lunedì 4 agosto 2014

Traditori di tutti

Come diceva il saggio: più cose conosci, più ti accorgi di non conoscere. Nonostante le migliaia di libri letti, ogni tanto mi capita di cadere nell’angoscia quando mi accorgo della quantità incredibile di lacune di cui è costellato il mio bagaglio culturale.
Per esempio: non avevo mai, e dico mai, letto Giorgio Scerbanenco.

Imperdonabile.



E fortuna ha voluto che ho inaugurato la lettura di questo grande autore proprio con quello che è considerato il suo romanzo migliore, questo Traditori di tutti che nel 1968 è stato insignito del Grand prix de littérature policière come miglior romanzo poliziesco straniero, anche se magari, per rispettare la continuità, avrei dovuto cominciare con Venere privata,  il primo romanzo della serie con protagonista Duca Lamberti.
Fatto sta che questo Traditori di tutti si è rivelata una vera sorpresa nonostante abbia quasi cinquant’anni: un romanzo dal ritmo serrato che ti incatena alla lettura facendoti sbuffare quando magari ti telefonano nel bel mezzo di un punto cruciale, e questo ad onta di uno stile dai periodi lunghi fittamente “virgolati” così diverso dai giallisti odierni, leggi Massimo Carlotto o Carlo Lucarelli, che adoperano periodi cortissimi con frasi di poche parole. A partire dall’incipit, con un periodo di ben 25 righe senza alcun punto. Ma il ritmo è scandito da una narrazione asciutta, mirata, essenziale, con pochi abbellimenti ma ricca di quegli interventi autoriali ben messi che sottolineano uno stile indiretto libero veramente rimarchevole.
Questa serie di Giorgio Scerbanenco è ambientata in una Milano violenta nella quale dilaga la delinquenza con lo stesso ritmo con cui la città cresce, e ha come protagonista un personaggio in piena crisi dilaniato da molti dubbi su quello che sarà il proprio futuro, e proprio su questi dubbi l’autore impernia le riflessioni di Duca Lamberti. Dubbi sia esistenziali che comportamentali, influenzati non poco da considerazioni filosofiche quando il protagonista si trova a dover decidere se per se stesso possano essere validi i dettami esposti da Cesare Beccaria nel suo Dei delitti e delle pene: se siano da considerare giusti in assoluto o se dovrebbero essere mediati da visioni più reali di quale potrebbe essere la “vera” giustizia.
Per farla più comprensibile: a tutti piacerebbe farsi giustizia da soli come Tex Willer.
Scerbanenco mostra inoltre di conoscere molto bene i meccanismi psicologici umani, perlomeno di alcuni tipi di persone, e li sa usare per completare la caratterizzazione dei personaggi che escono come figure a tutto tondo impresse in modo indelebile nella mente del lettore. E la trama del romanzo è solida, ricca di aspetti secondari che però non distolgono l’attenzione dal flusso principale, e da autore già navigato Scerbanenco sa come lasciare uno dei misteri della vicenda in uno stato di insolutezza fino alle ultime pagine per poi risolverlo in modo del tutto soddisfacente per il lettore.
Gran romanzo, si è capito che mi è piaciuto?
Il Lettore

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