lunedì 31 ottobre 2016

Bianco

Avevo preso in prestito questo Bianco insieme ad Atti osceni in luogo privato e, visto che avevo apprezzato il secondo, ho cominciato subito a leggere quest’altro romanzo di Marco Missiroli nonostante di solito abbia un po’ di remore nel farmi di fila due romanzi dello stesso autore.
E nel caso di questo libro già dalle prime pagine un certo sentore aveva cominciato a invadere le mie cellule olfattive, come dire, una sensazione strana, più che un dubbio, un vero e proprio sospetto, qualcosa come… puzza di bruciato, ecco.
Allora, prima ancora di finirlo, sono subito andato a vedere in rete che cosa gli altri avessero pensato di questo romanzo, e ho scoperto che la maggior parte di coloro che lo avevano letto ne erano rimasti come minimo affascinati: meraviglioso, sensazionale, fenomenale, magnifico sono solo alcuni degli aggettivi che gli altri hanno usato per giudicarlo.
Lì per lì ho abbozzato (ma come, la puzza la sento solo io?) e ho continuato a leggere fino a terminarlo, e alla fine… ma andiamo con ordine.




Si vede proprio che alla Holden piace andare contro i dettami classici delle scuole di scrittura creativa: tu insegni a un principiante il concetto di contestualizzazione e di quanto questa sia importante, poi alla lezione successiva il principiante ti porta questo libro insieme a La sposa giovane di Baricco, te li tira in faccia e ti apostrofa: “Ma tu che cazzo dici?”.
E tu dagli a spiegare che delle regole per scrivere bene è vero tutto e il contrario di tutto, e che anche il non contestualizzare può funzionare benissimo, a patto però che tu sia già bravo del tuo. E come minimo devi aver fatto un corso di livello superiore. Possibilmente alla Holden.
Come nel romanzo di Baricco, anche in questo non si sa dove si svolge l’azione né la collocazione temporale, il che all’inizio ti lascia un po’ spaesato, ma ti ci abitui presto e lo apprezzi anche, solo che poi cominci a notare la presenza anche di altri concetti venuti fuori pari pari dai corsi di una scuola di scrittura creativa, e quando questi cominciano a essere parecchi ti domandi se all’autore sia venuto spontaneo applicarli o se abbia solo voluto prenderti per il culo.
Moses Carpenter è un anziano vedovo che vive da solo alla periferia di una città del Sud degli Stati Uniti. Un bel giorno nella villa sfitta accanto alla sua arrivano i nuovi occupanti: una famiglia mista con lei bianca e lui nero (negro), figlioletto nero e madre del marito pure. Il problema è che il vecchio (bianco), e tutta la sua comunità di conoscenti sono dei razzisti convinti e attivisti da sempre, fanno parte di un qualcosa di simile al Ku Klux Klan e i negri vicino a casa loro non ce li vogliono proprio e anzi, di solito fanno di tutto per ammazzarli.
E già qui… una tematica basata sul razzismo e sul KKK scritta da un italiano non ce la vedo proprio. Se Missiroli avesse cambiato sesso e si fosse chiamato Harper Lee sarei stato zitto, ma un tema del genere non fa parte della nostra tradizione e mi è sembrato tanto strano che uno scrittore italiano e giovane se ne sia occupato, a meno che…
A meno che non sia una buona occasione per mostrare uno sfoggio di bravura
Ma sì, dai, facciamo vedere che i concetti studiati alla Holden sono stati recepiti!
Decontestualizziamo, non diciamo dove e quando si svolge l’azione, tanto chissenefrega, la storia si capisce lo stesso e fa tanto fico. E già che ci siamo schiaffiamoci dentro un altro po’ di trucchi letterari che qualcuno lo infinocchio di sicuro!
Un animale, ci vuole un animale a fianco del protagonista, ma un cane o un gatto sono troppo ingombranti per un vecchio: un canarino! Ma sì, il canarino William che svolazza libero per casa e becca le briciole dai piatti. È tanto dolce!
E il bambino rompicoglioni ma che fa (dovrebbe fare) tanta tenerezza lo vogliamo escludere?
E la vecchia negra malata terminale che rinfocola i ricordi della moglie morta anch’essa di cancro? Smuove tanto le budella…
Mettiamoci anche i tormenti del protagonista perché in vita sua è sempre stato angosciato dal suo dover essere per forza razzista (retaggio del padre in realtà mai assimilato, così facciamo vedere anche il pentimento) ed esprimiamo il tutto attraverso una serie di flashback per spezzare la continuità monotona del racconto.
Infiliamoci anche un po’ di stereotipi come personaggi accessori, gli amici del vecchio vanno benissimo, e in quanto a stile? Ma sì, enfatizziamo, enfatizziamo, e tanto per scopiazzare Baricco ogni tanto cambiamo l’io narrante anche all’interno dello stesso periodo. È tutto? Ah, già, la donna bianca deve essere bella, che smuove pulsioni ormai sepolte, così fa più ribrezzo vederla manipolata dalle mani schifose del negro.
E la tragedia finale la vogliamo far mancare? Fa tanta commozione…
Basta, non scendo nei trucchi più piccoli adoperati nella costruzione delle frasi e nella ricerca della terminologia.
Fatto sta che dopo aver notato i primi di questi trucchi il patto di sospensione dell’incredulità che avevo intenzione di stipulare con l’autore è andato subito a farsi benedire, e pur riconoscendo la professionalità di quest’ultimo e la bravura con cui ha confezionato il pacco, dalla ricerca delle parole al loro metterle insieme, il romanzo non mi ha preso per niente e l’ho terminato a fatica pure con un senso di fastidio.
In un romanzo l’autore non deve farsi notare. Non lo devi sentire, non devi pensare a lui, non ti deve venire mai nemmeno in mente. Quando invece vuole per forza farti vedere quant’è bravo allora sì, che decade nella tua considerazione, per quanto sia in gamba. E farlo risalire la vedo molto dura.
Qualche volta vorrei davvero avere un animo candido, incapace di notare molte cose. Mi divertirei molto di più.
Il Lettore 

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