martedì 14 giugno 2016

L’altro capo del filo

Della serie “una botta al cerchio e una alla botte”, dopo averne parlato male con Donne, a distanza di pochi giorni raddoppio la recensione di Andrea Camilleri con questo L’altro capo del filo, stavolta parlandone tutto sommato bene. Eccheccavolo. Mica posso sempre sparare a zero…
La fascetta che avvolge la copertina informa il lettore che questo è il centesimo libro di Camilleri. Cento libri pubblicati è un traguardo veramente importante, anche se non tutti sono stati meritevoli, ma non dovrebbe spingere a comprarlo a scatola chiusa come invece gli editori sperano che succeda. Io l’ho acquistato solo quando ho letto nella bandella di copertina che il protagonista è Salvo Montalbano: se il commissario non ci fosse stato lo avrei lasciato sullo scaffale della libreria. Ma poi lo avrebbe preso il mio editor.



E nonostante la presenza di un personaggio che mi è simpatico il romanzo ha cominciato immediatamente a farmi girare non poco i cabasisi perché mi è sembrato che Camilleri abbia voluto cavalcare l’onda della retorica più smaccata, mettendo in campo fin da subito la tragedia delle migrazioni e dei continui sbarchi di profughi sulle coste siciliane, parlandone a fondo, facendo interagire i personaggi con i migranti e con il mondo dell’Islam in generale, con toni platealmente buonisti e comprensivi facendo leva sui drammi personali e sulla pietà umana.
Calcando un po’ troppo la mano, secondo me. Il mio innato cinismo ne è rimasto tanticchia infastidito.
Ma sicuramente molte anime più sensibili di me rimarranno colpite dai brani di Camilleri e perfino sconvolte, perché la cosa che devo ammettere è che nonostante la retorica l’ha fatto con uno stile perfetto e con la bravura che gli ha permesso di raccontare una vicenda non consentendo mai alla tensione narrativa di calare. Considerate che ho comprato il libro, dopo una cena parecchio pesante sono andato a letto alle dieci, ho cominciato a leggere e ho smesso solo dopo mezzanotte e mezza e più di duecento pagine. Sì, lo so, una velocità di lettura sotto la mia solita media, dovuta al siciliano strettissimo nel quale il libro è scritto, che se anche lo leggo bene mi rallenta un pochino. Quello che volevo dire è che un romanzo meno interessante lo avrei lasciato molto prima abbandonandomi a Morfeo.
Solo dopo parecchie pagine e aver sviscerato la faccenda migrazioni, inizia la vicenda gialla vera e propria con annessa ammazzatina, che poi prosegue per conto proprio fino a giungere alla risoluzione dovuta ovviamente alla perspicacia del commissario.
In tutta sincerità di buchi nella struttura del romanzo ne ho trovati diversi, a partire da personaggi, umani e animali, di punto in bianco abbandonati a loro stessi mentre in una economia del romanzo ben fatta la loro presenza avrebbe dovuto continuare fino alla fine; il ricorso a tecniche di indagine non propriamente ortodosse; la rivelazione stessa dell’assassino, alla quale non posso nemmeno accennare per non rovinarvi il gusto della scoperta (ma che non lascia del tutto soddisfatti: vedi il punto 10 delle “Venti regole  per scrivere romanzi polizieschi” del giallista S.S. Van Dyne, regola in questo caso completamente infranta ― se ancora non sapete chi è l’assassino aspettate ad andare a guardare di cosa si tratta…); e altre cosettine qua e là che ad uno che ci fa caso come me fanno diminuire il valore della valutazione, non ultimo l’annientamento forzato del grande amore che stava sbocciando tra Catarella e Rinaldo.
Ma d’altra parte il romanzo si legge benissimo e con curiosità fino in fondo, vi si ritrovano tutti i personaggi seriali con la loro solita e confortante caratterizzazione che ha contribuito a farli amare dal lettore (e anche Livia sembra essere meno rompiballe del solito), vi si ritrovano l’amore per il cibo, le sciarratine con Pasquano eccetera, e se devo essere sincero, nonostante gli aspetti negativi di cui ho trattato, devo ammettere che nel complesso  l’ho trovato più soddisfacente degli altri ultimi episodi con protagonista Montalbano.
Camilleri aggiunge in postfazione che il romanzo non è tutta farina del proprio sacco, perché la sua assistente Valentina Alferj è intervenuta nella stesura sia in fase creativa che pratica in seguito alla sopraggiunta cecità dello scrittore siciliano. Me ne dispiace, ovviamente non per la presenza di lei quanto per la grave malattia di lui, ma sono convinto che questo non gli impedirà del tutto di continuare a scrivere seppur aiutato da altri.
Il Lettore 

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