mercoledì 27 gennaio 2016

Il segreto della libreria sempre aperta

Un altro libro che parla di libri e librerie, adeguatamente pompato ma irrimediabilmente bocciato. E come ti sbagli? È un po’ come per i film: più li senti trainare dalla pubblicità e più puoi stare sicuro che sono delle boiate pazzesche. Giusto l’altra sera a cena si discuteva su The Revenant: tutti a dire che si sarebbe per forza dovuti andare a vederlo, solo io e un altro illuminato continuavamo a sostenere che due ore e mezzo di film ambientato in una foresta a trenta gradi sotto zero non possono che far sollevare perlomeno qualche sospetto sulla sua piacevolezza…




In questo caso non siamo in una foresta canadese ma nel caldo interno di una libreria di San Francisco che resta aperta 24 ore al giorno e sembra frequentata da strani individui. Il commesso di notte si adopera per cercare di capire gli arcani che sospetta si nascondano tra gli scaffali e scopre sette segrete impegnate nella ricerca della vita eterna attraverso la consultazione di antichi tomi. Ovviamente, l’ultimo arrivato sarà il primo a scoprire il bandolo della matassa. Pietoso.
Al di là del modo arruffato e superficiale di come è condotta la narrazione, in questo romanzo di Robin Sloan ci sono comunque degli spunti interessanti che se fossero stati trattati in maniera migliore avrebbero reso il testo più soddisfacente (è per la loro presenza che ho continuato a leggerlo fino alla fine con speranze man mano deluse). Innanzitutto i testi antichi, che sono affascinanti di per sé. Un argomento portante del libro è il carattere tipografico Gerritszoon, inventato intorno al 1500 da quel Francesco Griffo che è stato allievo e collaboratore di Aldo Manuzio, geniale editore e tipografo al quale si possono attribuire molti dei volumi più belli della storia della bibliografia, e anche questi due ultimi personaggi assumono un ruolo basilare (ma trattato in maniera alquanto sciatta) nella narrazione.
Un’altra delle poche cose degne di stima di questo romanzo è l’unione tra antico e moderno: enigmi e personaggi del passato inseriti in un linguaggio attuale e uniti a fatti e ambientazioni contemporanei. Il Medioevo e il mondo di Google che vanno a braccetto, e per “mondo di Google” si intende proprio il campus sede della società informatica, della quale vengono descritti nei minimi particolari i modi di lavorare e i sistemi di progettazione, facendo intravedere le potenzialità insite nell’enorme capacità di calcolo dei computer interconnessi. Nel romanzo è riportato anche il fatto di come già qualche anno fa Google avesse immagazzinato nelle proprie banche dati più del 60% di tutto il materiale mai pubblicato al mondo nel corso dei secoli, sia come scansioni che come digitalizzazioni, e ciò lascia immaginare come mai prima di oggi tutta la cultura sia stata così facilmente raggiungibile. Solo a volerlo, a patto che non ci si lasci rimbecillire dalla televisione.
Ma le aspettative e le curiosità innescate nelle prime pagine del romanzo vengono in seguito deluse dalla sciatteria generalizzata e dalla caduta nel banale, il libro stanca e si trascina in un finale che lascia il tempo che trova senza soddisfare niente e nessuno. Di sicuro Sloan ha tentato un buon esperimento, che purtroppo gli è riuscito male.
Il Lettore 

sabato 23 gennaio 2016

Il libraio che imbrogliò l’Inghilterra

Chi non conosce Roald Dahl? Lo scrittore britannico di origini norvegesi è conosciuto in tutto il mondo soprattutto per le sue opere destinate a bambini e ragazzi. La maggior parte dei genitori avrà letto ai propri figli, prima o poi, una delle sue storie, e sicuramente ogni bambino avrà visto almeno uno dei film che sono stati tratti da esse.




