Su questo blog non ho mai recensito un libro di poesie, e ho gentilmente pregato
l’editore per il quale leggo e valuto gli inediti che pervengono in redazione
di non inoltrarmeli se sono sillogi di poesie.
Questo perché io non amo la
poesia. Per meglio dire: non amo i poeti contemporanei.
Come scrivevo da qualche
altra parte una poesia, rispetto a un’opera di narrativa, possiede l’enorme vantaggio di essere di molto più corta, e perciò oggigiorno tutti, ma proprio tutti, si reputano in
grado di scrivere una poesia. Eccheccivuole!
Un’oretta di concentrazione e vai! Ne posso scrivere anche una al giorno, basta
cercare parole che fanno colpo e metterle assieme nel modo più astruso
possibile cercando di essere il più melensi possibile. Va be’, sì, lasciamo
perdere, chiudiamo qui che è meglio.
Però amo i gatti, e quando è capitato in casa questo libretto non ho potuto fare a meno di
scorrerne le pagine.
Vi domanderete: e come ha
fatto un libro del genere a capitarti
a casa? Presto detto: il mio editor è
appassionato di tutto ciò che è greco nonché di gatti, quindi… e considerate
che ogni poesia ha pure il testo a fronte in lingua originale greca! Che già il fatto che usino un alfabeto
diverso dal nostro (e non mi venite a dire che quello è stato inventato prima…)
mi provoca le convulsioni.
Leggere poesie tradotte in
un’altra lingua poi, ha ancora meno
senso che leggerle nella propria: si perdono tutte le assonanze fonetiche
proprie dell’idioma che l’autore ha voluto inserire nell’opera e ne resta solo
il significato nudo e crudo che poi, se il traduttore è stato in gamba, è stato
anche rivestito di un qualcosa che può assomigliare all’intenzione originaria,
ma che non sarà mai la stessa cosa.
Fatto sta che queste le ho
lette e, sorvolando sul miserrimo
tentativo di questi traduttori di
renderne la musicalità in italiano, devo dire che al di là della forma-poesia mi sono gustato le storie
dei vari gatti con i quali l’autore,
Nikos Dimou, pubblicitario, editorialista e scrittore greco, è entrato in
contatto e dai quali ha preso lo spunto.
Storie in genere toccanti e
tristissime, come potete immaginare, che di norma vanno a finire male: se già
la vita dei gatti di strada italiani non è il massimo (come quotidianamente ci
racconta l’amico blogger de I gatti di Monte Malbe), quelli greci
possono stare anche peggio. E sono tristi non solo le storie dei gatti di
strada, ma anche quelle dei più fortunati gatti di casa che di solito va a
finire che muoiono pure loro. La cosa strana è che Dimou dedica proprio ad un
gatto che è stato suo compagno personale l’ultimo capitolo del libro, e non in
poesia ma in prosa: un resoconto
struggente e non in versi del suo rapporto con Mupsi, con il quale sembra esistesse una strettissima simbiosi come
a volte si crea tra uomo e animale. Forse è perché ha scelto di mostrarla con
la narrativa e non in poesia, che risulta essere il brano migliore del libro?
Dello stesso Nikos Dimou mi è capitato in casa anche
L’infelicità di essere greci, una
raccolta di aforismi in gran parte collegati tra di loro dal filo logico del
concetto secondo il quale un intellettuale
greco è la persona più infelice
del mondo, perché gli intellettuali e gli artisti sono gli esseri umani più
infelici, e perché quello greco è il più infelice tra tutti i popoli.
E per oggi in quanto ad
allegria siamo a posto.
Il Lettore
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