Come dicevo pochi giorni
fa, a me i lupi sono sempre piaciuti
molto fin da quando ero piccolo. Nel corso degli anni mi sono documentato su di
loro anche su testi strettamente universitari e la mia biblioteca contiene
diversi romanzi e saggi su questi canidi. Passione protratta fino al punto di condividere totalmente la mia vita con
uno di essi per dieci anni in un'esperienza indimenticabile. Ma di questo non parlerò, dal momento che esula
dagli scopi di questo blog.
Adesso, in seguito alla
rinnovata recrudescenza di attacchi
contro questa razza che da qualche tempo viene perseguita da politicanti ottusi e cacciatori deficienti, ho voluto
ripescare questo esilarante romanzo del 1963 nel quale Farley Mowat racconta la sua esperienza personale di contatto con
un branco di lupi artici, e dal
quale nel 1983 è stato tratto un film con la regia di Carroll Ballard.
Mai
gridare al lupo è la
storia reale di un giovane biologo incaricato dal governo canadese di
investigare le cause dell’allarmante morìa di caribù nelle terre dell’estremo
Nord, ipotizzate principalmente nelle stragi ad opera dei lupi. Farley Mowat viene quindi condotto in
aereo in mezzo ai ghiacci canadesi e lasciato lì nella tundra, del tutto da
solo per alcuni mesi, nel corso dei quali non
solo entrerà in contatto con i temibili, orrorifici, feroci, terrificanti,
voraci, famelici, spaventosi e raccapriccianti animali, ma imposterà con loro
un rapporto situato ben oltre il connubio ricercatore-animale, fino a giungere
quasi ad immedesimarsi in loro e a capirne il modo di vivere come non era mai
stato fatto in precedenza da nessun’altro ricercatore.
Lo scienziato scoprirà così
come il ruolo del lupo sia assolutamente essenziale per la regolazione dei
rapporti interspecie nell’ambito di ogni ecosistema allo stato selvaggio, e
come quegli animali reputati sanguinari assassini siano in realtà estremamente
intelligenti, affettuosi, giocherelloni, genitori amorevoli e dotati di uno
spiccato senso sociale.
Le stragi di caribù? I responsabili erano ovviamente i cacciatori, che
si divertivano a inseguirne le mandrie falcidiandole con i fucili per puro divertimento
stando comodamente seduti a bordo di piccoli aerei da turismo. E i deficienti
lo chiamano sport.
Mowat ha rilevato come i
branchi di lupi si cibassero solo dello stretto necessario, principalmente topi, e come per loro quei pochi caribù
deboli e malati che fossero riusciti a cacciare rappresentassero solo ciò che
noi potremmo considerare il lusso del pranzo domenicale. In seguito molti altri
studi hanno confermato i riscontri dello studioso, non ultima un’indagine
imperniata sulla ricerca delle cause della deforestazione nel parco di Yellowstone: quando fu creato il parco
si dette avvio ad una campagna di eliminazione dei lupi residenti, per il
timore che uccidessero troppi alci e che infastidissero i visitatori. Dopo
pochi anni, si scoprì con stupore che nel parco non crescevano più né erba né
nuovi alberi. Cos’era successo? Eliminando i lupi, le popolazioni di alci erano
cresciute talmente tanto da cibarsi di qualsiasi cosa verde spuntasse dal
terreno, portando rapidamente al collasso l’intero ecosistema (fonte:
ora non ricordo quale degli interessantissimi libri di Bill Bryson – vedi).
Al di là dei significati
scientifici e sociali, comunque, Mai
gridare al lupo è un resoconto divertente dei mesi passati dall’autore
nella tundra ghiacciata, denso di paragrafi spassosissimi: dal primo incontro
con gli animali, in seguito al quale sia il lupo che lo scrittore hanno
rischiato di morire dalla paura, alle prove di assaggio della carne di topo per
accertare se la carica proteica e calorica potesse essere sufficiente a
sostentare un grosso mammifero, e così via, in una scorribanda di avventure
umano-lupesche simpaticissime e istruttive.
Ora vogliono di nuovo
cacciare dall’Italia, oltre agli orsi, quei pochi lupi che stanno cercando
faticosamente di sopravvivere in un ambiente sempre più antropizzato.
Pura barbarie, ignoranza
assoluta, fomentata da politicanti del tutto idioti a loro volta imbottiti di
cazzate da cosche di cacciatori anacronistici e giornalistucoli
accondiscendenti servi del sistema. A tutti loro vorrei consigliare, nella lontana
speranza che sappiano leggere, di studiarsi i saggi del professor Luigi Boitani, il maggior esperto
italiano di lupi, o di David Mech,
il più famoso ricercatore sul tema a livello mondiale, in modo che possano
capire qual è la situazione reale e comportarsi di conseguenza accendendo quel
briciolo di cervello che è loro rimasto. Utopia? Sì, forse è troppo arduo
sperare che i politici capiscano qualcosa, o che operino in modo utile alla
società. Al posto dei lupi, ci sarebbero ben altre bestie da cacciare. Su due
zampe.
Non solo sono belli, i lupi
sono utili e rappresentano un indicatore dello stato di salute di un territorio
così come gli orsi. E quando si legge nei giornali “pecore massacrate dai
lupi”, bisogna sapere che solo nell’uno
per cento dei casi la notizia è vera, e che nella restante parte le cause
della strage sono da ricercarsi in altre direzioni.
Avete presente quando un
lupo afferra un cucciolo per la collottola con le sue temibili zanne e lo
conduce al sicuro? Ecco, è da questo che deriva la locuzione “in bocca al
lupo”.
In bocca al lupo? Bisogna
rispondere: magari, grazie!
Il Lettore