venerdì 29 aprile 2016

Personal

Ci risiamo.
Sono al bar con una mia cara allieva a gustarci il caffè di metà mattina e parlare di qualche autore (sia bene che male, ma stavolta non faccio nomi), quando d’improvviso lei mi domanda: “Mi hanno parlato bene di Lee Child. L’hai mai letto? Cosa ne pensi?
Figuratevi. Un invito a nozze! Le traccio in poche parole la biografia letteraria di Jack Reacher, le enumero i numerosi pregi (che se mi avete seguito fin qui anche voi conoscete benissimo) e le do consigli sulle migliori letture da attuare in ordine cronologico. Quindi ci salutiamo, e mentre torno a casa incontro un’altra mia amica (per fortuna il mio editor sembra non sia geloso…) che tanto bene stava andando a piedi in libreria. Mi offro di accompagnarla (arifigurarsi! Un secondo invito a nozze!) e come entriamo nel negozio tappete! Su uno dei banchi mi appare l’ultima avventura del nostro…
Sarà stato un segno del destino.
Me ne approprio al volo, torno a casa e, tanto per un assaggino, decido di leggere la prima pagina. Solo la prima, per avere un’idea, del resto sono a metà di un altro libro che intendo terminare al più presto. Un assaggino, solo la prima e poi basta.
Centotrentacinque pagine dopo mi costringo a forza a interrompere la lettura. Sorrido a me stesso, scuoto la testa e mi dico che del resto avrei dovuto saperlo.




Non starò a farla tanto lunga. Di Child e del suo Reacher ne ho già parlato diffusamente in passato e non farei altro che ripetermi; se ne volete sapere di più cliccate sul nome “Child” nella colonna qui a destra.
In questa avventura Reacher torna a girare per il mondo su incarico coatto del governo degli Stati Uniti, con l’intento di neutralizzare un tiratore che ha provato ad impallinare il presidente francese senza riuscirci e probabilmente vorrà ripetere il tentativo allargando i bersagli anche al presidente americano e al premier inglese in occasione di un imminente G8 in quel di Londra.
Lo mettono in mezzo perché l’assassino è in assoluto il miglior cecchino mai uscito dall’esercito statunitense, capace di centrare una testa a milletrecento metri di distanza e, guarda caso, era stato sbattuto in galera dallo stesso Reacher qualche anno prima in seguito a una sua malefatta.
Quindi il nostro parte alla caccia e si trova dapprima a scampare alla morte per un soffio nei pressi della Torre Eiffel, quindi a combattere a suon di sganassoni e pistolettate con buona parte della criminalità londinese, e alla fine risolve il problema lasciando anche spazio al classico colpo di scena finale che taccio per non rovinarvi la sorpresa.
Sarò deviato, ma a me è piaciuto anche questo.
D’accordo, dopo una quindicina di romanzi cominciano a ripetersi alcuni episodi e situazioni più o meno già viste, ma lo stile di Child è così potente che te lo fa perdonare. Il libro si legge in una volata, sembra che l’inglese sappia sempre esattamente come mettere le parole per non annoiarti, sappia sempre cosa dire e cosa non dire per mantenere sveglia l’attenzione, lasciando che la fluidità di lettura scorra senza intoppi fino alla fine. Se non ci si limita a osservare “eehhh… ma qualcosa di simile l’ha fatto succedere anche in un altro libro…” e si gusta l’avventura presente per il piacere di leggere, ci si accorge di essere di fronte a un vero maestro del genere.
Basta così, altrimenti vi annoio io. Alla prossima!
Il Lettore 

mercoledì 20 aprile 2016

Le conseguenze dell’odio

È la prima volta che leggo Elizabeth George, ma già da prima di iniziare questo romanzo sapevo come al momento sia considerata una delle più quotate gialliste sulla piazza mondiale. Certo è che nell’accingersi a iniziare un suo romanzo un lettore deve dotarsi di una considerevole dote di pazienza, perché affermare che il ritmo della George è “lento” è solamente un eufemismo.
Basti pensare che i protagonisti seriali dei suoi romanzi, gli investigatori (l’ispettore Thomas Lynley e il sergente Barbara Havers), in questo caso compaiono solo dopo cento pagine dall’inizio, il primo morto ammazzato dopo duecento, e il fatto che questo si tratti effettivamente di un omicidio dopo duecentocinquanta. Questo lascia capire come esso non possa proprio essere considerato come un giallo “d’azione”.




