lunedì 22 settembre 2014

Il tesoro greco

Una mia giovanissima amica, che ringrazio di cuore e alla quale avevano imposto di leggerlo come parte dei compiti di quarta ginnasio per le vacanze estive,  mi ha gentilmente prestato questo Il tesoro greco, di Irving Stone, dall’esplicativo sottotitolo: Il romanzo di Schliemann.

Essendo appena tornato dalla vacanza in Grecia, non ho potuto fare a meno di leggerlo immediatamente.


Irving Stone è diventato famoso come scrittore di biografie fin dalla sua prima opera: Brama di vivere, scritta a soli 31 anni e nella quale racconta la vita di Vincent Van Gogh; il suo capolavoro rimane comunque Il tormento e l’estasi, del 1961, imperniato su Michelangelo Buonarroti (e che da quanto ho sentito merita di essere letto…). Da entrambi i libri sono stati tratti dei film di successo interpretati rispettivamente da Kirk Douglas e Charlton Heston.
Il tesoro greco risale al 1976 e racconta, più che l’intera biografia di Heinrich Schliemann, il periodo nel quale l’imprenditore tedesco, archeologo per passione, si dedicò insieme alla moglie, la giovanissima Sophia Engastromenou, bella ma dal nome del tutto impronunciabile, agli scavi sulla collina di Hasserlik, in Anatolia, alla ricerca della leggendaria città di Troia in merito alla quale la maggior parte degli studiosi dell’epoca riteneva fosse solamente un invenzione della fantasia di Omero.
Lui no, per lui trovare Troia era una fissa vera e propria.
Gira che ti rigira quindi, tra mille difficoltà, nonostante lo scetticismo della scienza, i problemi pratici degli scavi e gli ostacoli politici e burocratici, lo Schliemann Troia l’ha trovata davvero insieme all’anch’esso leggendario tesoro di Priamo, come tutti noi abbiamo avuto modo di imparare a scuola (ora non ricordo se alle elementari, alle medie o al liceo).
(Avete notato nel periodo precedente la tripletta “all’anch’esso”? Mi pare di non averla mai vista scritta così prima d’ora, ma mi è sembrato tanto naturale scriverla che nonostante i dubbi sulla correttezza grammaticale ho deciso di lasciarla).
Basandosi unicamente sulle testimonianze raccolte nei testi omerici, non creduto e deriso da tutti, Schliemann ha scoperto otto città diverse disposte su nove strati una sopra l’altra, a partire dal 3000 a.C. al IV secolo d.C., delle quali la Troia omerica si suppone che corrisponda al VII strato, riconducibile al 1250-1200 a.C.
Irving Stone racconta che, dando sfogo a quella fissazione che lo affliggeva e nella quale possono ravvisarsi tutti i sintomi di una sindrome maniacale, Heinrich Schliemann ha commesso negli scavi un’infinità di errori, di quelli che hanno fatto inorridire gli archeologi veri, ma forse sono stati proprio questi errori che hanno permesso di raggiungere la Troia leggendaria: un archeologo vero, seguendo criteri scientifici, non avrebbe mai distrutto, come ha fatto il tedesco, i ritrovamenti risalenti alle epoche successive che ricoprivano i resti più antichi, e per questa ragione probabilmente non sarebbe mai arrivato alla Troia omerica. Criticabile ma affascinante. Così come resta un senso di rimpianto per il fatto che all’epoca non avessero ancora inventato le reflex, che avrebbero permesso di documentare passo dopo passo il ritrovamento dei resti di Agamennone a Micene, con la stupenda maschera funeraria indosso e l’ulteriore ragguardevole tesoro di cui la salma era adornata.
Ma veniamo al libro, che come dicevo non è una biografia vera e propria ma assomiglia più ad un romanzo, come del resto è anticipato dal sottotitolo. In effetti Irving Stone, non tralasciando qua e là nel libro le notizie sulla vita di Schliemann relative al suo passato, dall’adolescenza in povertà alle reiterate fortune accumulate negli anni e così via, ha voluto imperniare la vicenda sul periodo per il quale l’archeologo dilettante è diventato famoso, e ha arricchito la vicenda approfondendo con una miriade di particolari il rapporto del protagonista con la moglie Sophia, tanto da far capire al lettore come il vero tesoro greco da lui trovato, in realtà, sia stata la ragazza stessa che gli era a fianco e lo ha aiutato e sostenuto nelle sue ricerche.
In pratica il romanzo è basato sul rapporto tra lo studioso dilettante che ha finito per impostare il futuro dell’archeologia moderna e la ragazza di trent’anni più giovane che ha preso in moglie. Rapporto descritto in ogni minimo dettaglio, salvo quelli più intimi.
I particolari sono talmente tanti, dalle usanze greche ai cibi caratteristici, dal vestiario alla mobilia, dai rapporti affettuosi tra i coniugi ai loro litigi ai problemi politici tra stati, alla descrizione minuziosa di ogni singolo oggetto trovato negli scavi eccetera eccetera (ci mancava solo che avesse raccontato quante volte i protagonisti andavano al bagno ogni giorno, anche se i paragrafi sulla costruzione delle latrine improvvisate ci sono…), che se da un punto di vista culturale il venirne a conoscenza può rivelarsi interessante, da un altro punto di vista essi rendono la narrazione sovraccarica di orpelli che distraggono dalla linea principale e allungano terribilmente la lettura. Penso che il libro sarebbe stato ugualmente piacevole anche con un paio di centinaia di pagine in meno.
Ma si riesce ugualmente ad apprezzare il fascino della vicenda nonostante la prolissità, e si prova un senso di soddisfazione quando tutti gli infiniti sforzi dei coniugi vengono premiati.
Penso proprio che dovrò consigliarlo a mia moglie, che ha una vera passione per tutto ciò che è greco.
Il Lettore

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