E anche i “grandi” si saranno gustati i libri e i film. Chi è che non ha parteggiato per Matilda 6 mitica? O non si è sentito riempire la bocca di acquolina nella fabbrica di cioccolato di Willy Wonka? O non si è lasciato trasportare nel fantastico in compagnia del Grande Gigante Gentile?
Ma Dahl non ha scritto solo per bambini. Soprattutto nella sua produzione di racconti ve ne sono molti destinati agli adulti, come i due inseriti in questa raccolta, minimale ma godibile.
Non a caso sono stati uniti questi due racconti per farne una raccolta: entrambi parlano di libri in modo scanzonato e della catena che unisce chi scrive a chi poi compra la sua opera.
Il racconto che dà il titolo al libro, Il libraio che imbrogliò l’Inghilterra, è il migliore e racconta il sistema ingegnosissimo e plausibile inventato dal gestore di una libreria per truffare i propri clienti. Sembra che Mr William Buggage non si affanni molto per tirare avanti la sua libreria, non se ne cura nemmeno se qualcuno gli sgraffigna qualche volume, ma guadagna lo stesso delle cifre consistenti semplicemente chiedendo i soldi a una categoria particolare di lettori. Fino a che arriva chi scopre l’inghippo…
Il secondo, Lo scrittore automatico, è una sottile presa in giro di alcuni scrittori e del mondo dell’editoria in genere. Del resto che ci vuole a scrivere? Lo potrebbe fare anche una macchina, no?
Due racconti godibilissimi, concreti anche nella fantasia e redatti con una prosa squisita, che non mancano neppure del colpo di scena finale che in un racconto è un ingrediente sostanziale. Lo stile di Dahl è fresco e intelligente, scorrevole e al grado più alto della leggibilità, e gli scritti lasciano pienamente soddisfatti. Come è successo anche a Frederick Forsyth e a Ian Fleming, si vede che un’esperienza diretta nel mondo dello spionaggio è un’ottima scuola per diventare degli scrittori eccellenti.
Certo, resta il fatto che 6 o 7 euro per un librettino di sessanta pagine possono sembrare un po’ troppi, ma perlomeno in questo caso la qualità dei contenuti c’è.
Il Lettore 

martedì 19 gennaio 2016

Tutti quei piccoli animali

Quando muore un essere umano in genere viene seppellito dai propri simili, ma del cadavere di un animale che muore da solo in natura, chi se ne prende cura? La natura stessa, direte con cognizione di causa ed è giusto, ma in questo romanzo invece lo fa uno dei protagonisti, il signor Summers, la cui attività più importante è quella di scavare buche e sistemarci dentro i corpi dei piccoli animali – in genere uccisi dalle automobili ― che incontra nel suo girovagare per le campagne della Cornovaglia.




Gli altri uomini li uccidono” dice lui stesso, “e io li seppellisco. Seppellisco topi e criceti e uccelli e porcospini e rane e perfino chiocciole. (…) Naturalmente non seppellisco davvero le chiocciole, ma raccolgo i loro resti dalla strada e li lascio nell’erba alta o tra le ortiche. Fuori vista, capisci, ragazzo, fuori vista”.
Bobby Platt ha trentun anni ma la mentalità di un bambino, per le conseguenze riportate a causa di un incidente automobilistico di cui è rimasto vittima nella sua infanzia. I suoi genitori sono morti e lui viene continuamente angariato dal patrigno ― il Ciccione ― che vuole impossessarsi dei grandi magazzini che Bobby ha ricevuto in eredità dai suoi. Non sopportando più la situazione Bobby riesce a scappare e incontra il signor Summers, un misantropo scontroso che lo prende a cuore e con il quale inizia uno strano rapporto.
Questo è un romanzo che sembra per ragazzi, il bambino che racconta ― è narrato in prima persona da un adulto con la mentalità di un ottenne ―, l’amore e la pietà per gli animali indifesi eccetera, ma in realtà ci si accorge ben presto che per ragazzi non è: alla faccia dello stile ingenuo proprio del protagonista ritardato la vicenda assume ben presto una colorazione cupa in cui il noir prende il sopravvento e viene tirato fuori il lato più oscuro di ogni persona. Nel suo candore, anche dello stesso Bobby.
Non vi dico altro perché il romanzo merita ed è giusto che le sorprese di cui è denso le scopriate da soli, altrimenti che gusto ci sarebbe? Aggiungo solo che il testo è scritto benissimo, un continuo mostrare e non dire lasciando spazio ai fatti, e l’ingannevole leggerezza dello stile si scontra con i morti ammazzati che cominciano ad apparire fin da subito permeando l’atmosfera con un sottile senso di angoscia. Veramente non male, e fa pure venire voglia di leggere altre cose dello stesso autore. Che purtroppo è morto nel 1969 a 35 anni subito dopo la pubblicazione di questo romanzo. Walker Hamilton era nato nel North Lanarkshire, una piccola regione della Scozia, e ha scritto solo un altro romanzo, dal titolo A dragon’s life, il cui tema portante è la modernità che uccide i sentimenti, ma a quanto ne so non mi risulta che sia stato tradotto in italiano.
Da Tutti quei piccoli animali è stato tratto nel 1998 il film omonimo per la regia di Jeremy Thomas con Christian Bale nel ruolo di Bobby.
Il Lettore 