Ritmo lento, dunque, con un’attenzione particolare rivolta all’introspezione e al mostrare al lettore tutte le sfaccettature dell’ambiente in cui si svolge la vicenda e soprattutto del modo di vivere e interagire della moltitudine di personaggi che ne costituiscono il materiale umano.
La prima parte del romanzo è infatti tutta dedicata a inquadrare la variegata contestualizzazione e i personaggi che vi si muovono come protagonisti, partendo da un passato remoto e dedicando parecchie pagine ad ognuno di essi, ai suoi problemi (e ne hanno tutti) e ai rapporti che esistono tra di loro, lanciando anche frequenti incursioni nei passati personali.
Nonostante la lentezza comunque il libro si legge bene: lo stile è molto curato, la George “mostra” e non dice e riesce benissimo a far emergere il carattere dei personaggi. Coloro che lei vuole far apparire antipatici non si sopportano proprio, e si comportano in un modo tale da far crescere nel lettore una repulsione istintiva nei loro confronti.
Come in ogni giallo che si rispetti si resta indecisi fino alla fine su chi sia effettivamente il colpevole: la George suggerisce al lettore di puntare in una direzione ma lascia aperte parecchie strade ognuna delle quali plausibile, per cui non c’è la certezza di averci azzeccato fino a che non te lo rivela l’autrice stessa, e quando lo fa allora giustifichi anche tutte le pagine che ha impiegato per dirtelo, perché all’origine del delitto ci sono i segreti più inconfessabili riposti nei meandri più nascosti di alcune famiglie e che lei ha voluto rappresentare in qualche modo. C’è riuscita, ma in ogni caso almeno qualche pagina se la sarebbe potuta risparmiare: la trama risulta essere un po’ troppo diluita fino a sfiorare l’insorgenza nel lettore dell’esasperazione, per dare spazio a minuziose descrizioni dei caratteri dei personaggi che, se nel complesso sono anche giustificate, mentre leggi risultano un po’ pesanti.
Ripeto che è la prima volta che leggo la George, e di conseguenza non posso valutare i cambiamenti succedutisi nel corso di diciannove romanzi nella rappresentazione dei personaggi seriali e dei loro problemi spiccioli. Leggo in rete che col tempo il carattere dell'ispettore e del sergente si è modificato e così la percezione del lettore nei loro confronti, ma se da un lato questo non ho modo di apprezzarlo, posso comunque dire che a me sono sembrati plausibili e coerenti con l’immagine che ne ha voluto dare l’autrice.
Però la maggior parte dei commenti che ho letto concordano nell’affermare che questo romanzo è molto lontano (in peggio) dai primi della George e ciò ― dal momento che a me nel complesso è piaciuto anche se per leggerlo ci ho messo una settimana ― mi predispone bene per una futura lettura di altre sue opere più datate.
Il Lettore 

domenica 17 aprile 2016

Lo Squizzalibro di domenica 17 aprile 2016

Buongiorno a tutti. Sono in procinto di uscire e andare a svolgere il mio dovere di cittadino responsabile, ma al momento non so ancora se barrare la casella del SÌ o del NO su quella scheda che mi accompagnerà nella cabina.
La mia formazione scientifica e la mia coscienza ― e la ragione scevra dalla pubblicità partitica e mediatica ― mi imporrebbero di andare lì e senza indugi barrare il NO, ma dal momento che questo è ciò che vuole un governo che non è stato eletto da nessuno e che, inoltre, sta illegalmente incitando gli sprovveduti a non partecipare al referendum, penso proprio che andrò al seggio e marcherò senza remore la casella del .
Tanto siamo tutti consapevoli che questa è una consultazione che non serve a un benemerito cazzo, e se il mio andare contro coscienza servisse un minimo a mandare a casa qualcuno, diamoci sotto.
Ma veniamo a noi. Il libro da indovinare questa settimana…




