mercoledì 22 febbraio 2017

E liberaci dal padre

Dopo essermi sorbito Carrisi (mai più!) ho sentito l’impellente bisogno di assaporare un autore che sapesse scrivere. Confidiamo nel conosciuto, ho pensato, andiamo a colpo sicuro. Non mi andava di sciropparmi un’altra delusione.
Era anche parecchio tempo che avevo voglia di risalire alle origini della saga dell’ispettore Thomas Lynley, per cui ho colto l’occasione al volo e mi sono fiondato su questo primo romanzo pubblicato da Elizabeth George che tanto bene mi stava aspettando sepolto in qualche memoria elettronica.




E liberaci dal padre inaugura la storia del poliziotto aristocratico e non a caso ha avuto un immediato successo sia di pubblico che di critica. Era il 1988, e da allora la George ha proseguito questa saga per altri diciotto romanzi.
In questa prima vicenda vengono delineate le figure dei protagonisti seriali: Sir Thomas Lynley, ottavo conte di Asherton, bello, intelligente, ricco, colto, educato finemente, nonché sciupafemmine (sia pure pazzamente innamorato della moglie del suo migliore amico) e dotato di una profonda sensibilità umana, e Barbara Havers, un sergente di Scotland Yard invisa ai superiori, acuta ma brutta, tozza, inelegante, impulsiva, incazzereccia e dalla triste storia familiare.
La Havers disprezza Lynley reputandolo null’altro che un dandy fricchettone, ma insieme risolveranno il caso di un contadino trovato addirittura decapitato a colpi di ascia insieme al suo cane, e del cui omicidio la figlia stessa si autoaccusa. Ma c’è qualcosa sotto.
I due protagonisti vengono ben tratteggiati insieme ai personaggi di contorno, ed è soddisfacente per il lettore il percepire come l’atteggiamento della Havers nei confronti del superiore si modificherà nel corso del romanzo fino a trasformarsi in ammirazione (e anche un pizzico di innamoramento) per il suo comportamento.
Avendo già letto anche gli ultimi della saga posso affermare che lo stile della George è rimasto lo stesso fin da questo esordio: pacato e molto particolareggiato, teso a sottolineare bene anche tutte le sfaccettature psicologiche oltre a una maniacale contestualizzazione di quelle che riescono bene solo a una donna. A un uomo non importerebbe affatto di descrivere tutto l’arredamento di una stanza fin nelle minime peculiarità: essenze lignee e stile dei mobili, tappeti, cuscini, centrini, ceramiche e perfino soprammobili, ma la George lo fa, e pure senza annoiarti.
La vicenda resta nel perfettamente plausibile, senza le esagerazioni care oggigiorno a molti pseudoscrittori, e non manca di quel coinvolgimento emotivo che soprattutto nel finale accelera il ritmo e ti trasporta nelle nefandezze umane più nascoste e inconfessabili. Ma sempre restando sulla terra. Pacato con pathos, tanto per fare un riallacciamento musicale.
E il fatto di conoscere già gli ultimi episodi della saga ha contribuito a farmelo apprezzare ancora di più, non togliendo nulla a quelle che nel corso dei romanzi che sarebbero venuti  avrebbero potuto essere delle sorprese.
Lynley: più lo conosci lo ami.
Il Lettore 

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