Torna la simpatia dei
vecchietti del Bar Lume nell’ultimo
romanzo di Marco Malvaldi, uscito in
libreria appena qualche giorno fa. Un romanzetto breve e piacevole anche se,
anche questo, non scevro da difetti.
Ho nominato la simpatia dei
vecchietti pestiferi del bar di Massimo: ecco, non è che in questo Il telefono senza fili ci sia molto di
più. La trama è esile, costruita, più che su un delitto, sulla “parvenza” di un
delitto, la cui risoluzione arriva non in seguito a indagini e ragionamenti
logici, ma direttamente per illuminazione
divina del proprietario del bar, che chiamarla intuito mi sembra di molto
riduttivo.
A parte questa mancanza
debolezza della trama, cosa del resto non aliena ad altri romanzi di Malvaldi,
il romanzo si regge appunto sulle battute ciniche e sull’acidità del gruppo di
ottuagenari che riescono spesso a strappare qualche sorrisetto, insieme alle
potenzialità offerte da questo nuovo personaggio della “commissaria” che lascia
presagire degli sviluppi in campo sentimentale nelle prossime avventure. Forse
per allungare una storia troppo corta l’autore toscano, che anche in questo
caso confessa il sostanziale apporto della moglie nella costruzione dell’inesistente
dell’intreccio, inserisce anche delle talpe,
termine caro a Vincenzo Cerami e con
il quale lo scrittore marchiava quei personaggi che con la narrazione non hanno
nulla a che vedere.
Ma Marco Malvaldi è al momento uno degli autori italiani che vendono
di più, e come si fa a non cavalcare l’onda portante pubblicando a raffica?
Certo, con un pochino più di costruzione (qualche trama solida non dispiacerebbe), un pochino più di serietà, un pochino
più di applicazione, un pochino più di editing (ho individuato almeno due
refusi), sono sicuro che riuscirebbe a rendere i suoi romanzi di molto
migliori. La verve c’è, la bravura
nello scrivere pure, la simpatia che non fa mai male anche, e non sono molti
gli autori che possono permettersi di rivolgersi direttamente al lettore senza
stuccare, come spesso fa lui: “Massimo
(…) rimase inchiodato per un attimo, con le mani sui braccioli e i tricipiti in
tensione, come Cleofa nella Cena in Emmaus del Caravaggio. Se non l’avete mai vista , mi dispiace per voi: forse
sarebbe il caso che cominciaste a farvi una cultura, invece di perdere il tempo
con i gialli (pag. 146).”
Ora, caro Marco, una così
violenta intromissione autoriale, senza parlare dell’invito oltremodo saccente,
ti si perdonano solo perché sei un toscanaccio simpatico, ma non dimenticare
che i “gialli” fanno anch’essi parte della cultura, e che ci sono molti, ma
molti lettori che la Cena in Emmaus
del Caravaggio la conoscono più che bene.
Il Lettore
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