mercoledì 18 maggio 2016

Canale Mussolini – Parte Seconda

Per restare in tema di pipponi, dopo la Allende eccone un altro interminabile e noiosissimo che purtroppo avrà ingannato ben bene tutti quelli, compreso il sottoscritto, ai quali l’originario Canale Mussolini era piaciuto molto.
Se il Canale primigenio di Antonio Pennacchi l’avevo divorato in brevissimo tempo (era il 2011, se non erro), intrigato dalle vicissitudini della famiglia Peruzzi e dagli sconvolgimenti topografic-agricol-sociali indotti nell’Agro Pontino nel corso degli anni ’30 del secolo passato, questo seguito non sono riuscito neanche a finire di leggerlo, tanto risulta lontano dal romanzo di cui costituisce la prosecuzione.
Distante anni luce, una delusione tremenda.




Se nel Canale Mussolini originario le vicende dell’Agro Pontino in epoca fascista facevano da sfondo al filone principale costituito dalle avventure dell’esule famiglia Peruzzi, e ciò completava in modo soddisfacente l’interesse suscitato nel lettore per lo scoprire l’evoluzione di quelle vicende, in questo Parte Seconda succede il contrario: l’autore racconta uno sfacelo di fatti, aneddoti, storielle, particolari relativi alla trasformazione dell’area nel corso e dopo la guerra mischiate ai quali, in secondo piano, ci sono alcuni fatti della famiglia Peruzzi. Come a dire che stavolta Pennacchi ha sbagliato bersaglio. Il rovesciamento delle priorità fa sì che venga a mancare la tensione narrativa e trasforma la narrazione in un’arida enumerazione di fatti ed episodi che ben presto stufa e alla fine lascia il tempo che trova.
Tanto per fare un esempio, la trattazione dell’evoluzione nel tempo della topografia urbana di Littoria (Latina: qui i fascisti hanno fatto erigere questo, qui gli americani hanno distrutto quest’altro, qui poi hanno ricostruito quest’altro ancora…) potrebbe interessare giusto quelli che ci abitano o i geometri del Comune, ma quanto a sprone per continuare la lettura ne possiede quanto le vicende delle rane che abitano i pochi stagni rimasti intorno alla città.
I particolari che Pennacchi racconta saranno anche curiosi e moderatamente interessanti, presi singolarmente, ma costituiscono una miriade di fatti, personaggi e singole storielle che ti portano ben presto alla confusione più totale nella quale, ammesso che ci fosse, ben presto ne perdi il filo logico conduttore.
In molti hanno anche criticato l’uso consistente del dialetto veneto nei dialoghi, ma quello a me non ha dato fastidio: basta entrarci dentro e dopo le prime frasi che possono lasciare un po’ sbalestrati ci si abitua e si legge bene anche se siamo più abituati al siciliano o al pisano.
Nel primo Canale Mussolini l’autore aveva saputo infondere della magia, del fascino nel ripercorrere la tragedia delle povere famiglie contadine traferite dal Veneto al Lazio, ma la cosa non gli è minimamente riuscito di ripeterla in questo prosieguo. Viene da pensare, malignamente, che dal momento che Antonio Pennacchi aveva raccolto una marea di materiale per scrivere il primo libro, l’editore non abbia voluto mandarlo sprecato e abbia avuto la bella pensata di tirare su un po’ di quattrini anche con quello. Che cattivo che sono.
Fatto sta che ne ho protratto la lettura per diverse sere avanzando di non più di una pagina ogni volta prima di caderci addormentato sopra, fino a che ho deciso che non ne valeva proprio la pena di continuare.
Ciao ciao Pennacchi, passiamo a un Premio Pulitzer che è meglio.
Il Lettore profondamente deluso

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