Che in questo caso non è il
celeberrimo romanzo di Alexandre Dumas,
ma il titolo di un racconto di Italo
Calvino pubblicato sia nella raccolta di racconti Ti con zero (Einaudi), che in Calvino
- Romanzi e Racconti II
(Mondadori) e in Racconti matematici
(Einaudi), e il cui protagonista è lo stesso Edmond Dantès di Dumas inquadrato nel corso della sua prigionia nel
castello d’If.
Il racconto fa parte del
periodo dedicato da Calvino alla riscrittura
combinatoria, con la quale l’autore ha sentito la necessità di analizzare
testi scritti da altri e di sottoporli ad un’opera di “restauro” che ne
arricchisse il carattere con la sua personale interpretazione, e mostra un
Dantès riflessivo e meditabondo all’interno della sua cella mentre impiega il
suo tempo alla ricerca di una concreta possibilità di evasione.
Gli fa compagnia, senza
nemmeno accorgersene, un abate Faria còlto anche lui nella frenetica attività
di mettere in atto continui tentativi di fuga, tutti contraddistinti dal carattere
empirico e fallimentare, sulla base dei quali Dantès cerca di costruire
deduttivamente un suo personale piano di evasione.
Ma la genialità di Calvino consiste
nell’aver traslato i due personaggi
su un diverso piano di lettura, facendoli diventare i metapersonaggi di un
iperromanzo nel quale si confrontano con lo stesso Dumas per cercare di
individuare quale, tra tutte le varianti narrative possibili, sarà quella che
potrà permettere loro di fuggire dalla prigionia.
Il lettore rimane sorpreso
infatti quando l’abate, nel corso di uno dei suoi molteplici ed inutili
tentativi, irrompe nello studio dello stesso Dumas e scartabella tra i fogli in
cui sono riportate le numerose varianti del romanzo alla ricerca di quella in
cui è descritta l’evasione definitiva, entrando così in una metanarrativa che mescola realtà e
finzione letteraria.
Oltre a ciò, dal racconto
emerge la prosa squisita di Italo Calvino, sia nelle poderose descrizioni
fisiche dell’ambiente-fortezza che nelle elucubrazioni deduttive del marinaio,
che spaziano dalla geometria solida nel cercare di immaginarsi una plausibile
struttura del castello alle riflessioni sulle intersezioni possibili tra
finzione romanzesca e realtà storica.
E come non ammirare la
vicinanza a Borges e al suo Aleph
quando Calvino afferma: “In un caso o
nell’altro, a ben vedere, egli [l’abate Faria] tende al medesimo punto d’arrivo: il luogo della molteplicità delle
cose possibili. A volte io mi rappresento questa molteplicità concentrata in
una risplendente spelonca sotterranea, a volte la vedo come un’esplosione che
s’irradia. Il tesoro di Montecristo e la fuga da If sono due fasi d’uno stesso
processo, forse successive o forse periodiche come in una pulsazione”.
Se non l’avete ancora fatto
leggetelo, venti minuti di tempo ben spesi.
Il Lettore
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