sabato 16 gennaio 2016

Il numero di Dio – secondo tentativo

Rifacendomi alla recensione che avevo pubblicato qui, e sempre con l’aiuto prezioso del mio editor, alla fine sono riuscito a trovare e leggere in cartaceo il romanzo con questo titolo che cercavo perché mi aveva incuriosito scoprendo che trattava di vangeli ritrovati e misteriosamente scomparsi, di geometria dei frattali, della serie di Fibonacci e del bosone di Higgs, senza contare la presenza di vere e proprie personificazioni del male che intendono governare il mondo.




Avevo detto che ne ero incuriosito anche se mi sembrava fosse una vicenda scritta sull’onda esoterica dei romanzi di Glenn Cooper la cui prima opera mi era piaciuta (ma le successive non tanto), e gli argomenti tirati in ballo in questo Il numero di Dio di Vincenzo di Pietro sono innegabilmente densi di fascino, quindi alla fine me ne sono procurato una copia e l’ho addentata con interesse.
Interesse che purtroppo è man mano scemato e, anche se sono arrivato comunque fino in fondo, non ne sono rimasto così soddisfatto come avrebbero preteso le aspettative che mi ero creato. Intendiamoci, il libro comunque si lascia leggere e penso possa anche piacere a palati meno esigenti del mio, ma la promessa della trattazione di argomenti estremamente interessanti non coincide poi con lo svolgimento che ne è stato creato.
Fin da subito mi ha creato una certa stonatura lo stile scarno, con una prosa costituita per lo più da proposizioni semplici del tipo soggetto/predicato/oggetto, con poche subordinate e separate ognuna da un “a capo”, che danno un ritmo di “staccato” e conferiscono un senso generale di freddezza. Io sono un sostenitore degli “a capo”, ma non esageriamo, non uno dopo ogni frase. A questo proposito ho infatti sospettato la mancanza di una revisione editoriale fatta come si deve che avrebbe permesso un amalgama del contenuto formale, e questo è stato in seguito confermato dalla scoperta qua e là di alcune virgole inserite tra soggetto e predicato che un editor avrebbe di sicuro eliminato.
Nonostante i dialoghi siano buoni, la scrittura in generale risulta un po’ legnosa e fredda, e l’inserimento qua e là di scene horrorifiche a giustificare l’intervento demoniaco non migliora la situazione. Per non parlare dei morti resuscitati.
Inoltre, l’indugiare per decine e decine di pagine, quasi duecento, sui prodromi della vicenda, se da una parte serve a spiegare i fatti antecedenti su cui essa si basa, dall’altra crea un senso di disagio per il vedere rimandate di continuo le soluzioni: arrivato in fondo a pag. 188 ho incontrato una frase il cui contenuto rispecchiava lo spazientimento che in me si andava formando: “Contrariamente a ogni buona regola, i loro ospiti la stavano tirando lunga, anteponendo macchinose e incomprensibili premesse alla divulgazione di quella scoperta che l’invito aveva sembrato preludere. Invece non avevano fatto altro che prolungare l’ansia dei presenti fino al termine della conferenza”.
E poi le aspettative create si mostrano superiori al risultato, in quanto le ragioni per cui vengono tirati in ballo i frattali e il bosone di Higgs sono alquanto inconsistenti, l’uso della serie di Fibonacci per risolvere un problema è tirato per i capelli e la poca plausibilità raggiunge l’apice quando uno dei protagonisti ricorda tanto bene “quella” lettera di Paolo VI ― che gli permetterà di chiarire un’altra situazione ― tra le centinaia di migliaia di testi, lettere ed encicliche scritti nel corso dei secoli dai pontefici. Tanto bene quella. Come si suol dire: proprio per intervento divino.
Mi perdonerà l’Autore, che tra l’altro mi ha onorato di un suo intervento diretto su questo blog, ma io sono abituato a dire ciò che penso e la mia opinione è comunque influenzata da un possibile ipercriticismo dovuto al fatto che leggo tra i cento e i duecento libri l’anno. Gli auguro comunque il successo che spera per il suo libro: non ha soddisfatto me, ma ha delle potenzialità che potrebbero andare bene a molti altri lettori meno difficili.
Il Lettore

