martedì 23 dicembre 2014

Candido, o l’ottimismo

Non starò qui a fare una recensione di questo Candido che è uno dei libri più famosi al mondo, sul quale sono stati scritti volumi di critica e che è stato preso come spunto da parecchi altri scrittori – tra i quali il nostro Leonardo Sciascia con il suo Candido, ovvero un sogno fatto in Sicilia –, né starò a spiegarvi chi sia stato il signor François-Marie Arouet, in arte Voltaire.
E allora di cosa stiamo parlando, sei scemo? Direte. E con una premessa così non avreste tutti i torti, in effetti.



Di cosa parliamo, allora? Il Candido lo conoscono tutti (mi auguro), tutti sanno chi sia stato Voltaire… potrei anche piantarla qui e darvi appuntamento a dopodomani. Va bene, l’ho letto, consiglio di farlo anche a voi, buona lettura, arrivederci.

Ma non mi pagano (Ha! Ha! Ha! Scusate…) per scrivere poche righe, e di conseguenza mi dilungherò con qualche altra facezia (a questo punto mi vengono in mente Alessandro Dumas e il suo Il conte di Montecristo, questo sì pagato a righe… e per questo prolisso, ridondante, logorroico, interminabile… e nonostante ciò uno dei massimi capolavori della letteratura mondiale).
Dirò solo che una delle ragioni per cui la lettura dei classici al giorno d’oggi non risulta così piacevole, almeno per me, è che oramai siamo abituati a ben altri ritmi e linguaggi di quelli dell’epoca in cui sono stati scritti quelli che vengono considerati i punti fermi della letteratura. Le situazioni e i concetti, gli stati d’animo e i sentimenti esposti da William Shakespeare sono incomparabili, ma personalmente ho sempre trovato noiosissima la sua lettura; ho riletto da poco Robinson Crusoe e anche questo l’ho trovato pericolosamente vicino agli effetti di un gas soporifero. Non escludendone la bellezza, comunque.
Il pregio del Candido di Voltaire, invece,  è quello di essere perfettamente leggibile ancora oggi (e devo elogiare anche la traduzione perfetta di Stella Gargantini), con uno stile dinamico saturo di quell’ironia che ha reso famoso l’illuminista francese.
Voltaire era veramente un grande: già all’epoca condannava la vivisezione e i vivisettori, e reputava che l’uomo non avesse affatto quella superiorità per diritto divino sugli animali e su tutta la natura come la Chiesa predicava. La sua visione distopica del mondo che lo circondava si rivela attraverso la polemica nei confronti delle ingiustizie e delle superstizioni, con il suo scetticismo e con le paradossali avventure del suo protagonista, la cui ingenuità nei confronti delle cose che lo circondano assume dei contorni che surreali è dire poco.
L’uso di sillogismi esasperati e in fondo illogici costituisce una bonaria presa in giro dell’allora  nascente studio scientifico della logica ("nasi servono ad appoggiarvi gli occhiali, ed infatti noi abbiamo degli occhiali"), e il fatto stesso che Candido segua molto volentieri le lezioni del suo mentore Pangloss per la sola ragione di poter continuare a saziarsi della bellezza di Cunegonda è solo uno dei simpatici non sense che non avrebbero sfigurato in qualche libro odierno.
Ecco il pregio più rilevante: se l’autore di Candido fosse stato per noi un perfetto sconosciuto, avremmo anche potuto dire che il libro avrebbe potuto essere stato scritto ieri.
Il Lettore 

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