Dopo essermi sorbito Carrisi (mai più!) ho sentito
l’impellente bisogno di assaporare un autore che sapesse scrivere.
Confidiamo nel conosciuto, ho pensato, andiamo a colpo sicuro. Non mi andava di
sciropparmi un’altra delusione.
Era anche parecchio tempo che
avevo voglia di risalire alle origini
della saga dell’ispettore Thomas Lynley,
per cui ho colto l’occasione al volo e mi sono fiondato su questo primo romanzo pubblicato da Elizabeth George che tanto bene mi
stava aspettando sepolto in qualche memoria elettronica.
E
liberaci dal padre
inaugura la storia del poliziotto aristocratico e non a caso ha avuto un
immediato successo sia di pubblico che di critica. Era il 1988, e da allora la
George ha proseguito questa saga per altri diciotto romanzi.
In questa prima vicenda
vengono delineate le figure dei protagonisti seriali: Sir Thomas Lynley, ottavo conte di Asherton, bello, intelligente,
ricco, colto, educato finemente, nonché sciupafemmine (sia pure pazzamente
innamorato della moglie del suo migliore amico) e dotato di una profonda
sensibilità umana, e Barbara Havers,
un sergente di Scotland Yard invisa
ai superiori, acuta ma brutta, tozza, inelegante, impulsiva, incazzereccia e
dalla triste storia familiare.
La Havers disprezza Lynley
reputandolo null’altro che un dandy
fricchettone, ma insieme risolveranno il caso di un contadino trovato
addirittura decapitato a colpi di
ascia insieme al suo cane, e del cui omicidio la figlia stessa si autoaccusa.
Ma c’è qualcosa sotto.
I due protagonisti vengono
ben tratteggiati insieme ai
personaggi di contorno, ed è soddisfacente per il lettore il percepire come
l’atteggiamento della Havers nei confronti del superiore si modificherà nel
corso del romanzo fino a trasformarsi in ammirazione (e anche un pizzico di
innamoramento) per il suo comportamento.
Avendo già letto anche gli
ultimi della saga posso affermare che lo stile
della George è rimasto lo stesso fin da questo esordio: pacato e molto
particolareggiato, teso a sottolineare bene anche tutte le sfaccettature psicologiche oltre a una maniacale
contestualizzazione di quelle che riescono bene solo a una donna. A un uomo non
importerebbe affatto di descrivere tutto l’arredamento di una stanza fin nelle
minime peculiarità: essenze lignee e stile dei mobili, tappeti, cuscini,
centrini, ceramiche e perfino soprammobili, ma la George lo fa, e pure senza
annoiarti.
La vicenda resta nel perfettamente plausibile, senza le esagerazioni
care oggigiorno a molti pseudoscrittori, e non manca di quel coinvolgimento
emotivo che soprattutto nel finale accelera il ritmo e ti trasporta nelle
nefandezze umane più nascoste e inconfessabili. Ma sempre restando sulla terra.
Pacato con pathos, tanto per fare un
riallacciamento musicale.
E il fatto di conoscere già gli
ultimi episodi della saga ha contribuito a farmelo apprezzare ancora di più,
non togliendo nulla a quelle che nel corso dei romanzi che sarebbero
venuti avrebbero potuto essere delle
sorprese.
Lynley: più lo conosci lo ami.
Il Lettore
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