Scusate il ritardo ma ho il
computer che fa le bizze e in questi giorni è sotto checkup. Anche ora l’ho
blandamente esortato a comportarsi come si deve sotto la minaccia di buttarlo
dalla finestra.
Allora.
Tra i miei interessi c’è
anche la fotografia, ovviamente a livello amatoriale, e quando mi capita un
libro che unisce belle foto ad una buona scrittura, allora il piacere è doppio.
Il libro di oggi è
un’autobiografia che dimostra come Don
McCullin non sia bravo solamente a scattare foto, ma anche a raccontare
motivazioni e retroscena di una carriera che lo ha visto testimone di
catastrofi naturali e atrocità compiute dall’uomo sull’uomo, seguendo una
professione che lo ha portato a partecipare ad ogni tipo di guerra in ogni
angolo della Terra: Cipro, Congo, Biafra, Sudest asiatico,
Irlanda del Nord, Afghanistan, Medio Oriente, El Salvador. Si è perso solo la
guerra delle Falkland, dal momento che gli organi ufficiali non hanno voluto
accreditarlo per il tono troppo evocativo dei suoi reportage.
“Vedere, osservare ciò che altri non riuscirebbero a vedere: è qui il
senso della mia intera vita di reporter di guerra”
Queste le parole con cui l’autore riassume la funzione che ha
svolto per cinquant’anni, e devo ammettere che è riuscito benissimo a
raccontare in modo semplice ma interessante una vita interessante che semplice non è stata. Con uno stile lineare,
immediato e onesto, McCullin racconta una vita straordinaria partendo dalle
scelte giovanili casuali, come quella di trovarsi a lavorare in una camera oscura durante il servizio
militare nella RAF, al farne una professione, all’abbandonare questa
professione dopo cinquant’anni in un dilemma esistenziale, quando disperazione e
incomprensione per le inqualificabili crudeltà da lui fotografate hanno avuto
la meglio sulla passione che lo aveva trascinato per tanti anni.
Perché dal libro emerge
l’orrore che McCullin provava nelle zone di guerra, misto a sofferenza,
tristezza, compassione e solidarietà per le vittime, e questi sentimenti li
riportava nella scelta delle fotografie da trasmettere ai suoi committenti che
ne traevano servizi densi di pathos.
Come dimenticare lo sguardo allucinato dell’anonimo marine immortalato da McCullinn in un’effimera pausa della guerra
in Vietnam?
Da quello sguardo emergono
potenti l’atrocità e l’assurdità di tutte le guerre, e non si può addossare
proprio alcuna colpa a McCullinn se a un certo punto si è reputato saturo di
crudeltà e si è ritirato a fotografare
paesaggi, still-life e ritratti nella
sua casa nella campagna inglese.
Comunque un bel libro,
interessante dall’inizio alla fine, e le foto di cui è corredato sono veramente
eccezionali.
Il Lettore
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