martedì 24 dicembre 2013

Un comportamento irragionevole

Scusate il ritardo ma ho il computer che fa le bizze e in questi giorni è sotto checkup. Anche ora l’ho blandamente esortato a comportarsi come si deve sotto la minaccia di buttarlo dalla finestra.
Allora.

Tra i miei interessi c’è anche la fotografia, ovviamente a livello amatoriale, e quando mi capita un libro che unisce belle foto ad una buona scrittura, allora il piacere è doppio.


Il libro di oggi è un’autobiografia che dimostra come Don McCullin non sia bravo solamente a scattare foto, ma anche a raccontare motivazioni e retroscena di una carriera che lo ha visto testimone di catastrofi naturali e atrocità compiute dall’uomo sull’uomo, seguendo una professione che lo ha portato a partecipare ad ogni tipo di guerra in ogni angolo della Terra: Cipro, Congo, Biafra, Sudest asiatico, Irlanda del Nord, Afghanistan, Medio Oriente, El Salvador. Si è perso solo la guerra delle Falkland, dal momento che gli organi ufficiali non hanno voluto accreditarlo per il tono troppo evocativo dei suoi reportage.
 “Vedere, osservare ciò che altri non riuscirebbero a vedere: è qui il senso della mia intera vita di reporter di guerra
Queste le parole con cui l’autore riassume la funzione che ha svolto per cinquant’anni, e devo ammettere che è riuscito benissimo a raccontare in modo semplice ma interessante una vita interessante che semplice non è stata. Con uno stile lineare, immediato e onesto, McCullin racconta una vita straordinaria partendo dalle scelte giovanili casuali, come quella di trovarsi a lavorare in una camera oscura durante il servizio militare nella RAF, al farne una professione, all’abbandonare questa professione dopo cinquant’anni in un dilemma esistenziale, quando disperazione e incomprensione per le inqualificabili crudeltà da lui fotografate hanno avuto la meglio sulla passione che lo aveva trascinato per tanti anni.
Perché dal libro emerge l’orrore che McCullin provava nelle zone di guerra, misto a sofferenza, tristezza, compassione e solidarietà per le vittime, e questi sentimenti li riportava nella scelta delle fotografie da trasmettere ai suoi committenti che ne traevano servizi densi di pathos. Come dimenticare lo sguardo allucinato dell’anonimo marine immortalato da McCullinn in un’effimera pausa della guerra in Vietnam?


Da quello sguardo emergono potenti l’atrocità e l’assurdità di tutte le guerre, e non si può addossare proprio alcuna colpa a McCullinn se a un certo punto si è reputato saturo di crudeltà e si è ritirato  a fotografare paesaggi, still-life e ritratti nella sua casa nella campagna inglese.
Comunque un bel libro, interessante dall’inizio alla fine, e le foto di cui è corredato sono veramente eccezionali.
Il Lettore

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