venerdì 8 agosto 2014

Inside Out – La prima autobiografia dei Pink Floyd

Come ho anticipato parlando del libro di Armando Gallo sulla storia dei Genesis, vi propongo anche la recensione della prima autobiografia dei Pink Floyd, scritta da quel Nick Mason che per quarant’anni abbiamo visto seduto dietro piatti e tamburi e ci siamo sempre chiesti come sia stato possibile che uno con un fisico come il suo sia finito a suonare la batteria invece del flauto traverso.


Ma nonostante le apparenze Nick Mason la batteria la sapeva suonare, anche se magari non a livelli eccelsi, e anche se lui stesso racconta nel libro che, dopo un tentativo disastroso di imparare a padroneggiare pianoforte e violino, la scelta di mettersi a fare il batterista è stata del tutto casuale e solo perché l’amico di famiglia e giornalista Wayne Minnow gli aveva regalato un paio di spazzole metalliche.
Il libro narra tutta la storia dei Pink Floyd vista dall’unico componente del gruppo che è rimasto fisso al suo posto per tutto l’arco di tempo quarantennale in cui hanno prodotto quella musica stupenda che ha segnato più di una generazione. Non starò qui a dire chi erano i Pink Floyd, basti ricordare che hanno venduto più di 250 milioni di dischi e che il loro The Dark Side of The Moon da solo ne ha venduti 50 milioni ed è rimasto per ben 1100 settimane nel US Top Catalog, diventando il terzo album più venduto di tutti i tempi (dopo Thriller di Michael Jackson – 115 mln – e Back in Black degli AC/DC – 52 mln).
Nella foto sotto il complesso nell’epoca d’oro: dalla vostra sinistra verso destra il bassista George Roger Waters, il nostro Nicholas Berkeley “Nick” Mason, David Jon “Dave” Gilmour alla chitarra e il compianto tastierista Richard William “Rick” Wright.


Mentre in quest’altra foto ancora più antica è raffigurata la band degli esordi, con quel Roger Keith “Syd” Barrett (il secondo da sinistra, in piedi tra Mason e Waters) che ha avuto un ruolo basilare nella costituzione del gruppo e la cui tragica vicenda è raccontata da Mason in pagine dalle quali traspare il senso di colpa provato da tutti i componenti del gruppo per averlo in pratica abbandonato al suo destino dopo che si era dimostrato del tutto inaffidabile, a causa della sua tossicodipendenza, nel portare avanti una carriera da professionista.


E come in altre parti del libro, anche in questo Mason sembra onesto nel raccontare, oltre ai momenti esaltanti, anche gli episodi più cupi e tristi della storia del gruppo, quasi confessando un mea culpa per aver gestito, lui come tutti gli altri, una situazione critica in un modo non del tutto corretto.
Mason racconta di essersi deciso a scrivere il libro dopo che per anni ha dovuto rispondere a domande del tipo da dove viene il nome Pink Floyd? oppure dov’è Syd? e sembra leggendo che dentro ci abbia messo proprio tutto fino a completare quasi 400 pagine di grande formato con una formattazione del testo a caratteri minutissimi per lasciar spazio alle centinaia di fotografie che ritraggono anche gli aspetti più nascosti della loro odissea.
Ha fatto di sicuro un buon lavoro: il libro è divertente, scritto molto bene, pieno di aneddoti curiosi e fatti particolari e condito di una buona dose di humour britannico. Mason si sarà anche fatto aiutare dall’editor Philip Dodd, del quale tesse le lodi nella pagina dedicata ai ringraziamenti, ma non si può negare che è stato bravo del suo ed è quindi capace anche di scrivere oltre che di suonare e guidare automobili da corsa (ha partecipato a 5 edizioni della 24 ore di Le Mans e ha scritto anche libri e articoli sul tema dell’automobilismo).
Una cosa curiosa: tra le persone a cui Mason indirizza i ringraziamenti ci sono anche Douglas Adams – vedi etichette a lato,  l’autore di Guida Galattica per Autostoppisti nonché amico di Dave Gilmour – e Peter Gabriel, nonché altri nomi famosi dell’universo musicale come Alan Parsons e Robbie Williams.
La foto che segue vi fa vedere invece com’è Nick Mason oggi:


Va be’, del libro ne ho parlato bene ma ora basta, altrimenti mi faccio prendere la mano,  anche perché mi stimola la musica che sto ascoltando in sottofondo: per scrivere questo post ho inserito nel lettore Atom Heart Mother… ci siamo capiti?
Ancora a proposito di volumoni presenti nella sezione musicale della mia libreria… la recensione di GENESIS revelations ve la risparmierò, giuro!
Ma forse prima o poi mi toccherà di parlare delle 850 pagine di un altro tomo fondamentale, quello con il primissimo piano di un accigliato Miles Davis in copertina: il mitico Jazz di Arrigo Polillo
Il Lettore amante della buona musica

2 commenti:

  1. Mi è venuta voglia di leggerlo, soprattutto per sapere di più sulla fine di Syd Barret. Mi ha colpito molto che si sia fatto fuori con le droghe un attimo prima del successo planetario e che gli altri ne abbiano perso le tracce al punto da non riconoscerlo quando si è presentato in studio diversi anni dopo la sparizione. Personalmente non disdegnerei la recensione dell'altro volume sui Genesis, ma la mia è una malattia conclamata.
    Paolo Giovagnoni

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  2. Il problema di Barrett con la droga risaliva già a molto tempo prima che diventassero famosi, in pratica era già tossicodipendente quando ha cominciato a suonare. Chissà... se ti potesse aiutare per la tua malattia...

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