1 – … è un giallo, un giallo puro, tradizionale, con i suoi morti ammazzati e i suoi intrighi misteriosi, in uno stile classico dei più puri.
2 – Nonostante i suoi gialli siano ambientati nell’Inghilterra più profonda, l’autrice, perché di donna si tratta, è statunitense, californiana di adozione e insegnante di lingua inglese.
3 – Mi stavo dimenticando di dire che come scrittrice di gialli è famosissima. Non al livello di un’Agatha Christie, intendiamoci, ma quasi come una P.D. James.
4 – Il romanzo da indovinare è l’ultimo di una serie di ben 19 (diciannove!) libri con lo stesso protagonista seriale: un investigatore di Scotland Yard con ascendenze nell’alta borghesia londinese, dai modi compassati e aristocratici che si scontrano spesso con quelli più plebei dei suoi subordinati.
5 – Non posso dire di più, anche perché il libro non ho nemmeno finito di leggerlo, se non invitare a munirvi di tanta pazienza nel caso voleste cimentarvi con questa autrice: il primo omicidio viene commesso solo dopo duecento pagine…
Via, facciamoci forza e usciamo a compiere il nostro dovere. Servisse a qualcosa…
Freereader

sabato 9 aprile 2016

Il labirinto ai confini del mondo

Va bene, basta così.
È più di una settimana che non pubblico nuovi post, e questo per un motivo molto semplice: non riesco più a leggere durante il giorno a causa di una miriade di impegni, e l’unico momento che ho a disposizione è la sera una volta andato a letto. E se il libro che sto leggendo non è buono… nello spazio di mezza pagina mi addormento con la faccia sopra al foglio e la luce accesa, e addio buoni propositi di lettura.
È più di una settimana che trascino in questo modo la lettura di questo Il labirinto ai confini del mondo. Mi sono stufato, anche se non sono nemmeno a metà, e sono arrivato alla conclusione che dei destini di Ignazio da Toledo non me ne può fregare di meno.




Del resto, dei tanto decantati romanzi di Marcello Simoni questo non è il primo che non riesco a terminare. Ci avevo provato con Il mercante di libri maledetti, solo perché me lo aveva prestato un amico irretito dall’essersi trovato davanti a un fenomeno mediatico gonfiato della pubblicità che gli ha fatto vincere, immeritatamente, il Bancarella, e avevo retto solo poche pagine: ritmo da scuola elementare, ingenuità a non finire, trama trita e ritrita, dialoghi insulsi, senza contare il solito rifarsi all’esoterico e al mistero senza motivazioni sostanziali.
Lo avevo schedato tra gli irrecuperabili dopo neanche 20 o 30 pagine. Ma poco tempo fa mi è capitato sotto mano questo “seguito”, anche questo per caso, perché se ci avessi speso qualcosa mi sarei già sparato un colpo, e visto che ormai ce l’avevo ho voluto riprovarci. Ben mi sta.
Devo dire che in questo caso le ingenuità che avevo trovato nel primo della serie sono state un pochino ridimensionate, soprattutto nello stile, e la lettura scorre via più liscia. Di certo è merito dell’esperienza acquisita dall’autore nello scrivere i precedenti della serie, perché non sono così cattivo da essere convinto che qualche editor si sia detto: “oh, stó tizio ha vinto il Bancarella, i prossimi romanzi cerchiamo di sistemarglieli un po’ meglio…”. Convinto no, ma pensato l’ho pensato.
Però restano i soliti arcani (sette super segrete, misteriosi mantelli decorati in cerca del padrone…) che hanno stufato e dei quali non ti viene nessuna voglia che ti siano svelati; l’assenza di motivazioni concrete; i personaggi senza spessore (o al contrario esagerati); l’enfasi nell’adoperare termini che “forse” andavano di moda nel 1200, come putta per “puttana”, o l’insistenza di inserire in ogni pagina vocaboli in latino (con spesso la traduzione in nota a pié pagina), forse per far vedere quanto l’autore è colto. E anche in questo caso colui che dovrebbe essere il protagonista, questo fantomatico Ignazio, appare molto poco e non fa nulla di nulla. Perlomeno fino a metà libro. Poi forse si riscatterà anche, ma chissenefrega.
I dialoghi non sono migliorati: restano insulsi anche in questa occasione, e l’unica cosa per la quale posso ringraziare l’autore è che sono diverse sere che non ho alcuna difficoltà ad addormentarmi.
Tradotto in 18 paesi… 1.000.000 di copie vendute nel mondo… recita la pubblicità di questo romanzo. Sarà.
Se fosse vero, sarebbe un’ennesima dimostrazione di quanto il gusto e la capacità critica di una massa di lettori, tutti quelli che l’hanno trovato “buono”, si siano imbarbariti fino a un punto di non ritorno. Nient’altro che una conferma, purtroppo.
Il Lettore (proprio proprio stufo, ma proprio)