lunedì 13 aprile 2015

Sette gocce di erotismo

Questo post farà contento colui che mi ha rimproverato di non fornire mai recensioni di romanzi erotici. In questo caso sono racconti ma fa nulla, la sostanza è la stessa. Anche se “sostanza”, a dire la verità, è una parola veramente troppo grossa per una raccolta di sette racconti del tutto insulsi il cui pregio più grande è quello di non superare la novantina di pagine. Anche la parola “erotici” mi sembra abbastanza inappropriata e del resto, a pensarci bene, anche la parola “racconti” è del tutto fuori luogo: Cechov sarebbe inorridito.




Prendete un bicchiere di sciroppo d’acero, aggiungete una tazzina di melassa, mescolate, incorporate quindi quattro cucchiai di zucchero e per finire scioglieteci dentro una quantità a piacere di pasticchine di saccarina. Agitate. Bevete. No no no, non un solo sorso, scolate il bicchiere fino in fondo (aiutatevi con un cucchiaino per ripulirlo bene). Fatto? Come vi sentite? Ecco, ora avete una vaga idea dell’effetto “erotico” che innescano questi racconti di Ilan Asmes. Che poi… ma si può scegliere un nome più brutto da mettere in copertina? Ma è lui stesso, anzi, “lei”, che in fondo al libro ci spiega che tale nome non è altro che l’anagramma di “Messalina” (cazzo! originale!): l’anagramma di uno pseudonimo, manco fossimo alla Cia. Si vede che da quanto l’autrice si è vergognata per aver scritto una tale puttanata ha fatto di tutto e di più per rendersi irriconoscibile.
Ma non crediate che non ci sia sotto qualcosa. I racconti di Sette gocce di erotismo sono pessimi, è vero, ma in realtà dietro di essi si sente la mano di un professionista. Un professionista dello scrivere che conosce grammatica e sintassi, che sa benissimo qual è il target di lettori al quale è destinato il libro e sa come soddisfarli, e sa anche come confezionare un prodotto per consentirgli di vendere qualche copia in più. Di fronte a ciò la vera qualità passa in secondo piano.
Mi sono trovato questa raccolta sotto forma di epub in un blocco di scritti provenienti da amici che ho scaricato sul telefono, e preso dalla curiosità ho cominciato a leggerlo in un momento in cui avevo voglia di qualcosa di leggero. La prosa è decente e l’argomento sarebbe potuto essere interessante, ma i racconti non sanno di niente, mancano del tutto di un minimo colpo di scena finale e sono scritti con un linguaggio il cui scopo è quello di risvegliare dei pruriti in donzelle plurietà inconsciamente frustrate e sessualmente insoddisfatte, che anelano a quel pizzico di trasgressione che non avranno mai il coraggio di trasformare in realtà. Il lessico è studiato apposta per questa fascia di utenza: i sinonimi “pene” e “membro” sostituiscono il più volgare “cazzo”, mentre, forse perché le destinatarie hanno con essa più confidenza, la parola “fica” viene riportata tale e quale senza usare alleggerimenti quali “vulva” o “vagina”. La componente femminile viene sempre tenuta in primo piano, sia come autorealizzazione sia come autonoma capacità decisionale, e le protagoniste riescono sempre a provare orgasmi su orgasmi fino ad uno sfinimento del tutto appagante aiutate in questo da personaggi maschili sfacciatamente altruisti e un pelino al di fuori della realtà. Ma quando mai.
Questo per dire che di eccitante, per un uomo, non è che ci sia un gran ché. Se teniamo conto di ciò e se consideriamo che la struttura di un racconto senza un colpo di scena finale è come una pastasciutta senza soffritto, alla fine restano situazioni scialbe e per nulla interessanti (ma cosa vuoi che me ne freghi di un settantenne che sfoga la sua libidine in una vagina di plastica?).
Se l’intento dell’autrice era quello di accendere i sensi, questo libretto sarebbe molto più utile per accendere il fuoco nel camino di casa Carvahlo.
Il Lettore eccitato nauseato

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