mercoledì 13 gennaio 2016

Il magico potere del riordino

Ebbene sì: uno dei propositi inderogabili che mi sono imposto per l’anno nuovo è quello di riordinare i miei ambienti e fare spazio. Più una necessità che una virtù: in casa mia non c’entra più nemmeno uno spillo in piedi e, dal momento che da chi mi sta vicino vengo ritenuto un accumulatore compulsivo, ho convenuto che un poco hanno ragione e devo disfarmi delle cose che non uso, o perlomeno sistemarle in un modo più consono.




Non mi sento di dare loro torto: da quando ho iniziato ad attuare questo proposito ho già portato in discarica due cassoni del pickup pieni di robaccia e ancora non ho visto sensibili miglioramenti della situazione. Per fare un esempio tra tanti, in un vecchio cassetto ― buttato via anch’esso ― ho rinvenuto non decine, ma centinaia di batterie scariche… le mettevo lì in attesa di disfarmene in modo corretto, e si sono un pochino accumulate…
Così, quando mi è capitato sotto mano questo testo di Marie Kondo (una vera e propria psicopatica il cui unico scopo nell’intera vita è stato quello di riordinare, prima casa sua e poi quelle degli altri, e ora ci sta facendo i soldi…), non ho potuto fare a meno di leggerlo.
Il libro, il cui accattivante sottotitolo è Il metodo giapponese che trasforma i vostri spazi e la vostra vita, sta vendendo parecchio in tutto il mondo e detta così sembra una panacea di quelle che risolvono una volta per tutte questo tipo di problema, oltre a far bene alla salute mentale, e in effetti lo sarebbe anche, ma… ve lo dico subito: non c’è bisogno che lo leggiate anche voi, perché nelle due righe seguenti vi svelo subito io il segreto celato nell’ottantina di lapalissiane pagine del volume senza che lo comperiate anche voi.
Avete bisogno di riordinare casa vostra e non sapete dove mettere le mani?
È semplicissimo: buttate via tutto.
Metodo giapponese del riordino una minchia. Ero capace anch’io, solo che non sono stato abbastanza bravo da riuscire a farci i soldi come lei. Non sto esagerando, è proprio così. Avete troppi vestiti e gli armadi strapieni? Non provate nemmeno a sistemarli ordinatamente, buttate via tutti i capi che non mettete da più di un anno. Avete come me circa 4000 libri a casa e non sapete più dove metterli? Buttateli via, fate che ve ne rimangano al massimo solo una trentina. Tanto non li rileggerete mai. E così via. Ecco riassunto tutto il magico segreto  del libro.
Questa è pazza. O per meglio dire furba: ha scoperto l’acqua calda, ne ha fatto un libro ed è riuscita a venderlo in tutto il mondo. Nel testo non è spiegato, se non in poche e ovvie righe, come sistemare alcune cose, ma è ripetuto incessantemente il concetto che bisogna buttare via tutto. Basta. Nient’altro o quasi. Tutt’al più potrete trovare l’altro geniale concetto che per tenere le cose sparse o i calzini è meglio una semplice scatola da scarpe invece che comperare un tecnologico contenitore in plastica, ma questo me lo aveva già insegnato mia nonna cinquant’anni fa.
E il bello è che questa, per elargire queste ovvietà, ci si fa pagare pure sopra tra libri, corsi e interventi a domicilio. Brava, non c’è che dire.
E ora da dove è sbucato questo pezzetto di spago? Mettiamolo via, che potrebbe sempre tornare utile. Ha ragione Jack Reacher, che non possiede null’altro che uno spazzolino da denti…
Il Lettore ordinato

domenica 10 gennaio 2016

Occhi di lupo

Un graditissimo regalo che ho ricevuto per Natale è stato questo Occhi di lupo, un fumetto di quelli da conservare incellofanati per la presenza all’interno di una prima pagina personalizzata con disegno autentico e firma dell’autore in originale. Wow! Praticamente una copia unica.




