Non starò qui a fare una
recensione di questo Candido che è
uno dei libri più famosi al mondo, sul quale sono stati scritti volumi di
critica e che è stato preso come spunto da parecchi altri scrittori – tra i
quali il nostro Leonardo Sciascia
con il suo Candido, ovvero un sogno
fatto in Sicilia –, né starò a spiegarvi chi sia stato il signor François-Marie
Arouet, in arte Voltaire.
E allora di cosa stiamo parlando, sei scemo? Direte. E con
una premessa così non avreste tutti i torti, in effetti.
Di cosa parliamo, allora?
Il Candido lo conoscono tutti (mi
auguro), tutti sanno chi sia stato Voltaire…
potrei anche piantarla qui e darvi appuntamento a dopodomani. Va bene, l’ho
letto, consiglio di farlo anche a voi, buona lettura, arrivederci.
Ma non mi pagano (Ha! Ha!
Ha! Scusate…) per scrivere poche righe, e di conseguenza mi dilungherò con
qualche altra facezia (a questo punto mi vengono in mente Alessandro Dumas e il suo Il
conte di Montecristo, questo sì pagato a righe… e per questo prolisso,
ridondante, logorroico, interminabile… e nonostante ciò uno dei massimi
capolavori della letteratura mondiale).
Dirò solo che una delle
ragioni per cui la lettura dei classici al giorno d’oggi non risulta così
piacevole, almeno per me, è che oramai siamo abituati a ben altri ritmi e
linguaggi di quelli dell’epoca in cui sono stati scritti quelli che vengono
considerati i punti fermi della letteratura. Le situazioni e i concetti, gli
stati d’animo e i sentimenti esposti da William
Shakespeare sono incomparabili, ma personalmente ho sempre trovato noiosissima
la sua lettura; ho riletto da poco Robinson
Crusoe e anche questo l’ho trovato pericolosamente vicino agli effetti di
un gas soporifero. Non escludendone la bellezza, comunque.
Il pregio del Candido di Voltaire, invece, è quello di essere perfettamente leggibile
ancora oggi (e devo elogiare anche la traduzione perfetta di Stella Gargantini), con uno stile
dinamico saturo di quell’ironia che ha reso famoso l’illuminista francese.
Voltaire era veramente un grande: già all’epoca
condannava la vivisezione e i vivisettori, e reputava che l’uomo non avesse affatto
quella superiorità per diritto divino sugli animali e su tutta la natura come
la Chiesa predicava. La sua visione distopica del mondo che lo circondava si
rivela attraverso la polemica nei confronti delle ingiustizie e delle
superstizioni, con il suo scetticismo e con le paradossali avventure del suo
protagonista, la cui ingenuità nei confronti delle cose che lo circondano
assume dei contorni che surreali è dire poco.
L’uso di sillogismi
esasperati e in fondo illogici costituisce una bonaria presa in giro
dell’allora nascente studio scientifico
della logica ("i nasi servono ad appoggiarvi gli occhiali, ed
infatti noi abbiamo degli occhiali"), e il fatto stesso che Candido segua molto volentieri le
lezioni del suo mentore Pangloss per
la sola ragione di poter continuare a saziarsi della bellezza di Cunegonda è solo uno dei simpatici non sense che non avrebbero sfigurato in
qualche libro odierno.
Ecco il pregio più
rilevante: se l’autore di Candido
fosse stato per noi un perfetto sconosciuto, avremmo anche potuto dire che il
libro avrebbe potuto essere stato scritto ieri.
Il Lettore
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