giovedì 3 agosto 2017

Voi non sapete

L’11 aprile 2006 le forze dell’ordine riescono ad arrestare, in un casale di campagna siciliano, Bernardo Provenzano, uno dei capi più influenti della mafia, già condannato in contumacia per diversi omicidi ad almeno tre ergastoli, dopo la bellezza di 43 (quarantatre!) anni di latitanza.
E come poteva, Andrea Camilleri, lasciarsi sfuggire l’occasione di scriverci un libro sopra?




Voi non sapete cosa state facendo” sono le parole che Provenzano ha detto agli agenti al momento dell’arresto. Dopodiché ha fatto loro i complimenti e li ha seguiti senza opporre la minima resistenza. Si vede che dopo tutto quel tempo da fuggiasco era stufo anche lui. Una volta in carcere ha continuato a dirigere la mafia e a comunicare con i suoi adepti tramite il sistema che adoperava già da prima, scomodo ma sicuro, farraginoso ma preciso: lo scambio di informazioni tramite “pizzini”.
Nei suoi romanzi, Andrea Camilleri in genere tocca solo marginalmente l’argomento “mafia”: ad eccezione degli sparuti scambi con il vecchio capo della famiglia Sinagra (e della mafia locale), sempre improntati al reciproco rispetto, Salvo Montalbano ha pochi se non nulli incontri con l’universo mafioso. Anche se quasi sempre la mafia è presente in sottofondo.
 Ma questo non significa che non la conosca bene, anzi. La sua lectio doctoralis in occasione del conferimento della laurea honoris causa in Psicologia applicata, clinica e della salute all’Università dell’Aquila nel 2007 verteva proprio sulla cattura di Provenzano, e questo stesso libro non è altro che un dizionario nel quale, analizzando in ordine alfabetico termini che vanno da “AFFARI” a “VOI NON SAPETE”, passando tra gli altri per “BERNARDO, SAN” e “PROSTATA” o “PROVERBIO”, sono spiegate parole e concetti che si ripetono spesso nei “pizzini” intercorsi tra Provenzano e i suoi interlocutori. Come del resto recita il sottotitolo del libro: Gli amici, i nemici, la mafia, il mondo nei pizzini di Bernardo Provenzano.
Ne emerge un panorama dell’universo mafioso abbastanza completo e istruttivo (per un profano quale sono), il tutto scritto rigorosamente a macchina, dal quale si capisce come Provenzano, una volta arrivato a essere il capo indiscusso e nonostante fosse un assassino egli stesso, abbia voluto contrastare la strategia di terrore violento messa in atto da Toto Riina per tornare a un comportamento mafioso più “onorevole” e blando, più all’antica, perché in fondo tutti quegli ammazzamenti servivano a poco e non portavano vantaggi a nessuno.
La stessa accezione della frase rivolta ai poliziotti al momento dell’arresto si può intendere come un velato rimprovero perché arrestando lui venivano ad interrompere una strategia in atto che dopo le morti di Falcone e Borsellino avrebbe portato a risultati positivi anche per le forze dell’ordine, oltre che per la mafia stessa.
Svariati sono gli argomenti trattati nei pizzini: la religione, la famiglia, i rapporti tra le persone, le gerarchie, la politica. Vi si leggono osservazioni di vita da parte di un capo mafia che sta percorrendo una strada ben precisa e non sempre sono facili da decifrare e da comprendere, essendo permeati da un modo di parlare “per sottintesi” che assomiglia a uno dei modi di parlarsi dei siciliani, per sguardi, che vanno capiti e non spiegati. Una celiàta va compresa al volo, e guai a sbagliare interpretazione.
Nonostante io non ami molto i libri di Camilleri senza Montalbano questo l’ho trovato interessante. Mi è piaciuto, mi ha fatto conoscere alcuni modi di comportamento inusuali per me ma consolidati in certi ambienti. 
Leggere i pizzini originali, alcuni dei quali Camilleri riporta in fondo al libro, quello no, non è stato piacevole. Non ci si capisce nulla, sia per i sottintesi che per le sgrammaticature e per i veri e propri errori di cui sono costellati.

Di certo Bernardo Provenzano un letterato non era.
Il Lettore 

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