lunedì 4 luglio 2016

Vittime

Vittime è il mio thriller più terrificante” si parla addosso lo stesso Jonathan Kellerman in copertina. Ma dove? Maddeché? Tutt’al più potranno rimanerne “terrificati” coloro che non hanno mai letto un thriller in vita loro e vivono la loro vita tra coniglietti batuffolosi e pettirossi cinguettanti. E qualche giornalistucolo rincara la dose pubblicitaria sul retro di copertina paragonando l’autore a Thomas Harris o Jeffrey Deaver. Ma quando mai! A parte che per quanto mi riguarda paragonare qualcuno a Deaver non significa certo fargli un complimento, opinione personale, ma perlomeno Harris ha scritto un libro che ha costituito un punto fermo nella storia dei thriller.
Questo al massimo potrebbe essere utile come ferma porta.




Il grande Alfred Hitchcock riusciva a terrorizzarti solo con lo stridere di una porta che si apriva; Ridley Scott ha fatto intravedere il suo terrificante alieno per la prima volta solo in poche fugaci apparizioni; perfino Koji Suzuki è riuscito a fare andare nel panico il lettore al solo squillare del telefono.
Quando l’autore non va a scuola dai maestri. Della serie: mettiamoci qualche sbudellamento per fare più colpo. Con la “agghiacciante” serie di omicidi di questo romanzo, omicidi in cui le vittime vengono uccise e poi aperte fino a tirarne fuori tutti gli intestini per poi formarci una ghirlanda intorno alla testa del malcapitato, Jonathan Kellerman raggiunge il solo scopo che alla quarta volta che succede ne hai piene le balle e cominci a sperare che l’assassino si decida a prendere di mira gli investigatori così almeno la facciamo finita una volta per tutte.
In questo romanzo Kellerman ricopia la stessa struttura e lo stesso stile che aveva utilizzato in L’inganno: gli stessi investigatori Milo Sturgis e Alex Delaware vanno alla ricerca di questo buontempone che riduce le vittime nel modo che ho detto, solo che contrariamente al libro precedente, in questo caso è Sturgis che non fa una benemerita minchia, mentre l’apporto di Delaware consiste in una serie infinita di masturbazioni mentali che miracolo!, alla fine si rivelano tutte esatte. Ma guarda un po’. Come azzeccare tutti i numeri al superenalotto.
Un esempio terra terra: un testimone dice che l’assassino veste un cappotto. Sarà freddo, penserete. Ma siamo a Los Angeles, dove non fa mai freddo. Che cosa vi viene in mente allora? Vorrà nascondere un qualche attrezzo, vorrà mimetizzare la propria silhouette, avrà bisogno di tasche capienti, ci avrà cucito dentro un giubbotto antiproiettile, di ragioni per portare un cappotto dove fa caldo ce ne sono una miriade. No, dopo infinite masturbazioni (mentali) Delaware decide che l’unico motivo per portare un cappotto deve essere che l’assassino sente patologicamente freddo per un disturbo alla tiroide (!), e indirizza le indagini in quella direzione. Ma su che film? Ora io non sono un laureato in medicina, ed è possibile che per un medico questa sia l’unica ragione possibile per portare un cappotto quando fa caldo, ma lasciatemene dubitare un pochino.
Inoltre, a parte queste (numerose) perle di assenza di plausibilità, se nell’altro romanzo l’imperniare tutte le indagini su continui dialoghi con un’infinità di persone era riuscito all’autore piuttosto bene, il replicare la tecnica trasforma questo caso in una noia infinita, e quando arrivi alla risoluzione ne sei veramente contento non tanto perché scoprono il serial killer, quanto perché proprio non ne puoi più.
Per non parlare dei parecchi refusi che ho incontrato nel testo ad indicare una cura editoriale pari a zero e qualche passaggio “strano” che ti importuna ma non sai individuarne esattamente il perché, cosa che può dipendere da una momentanea pazzia dell’autore, da una  traduzione inesatta o vattelapesca.
Come quando Kellerman descrive una donna come “ossuta e rubiconda”. Ora, io ci ho provato parecchio a cercare di immaginarmi una donna allo stesso tempo ossuta e rubiconda, ma i miei sforzi non hanno raggiunto un risultato accettabile.
Va bene. Kellerman: parentesi chiusa, passiamo ad altro.
Il Lettore 

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