Quando leggo un autore
sconosciuto le cui storie fanno parte di un ciclo mi piace iniziare dal primo
della successione, ma in questo caso sono venuto a sapere solo dopo che questo Le maschere della notte è la terza
indagine del Commissario Pieter
Van In, così come non sapevo che questa serie scritta da Pieter Aspe ha venduto quasi due
milioni di copie oltre ad aver fornito lo spunto per radiodrammi, telefilm e
perfino un gioco di ruolo. Il tutto in Belgio e Olanda, dove evidentemente
l’appartenenza del testo alla corrente giallistica fiamminga è molto sentita.
Il romanzo fa parte del
genere in cui sai da subito chi sono
i “cattivi”, e la tensione narrativa che ti spinge a continuare a leggere è
fornita solamente dalla curiosità di sapere il “come” l’eroe di turno riuscirà
a sbatterli in gattabuia. Pieter Aspe è piuttosto bravo nel costruire questa
tensione, utilizzando meccanismi collaudati, caratterizzando bene i
coprotagonisti e mescolando all’indagine principale quei microcosmi personali
che immagino nel corso dei vari episodi subiscano un’evoluzione che
incuriosisce il lettore.
Un racconto che si legge
bene, il cui stile di scrittura e di definizione dei personaggi mi ha ricordato
Lawrence Sanders (lui sì che era un
grande, prima o poi devo ripescare uno dei suoi romanzi e farne una recensione;
solo a pensarci mi viene voglia di rileggerlo…), e che alla fine soddisfa pur
presentando alcune pecche come sporadici cali stilistici, forse dovuti anche
alla traduzione, o incongruenze narrative poco realistiche come le intemperanze
del protagonista o l’inviare in missione sotto copertura un agente del tutto
inesperto.
Comunque una lettura
piacevole, ma appannata anche (idiosincrasia personale, affermazione da
prendere con le dovute cautele) dalla difficoltà di leggere e memorizzare una
caterva di cognomi tipicamente fiamminghi: Van In, Versavel, Vermast, Vervoort,
Vandaele, Provoost, Lodewijk, De Jaegher eccetera, che per le assonanze o la
difficoltà di attribuire ad essi una pronuncia plausibile finiscono con il
confondersi fra di loro e spesso succede di dover tornare indietro per cercare
di capire chi sia questo o quello.
Per noi abituati ai cognomi
latini o anglosassoni, tutt’al più francofoni, è un po’ quello che ci succede
con la letteratura scandinava: Appelviken, Blomkvist, Armanskij, Fraklund; giapponese: Shikibu, Yamanashi, Kanezaki,
Momokawa Joen, Tennenkoji; russa: Raskolnikov, Arkadjevic, Vronskij,
Aleksjejevic, Aleksandrovic, Nechljudov… (per non parlare di quella araba, indiana,
africana, ebrea, cinese, tibetana o inuit).
E ringraziate che non ho riportato
tutti quegli accenti strani sopra le lettere.
Il Lettore
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