E
grazie al cacchio! Bella scoperta! Avevo da leggere questo blog per sentir affermare
simili scempiaggini. Mi sa che d’ora in poi mi collego con il blog di Fabio
Volo…
E faresti bene… Ma stai un
po’ zitto e continua a leggere, almeno ti acculturi!
Era da parecchio tempo che
non leggevo un P. G. Wodehouse, e
quando mi è caduto l’occhio su questo I
gatti non sono cani, al solito negozietto di libri usati che mortacci sua
ha alzato i prezzi un’altra volta dal momento che questo libro un sette otto
mesi fa l’avrei pagato due euri e invece mi è toccato di sborsarne quattro e
ciò non bastasse quando mi ha fatto il conto che veniva qualcosa come
diciassette e ottanta per quattro libri in totale né lento né zoppo il baffuto
proprietario ha tranquillamente arrotondato a diciotto arimortaccisua ma penso
proprio che abbia fatto il passo più lungo della gamba perché col cavolo che ci
rimetto piede e magari vado a cercare quel nuovo posto che mi hanno detto vende
libri usati e che è anche più vicino a casa mia così la prossima volta impara a
fare il furbino… respiro…, non ho potuto fare a meno di portarmelo a casa.
Già il titolo preconfigura lo
spasso, anticipatore com’è di tutte
le piccole perle wodehousiane che vi sono contenute all’interno, ognuna colma
del suo humour tipicamente
britannico, dello stile graffiante ma saturo di understatement, del costante ricorso all’ellisse che ti lascia immaginare i retroscena e le conseguenze
delle azioni senza che l’autore le spieghi e ti fa ridere solamente con
l’accennarvi.
Pelham
Grenville Wodehouse è
stato un vero maestro di scrittura e di stile della lingua inglese, preso ad
esempio da scrittori del calibro di Rudyard
Kipling e Douglas Adams e difeso
nientedimeno che da George Orwell e Evelyn Vaugh quando le maldicenze
popolari lo tacciarono di collaborazionismo con i nazisti. Un umorista è e
rimarrà sempre un umorista, anche nelle situazioni più tragiche (e anche se Roberto Benigni non mi piace un granché,
mi viene da pensare a La vita è bella),
e penso che si possa capire come Wodehouse, sorpreso in Francia dalla guerra,
abbia fatto buon viso a cattivo gioco e l’abbia buttata sul ridere: gli inglesi
questa cosa gliel’hanno perdonata solo trent’anni dopo, poco prima della sua
morte.
In questa raccolta di racconti
non troviamo quel Jeeves che è il
personaggio più famoso di Wodehouse, non c’è quello stolido di Bertie Wooster né l’ambientazione è
quella consolidata del Castello di Blandings,
ma incontriamo coppie di innamorati
che non ambiscono altro che sposarsi, osteggiati proprio da quei parenti che dovrebbero allentare i
cordoni della borsa per permettere loro di coronare l’ambìto sogno; abbiamo
nobili gatti, austeri e compassati,
che solo per aver assaggiato un cicchetto di whisky si trasformano in trogloditiche bestie feroci; abbiamo canarini scafati che evitano con
astuzia gli attacchi portati loro da gatti
ipereccitati per il solo fatto di vederli volare liberi in una stanza; abbiamo vescovi amanti del ballo che non
esitano a prendere a cazzotti poliziotti
indifesi e severe contesse
affascinate dai romanzi polizieschi; ma soprattutto abbiamo un P. G. Wodehouse al massimo della forma
in quanto ad arguzia, umorismo e quell’autoironia con cui prende in giro le
manifestazioni più evidenti e derisibili della top class britannica.
Come molti altri autori
(Dickens, Asimov), Wodehouse ambienta la scena principale nella saletta
riservata agli adepti più fedeli di un tipico pub, ognuno di loro caratterizzato non dal nome ma da ciò che beve
(Birra Mischiata, Pinta di Birra Amara, Lemon Sour, Sherry e Amaro), ad eccezione del signor Mulliner: la tipica persona, presente in ogni gruppo a livello
mondiale, che qualsiasi cosa tu dica interviene affermando che a lui è successo
lo stesso (un po’ come mia suocera). Ogni episodio è un racconto di Mulliner su qualche suo parente a cui è
successa qualche cosa. Fossi stato al posto di un qualsiasi Boccale di Scura gli avrei ficcato la
testa in un barilotto già da tempo; fatto sta che i racconti sono veramente
spassosi, e allora ti viene da perdonare anche il narratore.
Non c’è nulla da fare, uno
dei rimedi migliori per risollevare un po’ il morale è quello di leggere un
buon umorista che ti faccia fare qualche risata tra te e te. Tra tutti quelli
che ho letto, ritengo questo uno dei migliori libri di Wodehouse e ve lo
consiglio, sia a coloro che hanno letto solamente di Jeeves, sia, e soprattutto, a coloro che P. G. Wodehouse non l’hanno mai sentito nominare. Per questi sarà
una vera scoperta.
Il Lettore
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