mercoledì 21 agosto 2013

Una ragione per morire

Ho scoperto Lee Child nel 2004, comperando una copia di Zona pericolosa nel negozietto di libri usati che di solito frequento alla ricerca di novità potenzialmente interessanti. Be’, in quell’occasione il mio sesto senso librario ha funzionato alla perfezione e sono stato fortunato due volte: la prima per aver scoperto quest’autore, la seconda per essermi imbattuto tanto bene nella primissima avventura di Jack Reacher, pubblicata nel ’97 negli Usa e nel 2000 in Italia.
Da allora, dopo aver ricercato e trovato e gustato tutti i romanzi di Child che sono stati editi in italiano, ho promosso questo autore tra quelli che vanno acquistati appena escono senza aspettare di trovarlo di seconda mano, anzi, con l’ansia e l’impazienza dell’attesa di ogni nuova uscita.
Va be’, farà qualcuno storcendo il naso, ma in fondo sono solo romanzetti d’azione…

È vero… non dico di no, ma accidentaccio, come sono scritti!


Prendi Una ragione per morire, per esempio, che è l’ultima avventura di Reacher e se non sbaglio la decima o l’undicesima di quelle pubblicate in Italia: inizi a leggere… e non riesci più a staccarti dal libro fino a che non hai visto la parola fine. Non ci dormi, non mangi, se puoi non vai nemmeno a lavorare e rimandi gli appuntamenti pur di giungere al più presto alla risoluzione della vicenda.
Sarà anche un romanzetto d’azione e pure con una trama già vista, ma magari fossero scritti così i libri cosiddetti “seri”!
La prosa di Child, inglese trasferitosi negli Stati Uniti, è sempre molto semplice, ma lui sa inserire alla perfezione quegli elementi che creano curiosità e incrementano la tensione narrativa fino ad incatenarti letteralmente al libro che stai leggendo. Una particolare caratteristica che lo contraddistingue è che, nonostante il protagonista dei suoi libri sia sempre lo stesso, alcuni dei romanzi sono scritti in terza persona, con Child come narratore esterno onnisciente, ed altri in prima persona, con Reacher stesso che assume la parte di narratore interno alla storia. E il bello è che funzionano entrambe le versioni.
È ovvio che in una serie di più di dieci avventure compaiano delle debàcle, e che oltre a romanzi ottimi come  Colpo secco, Il nemico, A prova di killer, La vittima designata e Niente da perdere ci siano opere decisamente meno buone come  I dodici segni e L’ora decisiva, ma quando poi l’autore si risolleva con l’ultimo pubblicato allora riesci anche a perdonargli quelle cadute di stile. Jack Reacher è stato poi consacrato a personaggio famoso in tutto il mondo con il film che è stato tratto da quel La prova decisiva che come romanzo è una delle performances migliori di Child. Il film, per quelli che conoscono già il personaggio di Reacher, è solo leggermente appannato dall’autoscelta di Tom Cruise come improbabile protagonista perché, purtroppo per lui, nella realtà l’attore non ha proprio nulla del fisico di Jack Reacher.
Lee Child è riuscito a qualificare il suo protagonista infondendogli un numero impressionante di aspetti caratteriali che risultano ben accetti al lettore: Reacher è alto e grosso ma non bello,  potente ma non invulnerabile, cinico ma equo, esperto in qualsiasi tipo di combattimento, sprezzante delle imposizioni della società moderna, coerente e lineare, vagabondo senza fissa dimora per consapevole scelta, con un profondo senso della giustizia, un sano interesse per le belle donne, un passato affascinante di ufficiale della polizia militare, un prepotente istinto cavalleresco, libero da qualsiasi vincolo, durissimo ma anche capace di teneri sentimenti, un cavaliere solitario sempre pronto ad aiutare i deboli e combattere le prepotenze.
Sembra che, a parte l’inclinazione per le belle donne che non frequenta molto spesso, io abbia dipinto il ritratto di Tex Willer. E come Tex, Reacher piace perché va per la sua strada, non vuole rotture di scatole, si fa giustizia da solo, se c’è da ammazzare ammazza senza stare a pensarci troppo, ma ovviamente solo i “cattivi” che se lo meritano, e non si fa impastoiare da impedimenti burocratici. Entrambi piacciono perché rappresentano, in un’identificazione spontanea, colui che tutti vorremmo poter essere.
Il Lettore

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