lunedì 11 maggio 2015

I gatti non sono cani

E grazie al cacchio! Bella scoperta! Avevo da leggere questo blog per sentir affermare simili scempiaggini. Mi sa che d’ora in poi mi collego con il blog di Fabio Volo…
E faresti bene… Ma stai un po’ zitto e continua a leggere, almeno ti acculturi!
Era da parecchio tempo che non leggevo un P. G. Wodehouse, e quando mi è caduto l’occhio su questo I gatti non sono cani, al solito negozietto di libri usati che mortacci sua ha alzato i prezzi un’altra volta dal momento che questo libro un sette otto mesi fa l’avrei pagato due euri e invece mi è toccato di sborsarne quattro e ciò non bastasse quando mi ha fatto il conto che veniva qualcosa come diciassette e ottanta per quattro libri in totale né lento né zoppo il baffuto proprietario ha tranquillamente arrotondato a diciotto arimortaccisua ma penso proprio che abbia fatto il passo più lungo della gamba perché col cavolo che ci rimetto piede e magari vado a cercare quel nuovo posto che mi hanno detto vende libri usati e che è anche più vicino a casa mia così la prossima volta impara a fare il furbino… respiro…, non ho potuto fare a meno di portarmelo a casa.




Già il titolo preconfigura lo spasso, anticipatore com’è di tutte le piccole perle wodehousiane che vi sono contenute all’interno, ognuna colma del suo humour tipicamente britannico, dello stile graffiante ma saturo di understatement, del costante ricorso all’ellisse che ti lascia immaginare i retroscena e le conseguenze delle azioni senza che l’autore le spieghi e ti fa ridere solamente con l’accennarvi.
Pelham Grenville Wodehouse è stato un vero maestro di scrittura e di stile della lingua inglese, preso ad esempio da scrittori del calibro di Rudyard Kipling e Douglas Adams e difeso nientedimeno che da George Orwell e Evelyn Vaugh quando le maldicenze popolari lo tacciarono di collaborazionismo con i nazisti. Un umorista è e rimarrà sempre un umorista, anche nelle situazioni più tragiche (e anche se Roberto Benigni non mi piace un granché, mi viene da pensare a La vita è bella), e penso che si possa capire come Wodehouse, sorpreso in Francia dalla guerra, abbia fatto buon viso a cattivo gioco e l’abbia buttata sul ridere: gli inglesi questa cosa gliel’hanno perdonata solo trent’anni dopo, poco prima della sua morte.
In questa raccolta di racconti non troviamo quel Jeeves che è il personaggio più famoso di Wodehouse, non c’è quello stolido di Bertie Wooster né l’ambientazione è quella consolidata del Castello di Blandings, ma incontriamo coppie di innamorati che non ambiscono altro che sposarsi, osteggiati proprio da quei parenti che dovrebbero allentare i cordoni della borsa per permettere loro di coronare l’ambìto sogno; abbiamo nobili gatti, austeri e compassati, che solo per aver assaggiato un cicchetto di whisky si trasformano in trogloditiche bestie feroci; abbiamo canarini scafati che evitano con astuzia gli attacchi portati loro da gatti ipereccitati per il solo fatto di vederli volare liberi in una stanza; abbiamo vescovi amanti del ballo che non esitano a prendere a cazzotti poliziotti indifesi e severe contesse affascinate dai romanzi polizieschi; ma soprattutto abbiamo un P. G. Wodehouse al massimo della forma in quanto ad arguzia, umorismo e quell’autoironia con cui prende in giro le manifestazioni più evidenti e derisibili della top class britannica.
Come molti altri autori (Dickens, Asimov), Wodehouse ambienta la scena principale nella saletta riservata agli adepti più fedeli di un tipico pub, ognuno di loro caratterizzato non dal nome ma da ciò che beve (Birra Mischiata, Pinta di Birra Amara, Lemon Sour, Sherry e Amaro), ad eccezione del signor Mulliner: la tipica persona, presente in ogni gruppo a livello mondiale, che qualsiasi cosa tu dica interviene affermando che a lui è successo lo stesso (un po’ come mia suocera). Ogni episodio è un racconto di Mulliner su qualche suo parente a cui è successa qualche cosa. Fossi stato al posto di un qualsiasi Boccale di Scura gli avrei ficcato la testa in un barilotto già da tempo; fatto sta che i racconti sono veramente spassosi, e allora ti viene da perdonare anche il narratore.
Non c’è nulla da fare, uno dei rimedi migliori per risollevare un po’ il morale è quello di leggere un buon umorista che ti faccia fare qualche risata tra te e te. Tra tutti quelli che ho letto, ritengo questo uno dei migliori libri di Wodehouse e ve lo consiglio, sia a coloro che hanno letto solamente di Jeeves, sia, e soprattutto, a coloro che P. G. Wodehouse non l’hanno mai sentito nominare. Per questi sarà una vera scoperta.
Il Lettore 

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