martedì 7 febbraio 2017

Rose Madder

L’argomento di questo romanzo di Stephen King è la violenza sulle donne. In particolare quella dei mariti sulle mogli. Purtroppo un tema sempre alla ribalta.
Rose McClendon (in Daniels) è una giovane donna picchiata e abusata dal marito finché trova il coraggio di uscire da questa situazione critica: scappa da casa all’improvviso senza portare nulla con sé e si rifugia in una grande città a 800 chilometri di distanza, dove trova asilo in una struttura per donne maltrattate e piano piano prova a ricostruirsi una nuova vita.
Ma il marito è un poliziotto, e conosce le tecniche per rintracciare una persona scomparsa. Norman Daniels non può sopportare l’idea che la moglie l’abbia piantato e parte alla sua ricerca con propositi di vendetta.




Tutto il romanzo è basato su Rose che impara a vivere di nuovo e Norman che la cerca sfruttando le capacità imparate nel suo lavoro, fino a che riuscirà a trovarla.
Stephen King è veramente un grande. Il romanzo è scritto in modo superbo,  ne emergono tutta la psicologia della donna e tutta la psicosi dell’uomo e ti fa stare in ansia dall’inizio alla fine. Ed è per questo motivo che di solito non leggo King. Sei sempre in tensione e temi il momento in cui la troverà per ciò che potrà succedere, perché nel frattempo lui ha saputo farti affezionare alla fragilità della protagonista e temere la pazzia di lui. Lo stesso autore alla fine ci dice che ha impiegato diciotto mesi per scriverlo, e dovrebbero essere stati diciotto mesi per nulla piacevoli, immerso e concentrato in universo di pazzia violenta e terrore incontrollabile: gli stati d’animo per i quali King è diventato famoso in tutto il mondo.
Intendete bene: ho apprezzato molto come è stato scritto il romanzo, ma non mi è piaciuto del tutto. E ora vi spiego il perché.
In primo luogo fa stare in ansia per tutta la lettura, temendo il momento in cui il marito violento troverà la moglie, e a me lo stare in ansia dà non poco fastidio. Evito accuratamente l’horror e anche i thriller più ansiolitici non è che li gradisca molto.
La seconda ragione è che per la risoluzione del romanzo King fa ricorso a una dimensione irreale: da circa metà libro in poi la narrazione entra in una dimensione parallela, onirico/magica, che abbandona la realtà per tuffarsi di testa nella mitologia greca con tutto ciò che le è connesso. Quadri che per qualche inesplicabile motivo permettono l’accesso al proprio interno, templi, incontri misteriosi, giardini del bene e del male, dei, minotauri ed Erinni. Avrei preferito una risoluzione basata sul reale.
Come ho detto la prosa è impeccabile, con una terminologia ricercatissima ma semplice e che tutti possono comprendere, e una sintassi perfetta con la costruzione delle frasi elaborata ma ineccepibile. Metafore e similitudini sono azzeccatissime e anche le numerose allegorie che costellano il magico mondo parallelo sono ben studiate. Ma la prosa di King è anche infinitamente logorroica, con la descrizione incredibilmente prolissa di ogni singolo particolare, sia nelle prospezioni psicologiche che nelle scene di azione. Mi rendo conto come tutto questo approfondimento sia stato intenzionale e necessario per raggiungere gli scopi dell’autore, ma francamente mi è sembrato un po’ eccessivo. Come il film La sottile linea rossa: vuoi arrivare al termine per vedere come va a finire e quello non finisce mai, e in questo caso cominci a suggerire a te stesso di saltare qualche pagina per sbrigartela prima ma hai paura di perderti qualche passaggio sostanziale. Sono convinto che con un centinaio di pagine in meno il romanzo non avrebbe perso nulla.
Ma questa è solo un’opinione personale. Indubbiamente con questo stile King ti fa immedesimare pienamente nei protagonisti e molti lettori si saranno sentiti angosciati quando l’assassino psicopatico sarà riuscito a raggiungere la moglie innocente. E magari saranno anche rimasti soddisfatti della Nemesi venuta da un’altra dimensione che, benché la cosa sia spiegata perfettamente dall’autore, è l’aspetto che mi è piaciuto di meno.
Sarebbe perlomeno augurabile che il bene cominci a vincere su questa terra.
Che frase retorica e stucchevole che mi è uscita!
Il Lettore 

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