martedì 1 dicembre 2015

La ruga del cretino

Stavolta Andrea Vitali non mi è piaciuto, e il fatto che a scrivere questa specie di thriller esoterico abbia contribuito anche Massimo Picozzi ha probabilmente peggiorato la situazione. Ci si sono messi in due a elaborare un gialletto storico slegato, senza capo né coda, con una narrazione che si perde in una miriade di rivoli, dal ritmo troppo frenetico e senza un finale soddisfacente.




Per prima cosa il ritmo: suddividere un giallo in 148 brevissimi capitoli (più quattro epiloghi), ognuno dei quali lascia in sospeso una vicenda, mi sa tanto del respirare di una persona asmatica. Dall’uno all’altro cambia la contestualizzazione, e il susseguente viene legato al precedente da un’imbeccatura (per esempio la risposta a una domanda riferita però ad un’altra  situazione) che ti fa vedere sì l’arguzia di un buon scrivere, ma dopo un po’ stufa. E questo è nello stile di Vitali, così come i dialoghi costituiti di parole dette e non dette, di frasi lasciate in sospeso delle quali il lettore deve intuire il significato.
Come al solito Vitali ambienta questa storia in quella che era la sua Bellano con il 1900 alle porte, tirando in ballo una miriade di personaggi dei quali all’inizio introduce tutte le problematiche che poi lascia lì senza dire che fine fanno, personaggi che all’inizio sono descritti troppo dettagliatamente per meritare di essere ignorati alla fine lasciando il posto a una trama poliziesca condita di esoterismo nella quale il presunto assassino appare nella vicenda troppo tardi e apparentemente senza scopo, e che per giunta si scopre poi che non c’entra quasi nulla lasciando che si formi nella mente del lettore la legittima domanda: hai voluto prendermi per il culo?
La comparsa poi del famoso Cesare Lombroso, con le sue astruse teorie che si è voluto ammantare di ricerche esoteriche, lascia il tempo che trova perché alla fine dei giochi non viene risolto proprio nulla e anzi, se c’era l’intenzione di ricordare gli inizi della criminologia e delle indagini scientifiche forensi, questo non è che sia riuscito un granché bene. Lo aveva fatto molto meglio Sergio Rossi nel suo Un lampo nell’ombra, anche lui tirando in ballo lo stesso Lombroso. Un’altra cosa che non mi è andata giù per nulla è il fatto che nel romanzo assumono grande importanza dei fogliettini ritrovati sulle scene del crimine con su riportate delle pseudo formule matematiche: be’, falle vedere queste formule, no? Mostracele, in modo che il lettore si renda conto delle stesse problematiche dei protagonisti, altrimenti il limitarsi a parlarne senza nemmeno descriverle lascia il tempo che trova.
Ma soprattutto, come dicevo prima, mi ha dato fastidio l’insistenza iniziale su certi personaggi (la Birce, la Serpe, Arcadio, Giuditta, la Perseghèta) ai quali dapprima sono dedicati parecchi capitoli inducendo il lettore a credere che siano loro i protagonisti, e che poi sono tranquillamente abbandonati a loro stessi senza che ne venga spiegata la risoluzione di un’evoluzione.
Non so da chi sia venuta fuori l’idea di questa trama e di questo romanzo, se da uno dei due autori, da qualche editor o da qualche editore fremente di vendere, ma quello che so è che uno con la fama di  Andrea Vitali se lo sarebbe potuto risparmiare.
Il Lettore
Lettore, Vitali, Picozzi

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