza di tanti anni gli ambienti descritti sono analoghi, quasi immutati gli usi e i costumi, a testimonianza di abitudini radicate da secoli in un mondo del tutto diverso dal nostro che i due scrittori hanno narrato in modo sorprendentemente simile.
Lo stile di Hesse è più “grezzo” rispetto a quello che ricordavo, ma l’ultimo libro suo che avevo letto era stato proprio il “Gioco” del quale avevo ancora in mente la prosa adamantina, e cinquant’anni di differenza tra le due stesure costituiscono una notevole differenza. A parte il fatto che molte piccole stonature potrebbero essere imputabili alla traduzione risalente agli anni ’70:
La gigantesca farfalla, attratta più volte dalla luce, si era ormai bruciata le ali. Presi a cercarla e la trovai sul pavimento priva di vita. Quando la sollevai, il suo corpo, già in parte rosicchiato brulicava di quelle minuscole e grige formiche nane, che qui si ritrovano nello zucchero, nelle scarpe, nelle calze, nella scatola delle sigarette e nel letto, e sulla cui selvaggia avidità di preda si impara presto a scrollare le spalle, come sulla crudeltà dei cinesi, sulla falsità dei giapponesi, sulla mania di rubare dei malesi e su altri piccoli e grandi mali dell’Oriente.
Non che in questo brano vi siano errori ― a parte quel “grige” che nel libro è scritto proprio con questa grafia, senza “i” ― e avevo pensato di citarlo per rimarcare come anche ai primi del ‘900 gli stereotipi sui popoli orientali fossero simili agli attuali, ma può costituire anche un esempio della maniera, non sbagliata, ma perlomeno discutibile di come sono inserite le virgole in tutto il testo.
Bene, ho un’oretta da far passare e quasi quasi, per rifarmi la bocca con uno stile più maturo, mentre riporrò questo volumetto sullo scaffale lascerò che il Siddharta mi resti attaccato alla mano e ne rileggerò qualche pagina a caso…
Il Lettore

martedì 8 settembre 2015

Grazia Cherchi

Lo ammetto, ho barato. Recensire un libro che ancora in pochi hanno letto lo so che è una cosa che non si dovrebbe fare, ma intanto vi faccio venire la curiosità, no?
Una specie di stupida rivalsa, perché io stesso ci sono stato per molti mesi con la curiosità di leggere questa biografia di Grazia Cherchi, scritta nientedimeno che da Michela Monferrini, della quale conoscevo il progetto di creazione fin dal primo work in progress e di cui ho letto con ansiosa aspettativa i capitoli in bozza man mano che Michela li inviava ad Ali&no Editrice.
Proprio l’altro giorno sono venuto in possesso di una delle prime copie uscite dalla tipografia e finalmente mi sono potuto rileggere il libro ultimato, stampato e completo delle interessantissime fotografie di Vincenzo Cottinelli, foto che altro non fanno che rendere reale un mito di quelli che, stando sempre nascosti, plasmano la cultura. Ma voi non abbiate timore: agosto è passato, i distributori sono tornati all’opera e proprio in questi giorni questa farfalla si dovrebbe poter trovare anche in libreria.




