Stavolta Andrea Vitali non mi è piaciuto, e il fatto che a scrivere questa
specie di thriller esoterico abbia
contribuito anche Massimo Picozzi ha
probabilmente peggiorato la situazione. Ci si sono messi in due a elaborare un
gialletto storico slegato, senza capo né coda, con una narrazione che si perde
in una miriade di rivoli, dal ritmo troppo frenetico e senza un finale
soddisfacente.
Per prima cosa il ritmo:
suddividere un giallo in 148
brevissimi capitoli (più quattro epiloghi), ognuno dei quali lascia in sospeso
una vicenda, mi sa tanto del respirare di una persona asmatica. Dall’uno
all’altro cambia la contestualizzazione, e il susseguente viene legato al
precedente da un’imbeccatura (per esempio la risposta a una domanda riferita
però ad un’altra situazione) che ti fa
vedere sì l’arguzia di un buon scrivere, ma dopo un po’ stufa. E questo è nello stile di Vitali, così come i dialoghi
costituiti di parole dette e non dette, di frasi lasciate in sospeso delle
quali il lettore deve intuire il significato.
Come al solito Vitali
ambienta questa storia in quella che era la sua Bellano con il 1900 alle porte, tirando in ballo una miriade di
personaggi dei quali all’inizio introduce tutte le problematiche che poi lascia
lì senza dire che fine fanno, personaggi che all’inizio sono descritti troppo
dettagliatamente per meritare di essere ignorati alla fine lasciando il posto a
una trama poliziesca condita di esoterismo nella quale il presunto assassino appare nella vicenda troppo tardi e apparentemente
senza scopo, e che per giunta si scopre poi che non c’entra quasi nulla
lasciando che si formi nella mente del lettore la legittima domanda: hai voluto prendermi per il culo?
La comparsa poi del famoso Cesare Lombroso, con le sue astruse teorie
che si è voluto ammantare di ricerche esoteriche, lascia il tempo che trova perché
alla fine dei giochi non viene risolto proprio nulla e anzi, se c’era
l’intenzione di ricordare gli inizi della criminologia e delle indagini
scientifiche forensi, questo non è che sia riuscito un granché bene. Lo aveva
fatto molto meglio Sergio Rossi nel
suo Un lampo nell’ombra, anche lui
tirando in ballo lo stesso Lombroso. Un’altra cosa che non mi è andata giù per
nulla è il fatto che nel romanzo assumono grande importanza dei fogliettini
ritrovati sulle scene del crimine con su riportate delle pseudo formule
matematiche: be’, falle vedere queste formule, no? Mostracele, in modo che il
lettore si renda conto delle stesse problematiche dei protagonisti, altrimenti
il limitarsi a parlarne senza nemmeno descriverle lascia il tempo che trova.
Ma soprattutto, come dicevo
prima, mi ha dato fastidio l’insistenza iniziale su certi personaggi (la Birce,
la Serpe, Arcadio, Giuditta, la Perseghèta) ai quali dapprima sono dedicati parecchi
capitoli inducendo il lettore a credere che siano loro i protagonisti, e che
poi sono tranquillamente abbandonati a loro stessi senza che ne venga spiegata
la risoluzione di un’evoluzione.
Non so da chi sia venuta
fuori l’idea di questa trama e di questo romanzo, se da uno dei due autori, da
qualche editor o da qualche editore
fremente di vendere, ma quello che so è che uno con la fama di Andrea
Vitali se lo sarebbe potuto risparmiare.
Il Lettore
Lettore, Vitali, Picozzi
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