La storia, scritta e sceneggiata da Giovanni Brizzi e realizzata splendidamente da Sergio Tisselli, reca come sottotitolo Un’avventura ai tempi di Annibale, e in pratica narra della battaglia del Trasimeno nella quale i Cartaginesi le suonarono ben bene alle legioni romane.
Mi è cara anche questa storia in sé, perché sullo stesso progetto stavamo lavorando quando il male si è portato via il carissimo amico, disegnatore e artista per il quale scrivevo le sceneggiature. Un saluto, Marco, ovunque tu sia ora. Ricordo che si stava discutendo su quale versione adottare di quelle concernenti il punto esatto in cui la battaglia si è svolta (Passignano? Tuoro? Cortona?) e da quale valle nascosta esattamente fossero sbucati i Cartaginesi piombando sui Romani. Su questo aspetto Brizzi glissa elegantemente non fornendo un’ubicazione esatta, forse per non sbilanciarsi (visto che non ci sono riferimenti storici precisi), e magari non incrinare la sua reputazione di Professore Ordinario di Storia Romana all’Università di Bologna nonché di uno dei massimi esperti proprio della battaglia del Trasimeno.
Il racconto costituisce il primo volume di una trilogia che narra l’attraversamento degli Appennini da parte di Annibale e del suo esercito dando spazio a personaggi poco conosciuti della Storia e prendendo in considerazione aspetti arcani, e perfino esoterici, che dalla Storia non sono proprio  considerati.
Le matite di Sergio Tisselli, disegnatore con all’attivo numerose pubblicazioni, sono splendide, con uno stile realistico impreziosito da una notevolissima colorazione simil-acquerello (non sono riuscito a capire se sia realmente acquerello dato a mano su carta o un lavoro ― fatto molto bene ―al computer), e mostrano un tratto che molto spesso mi ha ricordato, nella meticolosa resa dei particolari nei personaggi storici,  il grande Sergio Toppi.



Purtroppo non sono rimasto altrettanto soddisfatto della sceneggiatura di Brizzi, che a mio parere è caotica e confusionaria, con una caratterizzazione dei personaggi che avrebbe potuto essere migliorata e carente per quanto riguarda cambi di scena e contestualizzazioni. Capisco bene, per esserci passato, che non è facile racchiudere le vicende narrate in sessanta pagine, soprattutto dando ampio spazio alla resa grafica, ma a volte leggendo resta un senso di disagio per la mancanza di chiarezza. Senza contare che in fase di revisione alcuni particolari, come la benda sull’occhio di Annibale che passa inspiegabilmente dal destro al sinistro nel giro di pochi riquadri, mi hanno lasciato un po’ perplesso.
Nel complesso resta comunque un bel fumetto come se ne dovrebbero gustare più spesso.
Il Lettore

mercoledì 6 gennaio 2016

Una tigre in casa

I gatti sono le tigri dei poveri diavoli” ha scritto Théophile Gautier, e da povero diavolo che convive con due di queste piccole tigri non posso che dargli ragione. E lo conferma anche Mèry: “Dio ha creato il gatto per dare all’uomo il piacere di accarezzare la tigre” come si legge nella pagina delle dediche di questo completissimo trattato sui gatti che è stato scritto da Carl Van Vechten a cavallo del 1919 e pubblicato per la prima volta nel 1920.


