giovedì 28 luglio 2016

Una stanza tutta per sé

Da questo libro è stata tratta la famosissima frase di Virginia Woolf: “Una donna deve avere denaro, cibo adeguato e una stanza tutta per sé se vuole scrivere romanzi”, di cui ho parlato anche in quest’altra recensione.
Ora non me ne vorranno le femministe,  anzi, sicuramente me ne vorranno, ma non fatemelo pesare troppo, se mi sento di dire che in effetti quella frase è l’unica degna di essere ricordata di questo libro noiosissimo.




Una stanza tutta per sé è il compendio di due conferenze tenute da Virginia Woolf alla Arts Society di Newnham e alla ODTAA di Girton nell’ottobre del 1928. Mi àuguro per gli astanti dell’epoca che l’autrice sia stata un’oratrice superlativa, perché se ci si trovasse a giudicare il valore delle conferenze da questo resoconto, probabilmente coloro che vi hanno assistito saranno ancora lì ad aspettare di essere risvegliati.
La Woolf era stata chiamata a parlare di Le donne e il romanzo, e dopo aver dapprima ammesso candidamente di non sapere proprio cosa dire, come una macchina che si scioglie dopo il rodaggio comincia a parlare della donna nel romanzo e delle donne autrici di romanzi, per poi allargarsi a tratteggiare il ruolo della donna nella storia e nella società dell’epoca.
Sentir parlare di scritti che non hai letto di autori antichi che non conosci, come Milton ― del quale ho letto solo il Paradiso Perduto e neanche per intero, Thackeray o Pope, di certo non risveglia l’attenzione, e il saggio si trasforma ben presto in un pallosissimo susseguirsi di pagine fitte senza neanche un “a capo” a spezzarne la monotonia.
La situazione migliora (leggermente) quando la Woolf comincia a parlare della donna e del suo ruolo nella società. Si sente che l’argomento le sta molto più a cuore e i toni si fanno più accesi, e da convinta femminista bisessuale si lancia in una filippica contro quella che è sempre stata la discriminazione della donna in una società patriarcale nella quale si è sempre cercato di relegare la figura femminile a una condizione inferiore. Per non parlare del soffocarne qualsiasi aspetto di creatività: “Perché non ci vuole un grande acume psicologico per essere sicuri che una ragazza di grande talento, che avesse cercato di usarlo per far poesia, sarebbe stata così ostacolata e impedita dagli altri, così torturata e dilaniata dai propri istinti contraddittori, da finire sicuramente per perdere la salute e la ragione”.
L’indipendenza ― e da qui il succo della sua frase ― è necessaria per sviluppare la creatività in qualsiasi ambito, e dal momento che la donna nei secoli è sempre stata tutto meno che indipendente, da ciò non poteva derivare altro che una quasi completa assenza di artisti di sesso femminile.
Dal punto di vista concettuale mi trovo a concordare pienamente con lei e ad esecrare, da maschio, una società maschilista che insieme a duemila anni di chiesa cattolica hanno fatto di tutto per schiacciare la figura femminile. Probabilmente, se la storia fosse andata un po’ diversamente, se avesse prevalso una società matriarcale e non ci si fosse affidati a rigide religioni monoteiste nell’aleatoria speranza di andare a finire meglio una volta dipartiti da questa terra, le cose sarebbero state sensibilmente migliori. Sempre tenendo conto che l’uomo bestia è e bestia rimane.
Questo compendio si può quindi considerare un classico del pensiero femminista, esternato in modo onesto da una donna che si trovava nell’invidiabile condizione ― indipendenza economica e marito innamorato e liberale ― di potersi comportare come desiderava, e come tale va apprezzato. Sicuramente nei quasi novant’anni da che sono state tenute quelle conferenze la condizione della donna è migliorata, e di questo la Woolf ne sarebbe stata soddisfatta, anche se la strada da fare è ancora lunga.
Sono d’accordo quindi con ciò che ha detto, ma lasciatemelo dire, il come resta sempre pallosissimo.
Il Lettore 

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