Il periodo di lettura a rilento prosegue. La cosa consolante è
che non sono solo: proprio ieri una mia amica, altra lettrice compulsiva, mi
diceva che in questo periodo non riesce a leggere come vorrebbe. Quando entro
nel letto la sera e prendo qualsiasi libro, al massimo riesco ad andare avanti soltanto
per una o due pagine prima di cadere in coma.
Con Child in genere questo non succede, e sto aspettando con ansia la sua
prossima uscita (tra un mesetto, ndf).
Sarà la primavera? La
vecchiaia? Sarà perché le alte sfere non hanno intenzione di mandare su questo
governo? Sarà quel che sarà, la cosa mi infastidisce
molto. Pensavo che si potesse ovviare con un romanzo leggero, ma anche questo
non è servito. Per leggere questo La
gang del pensiero, per altro divertente, ci ho messo più di quindici
giorni. Non è da me. Sto cominciando a preoccuparmi.
La
gang del pensiero è uno
dei libri di Tibor Fischer che hanno
avuto più successo dopo la pubblicazione di Sotto il culo della rana (vedi).
In questa trama Fischer abbandona momentaneamente la pallacanestro per darsi alla filosofia
e alle rapine.
Il protagonista è uno sfigato
insegnante universitario di filosofia, un ultracinquantenne obeso e alcolizzato (tanto per restare sullo stesso tema delle ultime
letture…), che per dare sfogo alla sua depressione si mette a fare rapine a
mano armata in serie nelle banche francesi accompagnato da un altro delinquente
anche lui sfigato cronico. La cosa riesce loro tanto bene che si autoaffibbiano
il nome La gang del pensiero per
dare una veste filosofica alle loro rapine.
Veste
filosofica che permea
tutto lo svolgimento del romanzo, nel quale abbondano situazioni, parole e modi
di dire (soluzioni zimurgiche, spirito
zetetico, tono omiletico, occasioni di zoonosi,
punizione salecusiana, demonio eudemonista, eccezionale sicofanza, Hubert era razionale quanto
un gutiano sceso dalla catena dello
Zagros, noeticamente parlando) che in
qualche maniera dovrebbero avere a che fare con la filosofia. Dico dovrebbero
perché della maggior parte ignoro ciò che vogliano dire. Ma nonostante l’ignoranza
il romanzo si legge lo stesso ed è anche divertente, perché Fischer, come in Sotto il culo della rana, ne approfitta per inserire almeno 2 o
3 gag ogni pagina, generalmente
strampalate.
E ne approfitta anche per
lanciare frecciatine nei confronti del mondo dell’editoria e del modo di fare
letteratura oggigiorno: “La qualità non
guasta ma quel che veramente conta è lo spazio che si occupa sullo scaffale”,
insieme a riflessioni personali che dovrebbero essere tristi e profonde ma
vengono stemperate dal particolare umorismo, come a proposito del morire: “Mi rendo sempre più conto che l’unica cosa
che mi mancherà sono gli amici. A parte il diluvio di terrore connesso con la
prospettiva di trasformarsi in cenere, la cosa che mi da più fastidio è l’idea
di perdere quella manciata di persone con cui posso avere una conversazione
decente. Ci vuole una vita per procurarsele. Perdere la vita non è poi una gran
perdita, perdere loro, invece, sì”.
Diciamo che come romanzo non
è tutta questa eccezionalità come traspare dai trafiletti pubblicitari che gli
hanno cucito addosso, ma rimane un romanzetto particolare per l’infinità di
situazioni fantasiose nelle quali si trovano coinvolti i due rapinatori, e nel
complesso può essere anche divertente.
In altri momenti lo avrei
terminato in due giorni (comunque mai come Child che me lo spupazzo in due ore).
In questo periodo non so proprio cosa mi stia succedendo.
Confido nell’estate. O in un nuovo
governo.
Il Lettore