Nell’ultima pagina l’autore stesso tiene a precisare che per scriverlo ci ha impiegato circa 14 mesi durante i quali la sua gatta Feathers, da cucciola che era, è diventata “una palla di pelo color crisantemo, rossa, arancione, bianca con delle sfumature nere e adesso sta per diventare mamma”. E prosegue: “Feathers è stanca di questo libro. Ultimamente me l’ha detto più di una volta. A volte con gli occhi, mi guardava con impazienza mentre stavo scrivendo. Altre volte ha usato le zampe, ha preso a grattare con disprezzo i fogli che appallottolavo e gettavo per terra. A volte sale sulla mia scrivania e si insinua fra me e il mio lavoro. (…) Mentre ero impegnato a scrivere questo libro ha sperimentato la dentizione, l’amore e adesso aspetta la maternità. Mi fa sentire piccolo e inutile. Ciò che ho fatto in quattordici mesi sembra ben poca cosa in confronto a ciò che ha fatto lei”.
E considerate che Carl Van Vechten, giornalista, scrittore e fotografo statunitense (tra gli altri ha lasciato anche i suoi ritratti di Frida Kahlo, Francis Scott Fitzgerald, Cab Calloway e Gertrude Stein), per scrivere questo Una tigre in casa di lavoro ne ha svolto a manciate, perché per l’epoca era il più esauriente compendio sui gatti che fosse mai stato scritto non tanto dal punto di vista prettamente biologico o sul come si trattano i gatti, quanto dal lato sociologico, storico, mitico, filosofico, artistico, letterario, esoterico e comportamentale. Oggi di libri sui gatti in libreria se ne trovano scaffali pieni, ma nel 1920 non credo che, a parte qualche pubblicazione scientifica per i veterinari, ve ne fossero molti altri.
Van Vechten ha riempito quasi quattrocento pagine di dati, informazioni, curiosità, aneddoti sui gatti nella storia, nella mitologia, nella musica, nel teatro, nella letteratura, nell’arte, nella legge, nel folklore, nella poesia, nelle tradizioni e nelle usanze di tutto il mondo, comprese le più macabre quando i gatti venivano perseguitati per i loro presunti legami con il mondo dell’occulto, condendo il tutto con una fine ironia e anche un po’ di umorismo.
Con questo non sostengo che il libro faccia ridere e, a dire la verità, a causa della mole di dati e citazioni che si susseguono l’una all’altra a tratti è un poco pesante, ma si lascia leggere comunque per i molteplici interessi suscitati proprio da questa pletora di informazioni.
Degni di riflessione i commenti dell’autore, come quando si chiede, riprendendo un interrogativo di Philip Gilbert Hamerton, come mai nonostante l’estrema bellezza dei gatti essi non siano stati dipinti che da pochi grandi pittori. E da qui un susseguirsi di considerazioni sulla muscolatura possente e nervosa del gatto così difficile da rendere in modo naturale con un pennello, sul carattere schivo, sull’antipatia suscitata in molti uomini per il modo di fare indipendente. O i pensieri musicali sul variegato ventaglio di miagolii e fusa che può erompere da qualsiasi micio.
Un libro piacevole e interessante che non va letto come un romanzo ma a piccole dosi, di quelli che vanno assaporati non più di una pagina al giorno per gustarsi meglio la miriade di notizie delle quali Van Vecthen lo ha riempito e che indubbiamente soddisferà tutti coloro che amano i gatti. Da leggere anche le moltissime note dell’autore radunate a fine libro, tra le quali non sfigurano notizie curiose che avrebbero benissimo potuto trovare posto nel testo principale.
Va bene, ho capito, piantala di zampettare sulla tastiera del computer, ora ti do da mangiare!
Il Lettore

domenica 3 gennaio 2016

5 e 1 racconti

Buon giorno, buona domenica e buon 3 gennaio a tutti. Cerchiamo di cominciare bene il 2016 con la recensione di una raccolta di racconti di Maurizio De Giovanni, che chiamare libro mi sembra un po’ esagerato visto che sono solo sei, anzi, 5 + 1, per un totale di una quarantina di pagine.

Il mio editor me li ha trasmessi in formato elettronico, e dopo averli letti mi è presa la curiosità e sono andato a spulciare un po’ in rete. Bene, ad eccezione di questo indirizzo:
dal quale li potete anche scaricare, di questi racconti non c’è traccia da nessun’altra parte.
E quel che è bello è che non ce n’è traccia nemmeno nelle biografie di De Giovanni, il che mi lascia perplesso. Che non sia lo stesso autore del Commissario Ricciardi? Un omonimo? Mi sembra strano ma tutto è possibile.
Comunque, a parte questo i racconti sono scritti bene e sono anche piacevoli, sebbene non si possa dire che lascino il segno. Vari (certo, tuttalpiù sei) sono gli argomenti trattati e il grado di importanza degli stessi, spaziando dal thriller al surreale, e dallo stile utilizzato l’autore potrebbe anche essere il napoletano. Visto che sono gratis, se vi va potete anche cavarvi da soli lo sfizio di provare a riconoscercelo.
Va be’, resterò con la curiosità di sapere se sono i suoi, ma intanto ho iniziato un altro libro di racconti, stavolta più corposo, che per ora mi sta lasciando un po’ perplesso anche se l’autore è considerato al top della letteratura mondiale. Vedremo…
Il Lettore