lunedì 6 ottobre 2014

Il telefono senza fili

Torna la simpatia dei vecchietti del Bar Lume nell’ultimo romanzo di Marco Malvaldi, uscito in libreria appena qualche giorno fa. Un romanzetto breve e piacevole anche se, anche questo, non scevro da difetti.


Ho nominato la simpatia dei vecchietti pestiferi del bar di Massimo: ecco, non è che in questo Il telefono senza fili ci sia molto di più. La trama è esile, costruita, più che su un delitto, sulla “parvenza” di un delitto, la cui risoluzione arriva non in seguito a indagini e ragionamenti logici, ma direttamente per illuminazione divina del proprietario del bar, che chiamarla intuito mi sembra di molto riduttivo.
A parte questa mancanza debolezza della trama, cosa del resto non aliena ad altri romanzi di Malvaldi, il romanzo si regge appunto sulle battute ciniche e sull’acidità del gruppo di ottuagenari che riescono spesso a strappare qualche sorrisetto, insieme alle potenzialità offerte da questo nuovo personaggio della “commissaria” che lascia presagire degli sviluppi in campo sentimentale nelle prossime avventure. Forse per allungare una storia troppo corta l’autore toscano, che anche in questo caso confessa il sostanziale apporto della moglie nella costruzione dell’inesistente dell’intreccio, inserisce anche delle talpe, termine caro a Vincenzo Cerami e con il quale lo scrittore marchiava quei personaggi che con la narrazione non hanno nulla a che vedere.
Ma Marco Malvaldi è al momento uno degli autori italiani che vendono di più, e come si fa a non cavalcare l’onda portante pubblicando a raffica? Certo, con un pochino più di costruzione (qualche trama solida non dispiacerebbe), un pochino più di serietà, un pochino più di applicazione, un pochino più di editing (ho individuato almeno due refusi), sono sicuro che riuscirebbe a rendere i suoi romanzi di molto migliori. La verve c’è, la bravura nello scrivere pure, la simpatia che non fa mai male anche, e non sono molti gli autori che possono permettersi di rivolgersi direttamente al lettore senza stuccare, come spesso fa lui: “Massimo (…) rimase inchiodato per un attimo, con le mani sui braccioli e i tricipiti in tensione, come Cleofa nella Cena in Emmaus del Caravaggio. Se non l’avete mai vista , mi dispiace per voi: forse sarebbe il caso che cominciaste a farvi una cultura, invece di perdere il tempo con i gialli (pag. 146).”
Ora, caro Marco, una così violenta intromissione autoriale, senza parlare dell’invito oltremodo saccente, ti si perdonano solo perché sei un toscanaccio simpatico, ma non dimenticare che i “gialli” fanno anch’essi parte della cultura, e che ci sono molti, ma molti lettori che la Cena in Emmaus del Caravaggio la conoscono più che bene.
Il Lettore

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