mercoledì 10 settembre 2014

Quantum

Era diverso tempo che non leggevo un romanzo di quella fantascienza che ha avuto un ruolo importante negli anni della mia giovinezza, sarà perché il tempo dei razzetti è finito da un pezzo, perché molti degli avvenimenti preconizzati dai vari autori si sono avverati realmente e perché, anche in questo campo, di trovate realmente originali ce ne sono rimaste poche da inventare.


Anche in questo caso, infatti, il plot di base di Quantum, seppur interessante, non è affatto originale: nel Darfur viene rinvenuto un oggetto alieno incastonato in una roccia la cui genesi risale a 250 milioni di anni fa. Ben presto un gruppo di scienziati scopre che il manufatto potrebbe creare sconvolgimenti inimmaginabili nelle concezioni religiose di qualsiasi credente e di conseguenza nell’equilibrio politico delle maggiori religioni del pianeta, e sono proprio i rappresentanti di queste ultime che decidono di strappare l’oggetto dalle mani degli scienziati che andranno tacitati definitivamente. Alla faccia di qualsiasi Dio buono e pietoso.
In pratica, al di fuori dell’idea fantascientifica di partenza, il romanzo è più che altro un thriller imperniato sulla caccia che gli agenti segreti di CIA, Mossad, Vaticano e Islam (più qualche indipendente…) danno a questi poveri ricercatori interessati al manufatto solo per il suo valore scientifico.
I presupposti di partenza del romanzo sono buoni e affascinanti (a chi non piacerebbe incappare in un oggetto che provi l’esistenza di esseri extraterrestri?), ma l’aspetto fantascientifico mostra molti buchi poco plausibili (a partire dal fatto che l’oggetto, da appena ritrovato, si esprime in un inglese perfetto e conosce già tutta la terminologia scientifica corrente, per finire con l’assenza di qualsiasi spiegazione sui creatori dello stesso) e ben presto si tramuta in un semplice gioco di guardie e ladri, o di gatti e topi, o di leoni e gazzelle, o… ci siamo capiti, basta.
Ma non per questo dirò che il romanzo fa schifo, anzi. Io l’ho letto con piacere, perché Dean De Servienti è riuscito a costruire un romanzetto leggero ma piacevole, dal ritmo narrativo veloce e scorrevole dominato dalla curiosità di sapere se gli scienziati riusciranno a farla franca e con colpi di scena a volte un po’ scontati ma altre volte interessanti. E non mancano nemmeno le storie d’amore. Sì, va be’, alcune situazioni sono poco credibili e la traduzione non è che sia un gran ché, a partire da quell’usare spesso il verbo “panicàre”, per il provare paura, che non ho trovato in nessun dizionario, ma in definitiva il racconto è godibile.
Per far passare qualche ora di una notte insonne su un odioso traghetto nel bel mezzo dell’Adriatico ha svolto il suo sporco lavoro.
Il Lettore

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