lunedì 16 marzo 2015

Il Disertore

Un piccolo gioiellino con quasi lo stesso valore dell’altra perla di Jean Giono, quella più famosa, quel L’uomo che piantava gli alberi che nonostante non abbia fatto guadagnare nulla all’autore ― Giono lo ha fatto distribuire gratuitamente ― è diventato un cult book per tutti quelli rimasti affascinati dalla vicenda di quest’uomo che ha finito col ricreare un boscoso angolo di paradiso da una landa desolata del paesaggio alpino.




Anche il protagonista di questo Il Disertore è un uomo solo, enigmatico, comparso dal nulla,  senza un passato e tantomeno senza un futuro, e sembra a questo punto che una figura di tal genere sia talmente importante per l’autore da imporsi nelle sue tematiche ricorrenti, anche se questo libretto di meno di cento pagine non è un romanzo, ma una specie di ricostruzione a cavallo tra la fantasia e la storia di una porzione della vita di Charles Frédéric Brun, il pittore del quale restano alcune opere sparse in piccoli paeselli delle Alpi a cavallo tra la Svizzera e la Francia.
Lo chiamano Il Disertore, ed è possibile che così si senta lui stesso, ma in realtà non ha commesso alcun reato, non ha disertato da alcun esercito né tantomeno ha ucciso qualcuno, e questa definizione la sente propria per il rifiuto che oppone alla civiltà, alle altre persone per quanto simili a lui e a tutte le manifestazioni della società anche se queste operano solo per aiutarlo. Il suo solo difetto è la completa miseria, uno stato che nella seconda metà del diciannovesimo secolo era paragonabile all’aver infranto una qualsiasi legge.
Per questo Charles Frédéric rifugge qualsiasi vicinanza ai luoghi pubblici, aborrisce i possibili contatti con tutori dell’ordine, limita al minimo gli incontri anche con le persone che vogliono aiutarlo, e si limita ad accettare solo lo stretto necessario che gli consente di continuare a vivere in cambio di piccoli dipinti che regala a chi gli fa della carità.
Tiene alla vita più di quanto il suo modo di vivere possa far pensare. Se accetta freddo, privazioni, solitudine, è proprio perché vuole vivere, se no, non accetterebbe un bel niente, si lascerebbe andare come ne fu tentato in fondo alla Val Ferret, se resiste, (…) è perché vuole vivere.”
Ma quei dipinti diventeranno famosi e saranno alla base di questo libretto scritto con uno stile squisito, un indiretto libero per mezzo del quale l’autore entra spesso nella mente sia del protagonista che dei personaggi che lo contornano, pur ricostruendo dall’esterno una storia ipotetica sulla base di labili indizi.
La lettura è veloce e interessante e personalmente l’ho trovato gradevole e profondo, ma capisco anche come tutti coloro che non fossero interessati alle problematiche degli uomini poveri e solitari, che poi oltretutto muoiono miseri e derelitti, potrebbero non esserne un gran ché divertiti.
Perlomeno quella di L’uomo che piantava gli alberi era  una morale ottimistica.
Il Lettore 

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