Nello stesso giorno in cui ho
finito di leggere il deludente libro di Giorgio
Faletti ho iniziato (e terminato) anche questo Il maestro, opera del fratello
del Carofiglio più famoso.
Che volete, ero sprofondato
in una delle comode poltrone che ornano la splendida Sala dei Quattrocento del Palazzo del Popolo di Orvieto (già teatro in passato, per me,
di momenti molto piacevoli), e stavo “seguendo” uno di quei congressi
noiosissimi e oltretutto piuttosto inconcludenti nei quali, oltre a fornirti (poche)
informazioni tecniche davvero utili, si succedono schiere di politicanti ognuno
a dire quanto il mio partito è stato bravo. E guarda caso il partito è sempre
lo stesso.
In queste occasioni il Kobo è
superlativo. Molto ma molto meglio
di un libro cartaceo. Perché essendo illuminato puoi continuare a leggere anche
quando la sala si fa buia se proiettano diapositive, e non attira l’attenzione
del tuo vicino di poltrona come invece farebbe un volume di carta con una copertina
squillante non in tema con l’argomento del convegno. Può sempre sembrare che tu
stia scorrendo un’interessantissima pubblicazione tecnica.
I congressi sono un’occasione eccezionale per incrementare
il record personale del numero di romanzi letti in un anno.
Di Francesco Carofiglio avevo già letto opere scritte in
collaborazione con Gianrico: La casa nel
bosco (vedi qui) e Cacciatori nelle tenebre, un fumetto da
lui disegnato su soggetto e sceneggiatura del fratello. Quindi questa è la
prima opera che leggo il cui autore è lui da solo.
Romanzo breve il cui tema principale
è la vecchiaia, Il maestro parte un
po’ sottotono, ma poi migliora. Il protagonista è un vecchio attore, uno dei più celebri del ‘900, ormai
ritiratosi dalle scene, che ha scelto di vivere in solitudine in una Roma in cui
non si sente più a suo agio, dando libero sfogo alla sua misantropia. Il maestro per quanto può cerca di
evitare i contatti con altre persone, fino a quando Alessandra, la ventenne che gli porta a domicilio i pasti preparati
dal ristorante, gli chiede di aiutarla a preparare la sua tesi di laurea sul teatro concedendole una qualche
chiacchierata sul tema in cui lui più di ogni altro è ferrato. L’uomo dapprima
rifiuta, poi, forse sentendo approssimarsi la morte e volendo provare un
riavvicinamento a un concetto di gioventù ormai perduta, acconsente e comincia
a parlare con la giovane aprendo il cuore sulle sue esperienze passate.
Romanzo tristissimo, del quale ci si immagina ben presto come va a finire,
ma scritto bene e piacevole da leggere anche se dai contenuti deprimenti. I due
personaggi principali sono ben delineati e la narrazione acquista anche
vivacità quando i due cominciano il dialogo sui temi del teatro e della recitazione. Del resto l’autore, oltre
che architetto, illustratore e fumettista, ha lavorato parecchio nel mondo del teatro come attore, sceneggiatore e
regista e quindi l’ambiente e la tematica li conosce bene dal di dentro.
Ho trovato nel libro due
piccoli difetti che peraltro non ne inficiano il giudizio positivo. Il primo è
la relativa brevità: avrebbe potuto essere sviluppato più a fondo senza perdere
di efficacia; il secondo è il dialogo iniziale con la donna delle pulizie: non
ce la vedo proprio una badante rumena che parla con una cadenza che assomiglia
tanto al napoletano.
Ma va be’.
Una curiosità da notare: l’immagine
di copertina del romanzo è stata disegnata dal mitico Lorenzo Mattotti, illustratore e fumettista di livello
internazionale, che ho conosciuto personalmente in occasione di un incontro
alla Biblioteca delle Nuvole e che,
incidentalmente, è anche lui un appassionato di letteratura (anche a lui piace
molto Haruki Murakami).
Il Lettore
Carofiglio F., Lettore