venerdì 18 ottobre 2013

Le maschere della notte

Quando leggo un autore sconosciuto le cui storie fanno parte di un ciclo mi piace iniziare dal primo della successione, ma in questo caso sono venuto a sapere solo dopo che questo Le maschere della notte è la terza indagine del Commissario  Pieter Van In, così come non sapevo che questa serie scritta da Pieter Aspe ha venduto quasi due milioni di copie oltre ad aver fornito lo spunto per radiodrammi, telefilm e perfino un gioco di ruolo. Il tutto in Belgio e Olanda, dove evidentemente l’appartenenza del testo alla corrente giallistica fiamminga è molto sentita.


Il romanzo fa parte del genere in cui sai da subito chi sono i “cattivi”, e la tensione narrativa che ti spinge a continuare a leggere è fornita solamente dalla curiosità di sapere il “come” l’eroe di turno riuscirà a sbatterli in gattabuia. Pieter Aspe è piuttosto bravo nel costruire questa tensione, utilizzando meccanismi collaudati, caratterizzando bene i coprotagonisti e mescolando all’indagine principale quei microcosmi personali che immagino nel corso dei vari episodi subiscano un’evoluzione che incuriosisce il lettore.
Un racconto che si legge bene, il cui stile di scrittura e di definizione dei personaggi mi ha ricordato Lawrence Sanders (lui sì che era un grande, prima o poi devo ripescare uno dei suoi romanzi e farne una recensione; solo a pensarci mi viene voglia di rileggerlo…), e che alla fine soddisfa pur presentando alcune pecche come sporadici cali stilistici, forse dovuti anche alla traduzione, o incongruenze narrative poco realistiche come le intemperanze del protagonista o l’inviare in missione sotto copertura un agente del tutto inesperto.
Comunque una lettura piacevole, ma appannata anche (idiosincrasia personale, affermazione da prendere con le dovute cautele) dalla difficoltà di leggere e memorizzare una caterva di cognomi tipicamente fiamminghi: Van In, Versavel, Vermast, Vervoort, Vandaele, Provoost, Lodewijk, De Jaegher eccetera, che per le assonanze o la difficoltà di attribuire ad essi una pronuncia plausibile finiscono con il confondersi fra di loro e spesso succede di dover tornare indietro per cercare di capire chi sia questo o quello.
Per noi abituati ai cognomi latini o anglosassoni, tutt’al più francofoni, è un po’ quello che ci succede con la letteratura scandinava: Appelviken, Blomkvist, Armanskij, Fraklund;  giapponese: Shikibu, Yamanashi, Kanezaki, Momokawa Joen, Tennenkoji; russa: Raskolnikov, Arkadjevic, Vronskij, Aleksjejevic, Aleksandrovic, Nechljudov… (per non parlare di quella araba, indiana, africana, ebrea, cinese, tibetana o inuit).
E ringraziate che non ho riportato tutti quegli accenti strani sopra le lettere.
Il Lettore

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