Non è che sentivo proprio il
bisogno impellente di leggere un altro giallo di Alicia Giménez-Bartlett, ma questo Riti di morte mi è capitato in un blocco di prestiti e non ho
potuto fare a meno di prenderlo: tra un attimo vi spiego il perché.
A proposito di prestiti: da queste parti girano un
mucchio di libri in prestito, e dal momento che io sono uno che ai libri ci
tiene, anche a quelli degli altri, mi sono organizzato così: i libri che presto
in lettura, solo a persone fidate, li segno in un taccuino dedicato unicamente
a questo scopo, così non corro il pericolo di dimenticarmi a chi li ho dati
(purtroppo in passato è già successo diverse volte), mentre i libri che ricevo
li incasello in orizzontale sopra altri libri riposti in verticale sui miei
scaffali, appiccicando al muro, sopra di essi, una striscia di nastro adesivo
di carta con su scritto il nome di chi me li ha prestati. Così non corro il
rischio di dimenticarmi a chi appartengano. Dal momento che in questo periodo
ho circa una trentina di libri di
altri, da rendere o ancora da leggere, sono costretto a usare questo sistema
altrimenti ben presto si finirebbe nel caos.
Il problema è che gli ospiti che ignorano le abitudini di
casa si mettono sempre a ridere quando notano la sfilza di nomi appiccicati al
muro col nastro adesivo. Sono sempre ben accetti consigli su altri sistemi per gestire
la faccenda. Che funzionino, beninteso.
Tornando a Riti di morte, che ora riposa in cima
alla pila di dieci volumi sotto la striscia con su scritto “Massimo”, dicevo
che ho dovuto prenderlo perché non solo non l’avevo ancora letto, ma è anche la
prima avventura della coppia di investigatori seriali della Bartlett, e quindi
non ho potuto fare a meno di rendere edotto me stesso sui primi passi del loro
rapporto. Il romanzo è stato scritto nel 1994, ha visto la prima edizione nel
1996 ma in Italia è stato pubblicato solo nel 2002 preceduto da ben altre tre
avventure successive della premiata ditta Delicado-Garzòn. I soliti misteri
dell’editoria italiana.
Fatto sta che in
quest’avventura l’ispettore Petra
Delicado e il vice-ispettore Fermìn
Garzòn si conoscono per la prima volta e sono posti a lavorare insieme a un
caso di stupro; lei ex-avvocato entrata in polizia per sfida, lui quasi al
termine di una carriera giudiziaria trascorsa nei seminterrati; entrambi
relegati a incarichi di terzo piano, quasi reietti e considerati meno di un due
di briscola.
La vicenda si dipana tra alti
e bassi, molti alti e bassi,
decisamente troppi, sia inerenti il caso in oggetto che ben presto si trasforma
in più casi di omicidio, sia riguardanti le vicende personali dei due fino alla
risoluzione con la quale entrambi si guadagnano i riconoscimenti che prima
erano stati loro negati. Il romanzo è leggibile ed è caratterizzato dal solito
stile molto discorsivo della Bartlett che indugia decisamente sul lento,
consentendo al lettore di venire a conoscenza degli sviluppi delle indagini di
pari passo con gli investigatori.
Mettendo in pista questi due
nuovi personaggi che diventeranno sempre più importanti nei successivi romanzi,
capisco come l’autrice abbia voluto insistere nella costruzione delle due figure, delineando accuratamente entrambi
insieme al loro reciproco rapporto che dopo una partenza disastrosa man mano
acquista spessore e si consolida con la nascita di una stima reciproca che
permetterà loro di lavorare insieme collezionando risultati positivi. Di sicuro
al rapporto tra i due viene conferito più peso che all’indagine stessa, che
alla fine lascia un po’ il tempo che trova.
In effetti qualche pagina la
Bartlett avrebbe potuto risparmiarsela, insieme a diverse incongruenze, a
partire dai personaggi che cambiano nome dopo poche pagine, delle quali si
sarebbe accorta se avesse fatto un lavoro di editing più accurato. La Bartlett insiste troppo sui pensieri e
sulle problematiche personali della protagonista e questo, oltre che allungare
a dismisura, dopo un po’ ti fa calare l’interesse nei suoi confronti di pari
passo con il crescere di un fastidioso disturbo alle parti basse.
Basta, per finirlo l’ho
finito, ma per un po’ di tempo di Petra
Delicado non ne voglio proprio nemmeno sentir parlare.
Il Lettore
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