Un piccolo gioiellino con
quasi lo stesso valore dell’altra perla di Jean
Giono, quella più famosa, quel L’uomo
che piantava gli alberi che nonostante non abbia fatto guadagnare nulla
all’autore ― Giono lo ha fatto distribuire gratuitamente ― è diventato un cult book per tutti quelli rimasti
affascinati dalla vicenda di quest’uomo che ha finito col ricreare un boscoso angolo
di paradiso da una landa desolata del paesaggio alpino.
Anche il protagonista di
questo Il Disertore è un uomo solo, enigmatico,
comparso dal nulla, senza un passato e
tantomeno senza un futuro, e sembra a questo punto che una figura di tal genere
sia talmente importante per l’autore da imporsi nelle sue tematiche ricorrenti,
anche se questo libretto di meno di cento pagine non è un romanzo, ma una
specie di ricostruzione a cavallo tra la fantasia e la storia di una porzione
della vita di Charles Frédéric Brun,
il pittore del quale restano alcune opere sparse in piccoli paeselli delle Alpi
a cavallo tra la Svizzera e la Francia.
Lo chiamano Il Disertore, ed è possibile che così
si senta lui stesso, ma in realtà non ha commesso alcun reato, non ha disertato
da alcun esercito né tantomeno ha ucciso qualcuno, e questa definizione la
sente propria per il rifiuto che oppone alla civiltà, alle altre persone per
quanto simili a lui e a tutte le manifestazioni della società anche se queste operano
solo per aiutarlo. Il suo solo difetto è la completa miseria, uno stato che
nella seconda metà del diciannovesimo secolo era paragonabile all’aver infranto
una qualsiasi legge.
Per questo Charles Frédéric
rifugge qualsiasi vicinanza ai luoghi pubblici, aborrisce i possibili contatti
con tutori dell’ordine, limita al minimo gli incontri anche con le persone che
vogliono aiutarlo, e si limita ad accettare solo lo stretto necessario che gli
consente di continuare a vivere in cambio di piccoli dipinti che regala a chi
gli fa della carità.
“Tiene alla vita più di quanto il suo modo di vivere possa far pensare.
Se accetta freddo, privazioni, solitudine, è proprio perché vuole vivere, se
no, non accetterebbe un bel niente, si lascerebbe andare come ne fu tentato in
fondo alla Val Ferret, se resiste, (…) è perché vuole vivere.”
Ma quei dipinti diventeranno
famosi e saranno alla base di questo libretto scritto con uno stile squisito,
un indiretto libero per mezzo del quale l’autore entra spesso nella mente sia
del protagonista che dei personaggi che lo contornano, pur ricostruendo
dall’esterno una storia ipotetica sulla base di labili indizi.
La lettura è veloce e
interessante e personalmente l’ho trovato gradevole e profondo, ma capisco
anche come tutti coloro che non fossero interessati alle problematiche degli
uomini poveri e solitari, che poi oltretutto muoiono miseri e derelitti, potrebbero
non esserne un gran ché divertiti.
Perlomeno quella di L’uomo che piantava gli alberi era una morale ottimistica.
Il Lettore
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