martedì 8 agosto 2017

La sfida

Il 30 ottobre 1974 si è disputato a Kinshasa uno dei più epici incontri di boxe nella storia di questo sport: Muhammad Alì aveva sfidato il campione del mondo in carica dei pesi massimi George Foreman per tentare di riprendersi il titolo mondiale che gli era stato tolto per il suo rifiuto di andare a combattere in Vietnam (“…dopo che gli era stato strappato senza aver mai perso un incontro. Per un pugile, una frustrazione equivalente a scrivere Addio alle armi e non riuscire a pubblicarlo. “)
Nessun vietnamita mi ha mai dato dello sporco negro” è stata una delle frasi più famose di Alì.
Due campioni agli antipodi, eccezionali entrambi ma di carattere profondamente diverso e con un opposto modo di concepire la boxe, caciarone e ciarliero il primo, serio, cattivo e introspettivo il secondo. Vista la differenza d’età e lo stato di forma fisica tutti i pronostici furono contro Alì, e invece…
Era il periodo in cui la boxe riusciva ad attirare tanto pubblico quanto il calcio, e una rivista diede l’incarico al già famoso Norman Mailer di seguire l’incontro e di farne un reportage: un vero e proprio invito a nozze, per uno scrittore amante dello sport e già affetto da logorrea creativa.




Oltretutto lo scrittore già conosceva personalmente entrambi i pugili e confezionò direttamente un vero e proprio libro e non soltanto un resoconto sportivo. Libro in cui sviscera tutti gli aspetti psicologici di Muhammad Alì e di George Foreman, insieme al suo rapporto personale con la gente nera e a gran parte delle implicazioni di questa con la gente bianca.
In effetti il match sarebbe dovuto essere, ed è stato, un trionfo della negritudine: svolto nel Continente Nero, in Zaire, tra due neri con un diverso modo di rapportarsi con il mondo, organizzato da neri, avrebbe dovuto rappresentare una vera e propria riscossa del popolo nero, o quantomeno il proseguimento di una rivoluzione. Che occasione per Mailer di smontare qualche illusione sociale!  “Quale piacere nell’osservare che quello stato totalmente nero, rivoluzionario, con un solo partito, era riuscito ad accoppiare alcuni aspetti oppressivi del comunismo con quelli peggiori del capitalismo.”
Con frequenti digressioni nella politica e nel sociale, Mailer racconta, nei primi tre quarti de La sfida, il periodo di preparazione all’incontro e l’approccio ad esso dei due pugili e dei rispettivi entourage, inserendo anche se stesso di cui parla generalmente in terza persona (Norman fece questo, Norman pensò quest’altro…) e costruendo un’accuratissima contestualizzazione non scevra di riferimenti personali. Come quando va a fare una corsetta di allenamento insieme ad Alì: “Correre gli rovinava la giornata. Dopo la corsa [Norman] non si sentiva rinnovato, ma sovreccitato e irritabile. La verità era che la corsa lo faceva sentire bene solo quando finiva. E rammentava a se stesso che, con l’eccezione di Erich Segal e George Gilder, non aveva mai sentito di uno scrittore che amasse correre.” Perché evidentemente all’epoca non aveva ancora sentito parlare di un certo Haruki Murakami.
Nel restante quarto del libro Mailer scrive una vera e propria cronaca dell’incontro, dall’inizio alle 4 del mattino (per esigenze di diretta televisiva negli Stati Uniti) fino al decisivo ottavo round, calcando la mano sulla guerra psicologica tra i due avversari: una vera e propria partita a scacchi inframmezzata da una miriade di mazzate che i due si son dati l’un l’altro fino al trionfo di un Muhammad Alì più saldo dal punto di vista mentale e allenato ad assorbire cazzotti che avrebbero tramortito qualsiasi altra persona.
Un resoconto entusiasmante, una scrittura brillante da parte di un artista di quelli che sanno guardare dentro e dietro le cose, capace di emozionarti anche quando già sai come va a finire. Bel libro, ce ne fossero di più di Norman Mailer in circolazione.
Il Lettore 

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