venerdì 15 maggio 2015

Il corriere colombiano

Ieri ho ricevuto un bel cazziatone dal mio editor: “Un insegnante di scrittura creativa non ci fa una bella figura a lasciare delle ripetizioni nei suoi post!”. E questo detto con quella sottile vena di profonda soddisfazione (sarcasmo? perfidia?) tipica di mia moglie quando (a ragione) mi può criticare per qualcosa. Del tutto vero, chiedo venia. “Correggilo subito.” No, non lo farò, non cambierò il primo o il secondo “gradevole” che ho doppiato a distanza di una sola riga nella recensione precedente, e questo perlomeno per giustificare le parole che sto scrivendo ora in modo che tutti possano rendersi conto che anche i migliori possono sbagliare…
Non cerco scuse per l’errore, se non la stanchezza e la miriade di cose da fare che non mi hanno consentito di rileggere più volte e più a fondo il testo prima di cliccare sul tasto “pubblica”. Quando si hanno almeno venti finestre aperte sullo schermo (sette o otto del Forum su Explorer, due del blog su Chrome, un paio di Excel, tre o quattro Word, tre di programmi professionali, OneNote, Gmail, tre di Adobe Reader e un paio di Powerpoint), allora capita che possa sfuggire qualcosa. Imploro perdono, e aspetto l’occasione giusta per la vendetta
Ed è proprio la vendetta, o meglio, la rinuncia alla vendetta (questa è una ripetizione voluta…) uno dei temi portanti del libro di Massimo Carlotto di cui parlerò oggi.




Il corriere colombiano fa parte dei romanzi i cui protagonisti seriali sono Marco Buratti, alias l’Alligatore, e i suoi fidati compagni Beniamino Rossini e Max La Memoria, un trio consolidato di “investigatori” sui generis che si impelaga in indagini di quelle che gli organi di polizia non possono affrontare, inchieste che sarebbe difficile portare avanti con metodi legali. I tre stavolta sono impegnati nel cercare un metodo per far uscire dal carcere una persona accusata di un delitto che non ha commesso, e nel corso delle loro ricerche si confrontano con trafficanti di droga colombiani, poliziotti corrotti e operazioni segrete dei reparti speciali delle forze dell’ordine, oltre che con parecchi rappresentanti di quella varia umanità, in genere fuori dalla retta via, che costella i romanzi di Massimo Carlotto.
Che come al solito mette in campo uno stile sobrio e dal ritmo velocissimo, fondato sull’essenziale, e nel quale si ritrovano tutte le particolarità del carattere dei suoi personaggi principali.  Come dice lo stesso autore nella postfazione, la trama è basata su un episodio reale che gli ha permesso di scandagliare il tema del tradimento e del “codice d’onore” della criminalità, e questo mi ha fatto venire in mente le esagerazioni di Educazione siberiana, nel quale Lilin amplifica fino alla parodia quella che è la condotta “morale in un mondo di amorali” presente da sempre anche tra i delinquenti nostrani. E anche in questo ambito si può riscontrare il segno di una civiltà che sta cambiando troppo in fretta: i valori “deontologici” che venivano rispettati tra i “vecchi” fuorilegge sembrano non essere più validi tra i “nuovi”, l’esasperata ricerca del guadagno facile fa calpestare qualsiasi arcaico senso dell’onore.
Nella criminalità così come in parecchi altri campi.
Un buon romanzo, forse non tra i migliori di Carlotto a cui si può imputare di aver messo in azione troppi personaggi tra i quali si fa un po’ di confusione, ma che comunque si legge bene e con un crescente senso di curiosità per vedere come i protagonisti riusciranno a dipanare una vicenda intricata.
Il Lettore 

Nessun commento:

Posta un commento