Questo post farà contento colui
che mi ha rimproverato di non fornire mai recensioni di romanzi erotici. In
questo caso sono racconti ma fa nulla, la sostanza è la stessa. Anche se
“sostanza”, a dire la verità, è una parola veramente troppo grossa per una
raccolta di sette racconti del tutto insulsi
il cui pregio più grande è quello di non superare la novantina di pagine. Anche
la parola “erotici” mi sembra abbastanza inappropriata e del resto, a pensarci
bene, anche la parola “racconti” è del tutto fuori luogo: Cechov sarebbe
inorridito.
Prendete un bicchiere di sciroppo d’acero, aggiungete una
tazzina di melassa, mescolate,
incorporate quindi quattro cucchiai di zucchero
e per finire scioglieteci dentro una quantità a piacere di pasticchine di saccarina. Agitate. Bevete. No no no,
non un solo sorso, scolate il bicchiere fino in fondo (aiutatevi con un
cucchiaino per ripulirlo bene). Fatto? Come vi sentite? Ecco, ora avete una
vaga idea dell’effetto “erotico” che innescano questi racconti di Ilan Asmes. Che poi… ma si può
scegliere un nome più brutto da mettere in copertina? Ma è lui stesso, anzi,
“lei”, che in fondo al libro ci spiega che tale nome non è altro che
l’anagramma di “Messalina” (cazzo! originale!): l’anagramma di uno pseudonimo,
manco fossimo alla Cia. Si vede che da quanto l’autrice si è vergognata per aver
scritto una tale puttanata ha fatto di tutto e di più per rendersi
irriconoscibile.
Ma non crediate che non ci sia sotto qualcosa. I racconti di
Sette gocce di erotismo sono pessimi, è vero, ma in realtà dietro di
essi si sente la mano di un professionista.
Un professionista dello scrivere che conosce grammatica e sintassi, che sa
benissimo qual è il target di lettori
al quale è destinato il libro e sa come soddisfarli, e sa anche come
confezionare un prodotto per consentirgli di vendere qualche copia in più. Di
fronte a ciò la vera qualità passa
in secondo piano.
Mi sono trovato questa
raccolta sotto forma di epub in un
blocco di scritti provenienti da amici che ho scaricato sul telefono, e preso
dalla curiosità ho cominciato a leggerlo in un momento in cui avevo voglia di
qualcosa di leggero. La prosa è
decente e l’argomento sarebbe potuto essere interessante, ma i racconti non
sanno di niente, mancano del tutto di un minimo colpo di scena finale e sono
scritti con un linguaggio il cui scopo è quello di risvegliare dei pruriti in donzelle plurietà inconsciamente
frustrate e sessualmente insoddisfatte, che anelano a quel pizzico di
trasgressione che non avranno mai il coraggio di trasformare in realtà. Il
lessico è studiato apposta per questa fascia di utenza: i sinonimi “pene” e
“membro” sostituiscono il più volgare “cazzo”, mentre, forse perché le
destinatarie hanno con essa più confidenza, la parola “fica” viene riportata
tale e quale senza usare alleggerimenti quali “vulva” o “vagina”. La componente
femminile viene sempre tenuta in primo piano, sia come autorealizzazione sia
come autonoma capacità decisionale, e le protagoniste riescono sempre a provare
orgasmi su orgasmi fino ad uno sfinimento del tutto appagante aiutate in
questo da personaggi maschili sfacciatamente altruisti e un pelino al di fuori
della realtà. Ma quando mai.
Questo per dire che di
eccitante, per un uomo, non è che ci
sia un gran ché. Se teniamo conto di ciò e se consideriamo che la struttura di
un racconto senza un colpo di scena finale è come una pastasciutta senza
soffritto, alla fine restano situazioni scialbe e per nulla interessanti (ma
cosa vuoi che me ne freghi di un settantenne che sfoga la sua libidine in una
vagina di plastica?).
Se l’intento dell’autrice era
quello di accendere i sensi, questo libretto sarebbe molto più utile per
accendere il fuoco nel camino di casa Carvahlo.
Il Lettore eccitato
nauseato
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