Forse il nome di Grazia Cherchi era noto a pochi, ma le persone importanti in certi ambienti  la conoscevano eccome. Il lavoro dell’editor viene svolto mantenendo sempre un basso profilo, e magari i nomi che si vengono a conoscere sono quelli di coloro con cui quell’editor ha lavorato, che quell’editor ha scoperto, quelli nei quali l’editor ha intravisto le potenzialità del grande scrittore e ha contribuito nel farle emergere.
Vogliamo fare alcuni di questi nomi? Alessandro Baricco, Stefano Benni, Clara Sereni, Lalla Romano, Adriano Sofri, Walter Veltroni, Gianni Riotta, Gad Lerner… e molti altri che sono passati attraverso l’amicizia o sotto la matita rossa di Grazia e hanno acquisito da lei quel qualcosa in più che li ha fatti diventare ciò per cui sono famosi. Dice di lei lo stesso Alessandro Baricco: “Mi ha insegnato, più che altro, un certo modo di stare al mondo.
E Stefano Benni: “C’è un po’ di lei in tutte le mie donne coraggiose.
Mentre Vincenzo Cottinelli, l’amico che per più di vent’anni l’ha fotografata innumerevoli volte, la ricorda con un affetto lapidario: “Lavorava sempre. Dormiva poco, fumava molto.
Grazia Cherchi è stata una figura importante della cultura italiana: editor, critica letteraria, giornalista, fondatrice e direttrice dei Quaderni Piacentini nonché scrittrice lei stessa, e Michela Monferrini ne tratteggia uno squisito ritratto dal tono pacato ma esaustivo, intrigante come un romanzo, nel quale sottolinea lo spessore della Cherchi lasciando molto spazio alle testimonianze dirette delle persone che l’hanno conosciuta e da lei stessa intervistate.
Nel libro è interessante notare l’empatia che si è creata fra il personaggio indagato e la scrittrice alla sua ricerca, l’interesse crescente, la scelta azzeccata delle citazioni e il sentimento con cui la Monferrini descrive i tratti caratteriali di questa protagonista da lei conosciuta solo sulla carta e dai ricordi di chi la stimava, e che emerge ad esempio quando ne descrive la scrivania, vista solo in foto, una scrivania ingombra di fronte a una parete bianca, da scrittore, ma quella foto è bastata per capirne l’essenza: “… come se tutto fosse lì in modo tale che si potesse restare seduti per molto, lavorare senza alzarsi mai; (…) Una scrivania da immersione.
Michela Monferrini ha acquisito notorietà dapprima arrivando in finale in diversi concorsi letterari, quindi narrando in un saggio i luoghi fisici e letterari di Raffele La Capria e il suo stesso romanzo d’esordio, Chiamami anche se è notte, è stato finalista del Premio Calvino 2012 e del Premio Zocca Giovani 2015. Dopo aver letto questa biografia, la seconda volta con un interesse se possibile ancora maggiore rispetto alla prima, sono convinto che di lei se ne sentirà parlare ancora molto.
Il Lettore

domenica 6 settembre 2015

Lo Squizzalibro di domenica 6 settembre

Che stanchezza (e dillo a me!). Dopo un periodo di super impegni mi sento veramente a terra (arifacci…). Che poi, fosse stanchezza fisica si potrebbe anche risolvere: basterebbe stendersi e rilassare muscoli e ossa (sai che scoperta…), ma per la stanchezza mentale questo a poco servirebbe. Il cervello funziona sempre e stai sempre a pensare alle cose a cui non dovresti (va bene, sei stressato, chissenefrega, ce li dai questi indizi?).
Ma passiamo subito allo Squizzalibro di oggi, perché tanto se sei stanco non importa un cazzo a nessuno e tanto vale dire sempre che stai benissimo: oh, ciao, come stai? Magnificamente, grazie! E sono tutti contenti, si parli d’altro (a questo mi sa che la stanchezza gli ha dato alla testa…).




1 – Anche per oggi il libro da indovinare è una biografia (un’altra? Ma anche quindici giorni fa…) sì, lo so, sono ripetitivo ma che volete, quando sono fatte bene le biografie a me piacciono, e scavando nella vita di qualche personaggio che merita si vengono a scoprire cose interessanti.
2 – Stavolta è la storia della vita di un personaggio scomparso da pochi anni, direi attualissimo (Lucio Battisti? Fabrizio De Andrè? Lucio Dalla?).
3 – No. Non così famoso. Anzi, famosa lo è stata, perché si parla di una donna, ma solo all’interno di una cerchia di persone non propriamente ristretta ma in un certo senso elitaria (cavolo, stavolta mi hai incuriosito… sarà mica Margherita Hack? O Elvira Sellerio?).
4 – Perdincibacco, come ti è venuto in mente? Non è nessuna delle due ma ti sei avvicinato parecchio… Ti dirò di più: la donna di cui si parla è stata una delle colonne portanti della cultura italiana, ed è scomparsa nel 1995 (ah be’, ma così è troppo facile!)
5 – L’autrice della biografia è anch’essa donna: una giovane scrittrice italianissima, romana de Roma,  da poco emersa fino a raggiungere i vertici del panorama letterario nazionale (oohhh, era ora che facevi spazio a qualche giovane, altro che Wilde e Brecht!).
Ma stattene un po’ zitto, che sono stanco e mi fa anche un po’ male la testa (arichissenefr…) e ti avverto, giusto perché sono buono, se hai già indovinato aspetta qualche giorno a precipitarti in libreria, perché questo libro prezioso è ancora introvabile… (ma… come? Introvabile? Ma che scherzo del…) no, dai, abbi pazienza solo per pochi giorni, dopodomani ti spiego tutto.
Freereader

giovedì 3 settembre 2015

Elenchi e liste

Qualche giorno fa una cara amica mi ha rivolto tramite la rete una domanda di quelle che al solo pensare di rispondere in maniera razionale mi prendono i sudori freddi, mi si annebbia la vista, mi si sconvolgono le budella e cado rapidissimamente in uno stato di deliquio incosciente dal quale è difficile riemergere se non dopo aver preso un caffè seguito da un grappino, acceso una sigaretta e rimboccato le maniche.




