Penso che ne esistano
pochi, di maschietti della mia età e anche più giovani, che non abbiano provato
un senso di profonda inutilità per
l’anno che abbiamo trascorso sotto le
armi. Per tutti quelli che ci sono passati sarebbe stato meglio aver fatto qualcos’altro,
qualsiasi altra cosa sarebbe stata più costruttiva. In realtà, anche quell’anno
infruttuoso passato al servizio dello stato ci ha fornito delle esperienze che
inconsciamente ci sono servite nella costruzione della nostra vita successiva.
Anche quanto appena detto
potrebbe essere uno spicchio della morale che intende comunicarci Sualzo con la sua graphic novel. Anche se il suo protagonista sceglie di rifiutare la
naia e opta per il servizio civile, quell’anno di costrizione, all’inizio visto
come una inutile coercizione, viene utilizzato dal protagonista, più o meno
consciamente, per crescere e maturare mettendo in discussione molte delle
convinzioni che aveva prima di partire per Bibbiena.
Fermo non è un racconto d’azione, chi cerca
roboanti battaglie e coloratissime splash
pages qui non le troverà; direi più un romanzo di formazione: un ragazzo
che utilizza quell’anno che dapprima reputa perso per indagare dentro se stesso
e cercare delle risposte a delle domande che, chi più chi meno, tutti ci si
pone a quell’età. Ed ecco che attraverso esperienze per lui nuove la sua
coscienza si matura e riesce a risolvere, sia pure parzialmente, i dubbi che lo
angosciano.
Sualzo, al secolo Antonio Vincenti, è un illustratore e fumettista umbro che si è
fatto conoscere prima in Francia (dove la cultura del fumetto è di parecchi
gradini superiore alla nostra…) e quindi in casa. Sia questo Fermo, che il precedente L’improvvisatore, sono graphic novels che l’autore ha costruito
sulla base delle sue esperienze personali e in entrambe le quali si può
riconoscere un lungo lavoro di riflessione e preparazione.
Dal punto di vista grafico
il tratto del disegno è la cosiddetta linea chiara, in una rappresentazione
situata a metà tra l’iconico e il realistico, con colori pastello e tonalità
tenui. Si direbbe un disegno ingenuo, poco più che infantile, ma perfettamente
adatto alla resa dei sentimenti che Sualzo
intende trasmettere. Come sceneggiatore di se stesso ha anche saputo dosare i
diversi punti di ripresa delle inquadrature per costruire una gabbia variata,
cosa di per sé difficile quando l’autore intende spalmare i pensieri dei
protagonisti – racchiusi in dida il
cui colore stacca sempre dal fondo del riquadro in maniera netta – su parecchie
vignette.
In definitiva un vero e
proprio romanzo “fumettato”, in cui testi e disegni si integrano fornendo
ciascuno la propria dose di argomentazioni allo scopo di costruire un concetto
complessivo. Un bel racconto, che si legge con interesse e che porta a
riflettere.
Anche per noi che il
militare, purtroppo, ce lo siamo sciroppato.
Il Lettore
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