La domanda era questa:
Mi faresti una lista di dieci libri secondo te "necessari"?
Dopo essere passato nell’ordine per tutte le fasi di cui sopra, mi sono accinto a digitare una risposta, la “mia” risposta, pur sapendo che la destinataria non ne sarebbe rimasta soddisfatta. Tolti i riferimenti personali, eccola qui parola per parola (la mia amica può testimoniare):
Per quanto riguarda la lista, mi sono chiesto spesso in passato quali libri avrei inserito in un mio elenco ideale di libri "indispensabili": non sono mai arrivato ad una conclusione, così come non ho mai deciso neanche quale libro poter mettere al primo posto in assoluto dei preferiti. Me ne chiedi dieci, ma anche se me ne avessi chiesti cento mi sarei sempre domandato: perché "questo" sì e "quell'altro" no? Ho deciso che non vale la pena compilare liste che in ogni caso sarebbero estremamente soggettive e discutibili. Il caso è diverso se mi avessi chiesto: se dovessi scegliere "un solo" libro da portare con te in un'isola deserta, quale sceglieresti? Allora ti risponderei la "recherche" di Proust a colpo sicuro, per la profondità, la complessità e la raffinatezza e non ultima la lunghezza. Pur non essendo il mio libro preferito in assoluto. Il discorso è troppo complesso per poterlo racchiudere in una lista finita.
Al giorno d’oggi sembra che uno degli sport preferiti di alcuni giornalisti sia quello di compilare liste di libri. Nei giornali on line se ne trovano ogni giorno: I Dieci Migliori Libri Da Spiaggia; I Quindici Romanzi Storici Più Inventati; I Venti Gialli Che Non Leggerete Mai; I Venticinque Romanzi Rosa Da Non Leggere Ma Da Esibire Obbligatoriamente Sul Tavolino Del Salotto; I 25.768 Libri Assolutamente Necessari Nella Vostra Vita e così via. Non se ne può più.
Molto tempo fa andavo a guardarle, per curiosità, anche tenendo conto della debolezza congenita che mi porta a dover leggere ad ogni costo un libro consigliatomi da un amico, ma dopo breve tempo ho rinunciato: mi sono reso conto che quei giornalisti non fanno parte della cerchia dei miei amici.
Come avrete già visto dai contenuti di questo stesso blog, io sono un lettore compulsivo e onnivoro e ricavo dalla lettura un appagamento intimo che è necessariamente diverso da quello provato da qualsiasi altra persona. Sono diversi i modi di pensare, i caratteri, le sensibilità, le risposte di cui si è in cerca, oltre all’esperienza pregressa, e non è detto assolutamente che ciò che piace a me piace anche a te o viceversa. Esempio: il mio editor e io, nonostante il pressoché simile (ed enorme) quantitativo di libri letti da ciascuno e nonostante le affinità elettive che ci hanno anche fatto finire col coabitare (!!!), in fatto di letture abbiamo gusti molto diversi e, oltre a divergere nelle opinioni sui libri letti da entrambi, ci troviamo a ignorare del tutto alcuni autori cari all’altro per la semplice ragione che non ci piace come autore.
Con queste premesse, come posso stabilire che un libro è necessario per un’altra persona? Impossibile. Mi direte: va be’, tu dimmi la tua poi decido io, ma anche per questo valgono le righe scritte sopra. Non ti posso dare una lista, ti dovrei spiegare per ogni opera il perché la ritengo degna di considerazione. Ma del resto, non è quello che sto facendo su queste pagine?
L’importante è leggere, leggere, leggere. Di tutto e di più. Capiteranno occasioni in cui si rimpiangeranno le scelte, ma saranno episodi necessari e ben presto soppiantati dalla soddisfazione di essere incappati in qualcosa di pienamente soddisfacente.
Anche se a te, cara amica, non ho proprio alcun bisogno di spronarti…
Freereader