Dal momento che da questo
resoconto ci hanno anche tirato fuori un film (Into the Wild – Nelle terre
selvagge, di Sean Penn), la
tragica vicenda di Chris “Alex”
McCandless è diventata di pubblico dominio in tutto il mondo dividendolo quasi
esattamente in due fazioni: “quelli che
ammiravano molto il ragazzo per il coraggio e i nobili ideali, e quelli che lo
definivano un idiota imprudente, un folle, un narcisista morto per arroganza e
stupidità…” come spiega lo stesso autore Jon Krakauer nell’introduzione al libro.
Io
non mi schiererò: sono
dell’idea che un uomo abbia tutto il diritto di scegliere di vivere e morire
come crede, e mi limiterò a parlare (male) del libro e non del defunto protagonista.
Non ho visto il film, ma ho
sentito dire che Sean Penn è
riuscito a costruire una pellicola piacevole ed emozionante e, dando per
scontato che ciò sia vero, allora si è meritato tutti i complimenti possibili
per essere riuscito a fondarla su questo Nelle
terre estreme la cui intenzione sarebbe stata quella di suscitare
sentimenti struggenti, ma che in definitiva riesce solo a farti sbadigliare
troppo spesso.
La vicenda di McCandless è
raccontata con una narrazione
dettagliata ma per nulla avvincente, cadendo spesso nel noioso soprattutto
quando l’autore ripercorre la biografia del ragazzo o quando narra le proprie imprese (oltretutto alquanto
deludenti), dando francamente il sospetto che abbia costruito tutto un libro su
McCandless solo per poterci mettere quella ventina di pagine di
autocelebrazione fallimentare. Lo stile è piatto, e l’oscillare tra passato
remoto e passato prossimo del protagonista, insieme all’andirivieni temporale e geografico tra diverse località
di Usa e Canada, rendono la cronistoria contorta e poco agevole da percorrere,
peggiorata dalla considerazione che molto spesso la costruzione dei periodi è
complicata da un uso delle subordinate caotico, e di questo, non avendo letto
l’originale inglese, non so se attribuire la colpa all’autore o alle traduttrici.
Probabilmente il successo
del libro è stato mitizzato a posteriori una volta uscito il film: nonostante
tutte le sue ricerche e l’impegno profuso, Krakauer non riesce a farti
appassionare alla vicenda umana del protagonista, non riesce ad emozionarti
come forse sarebbe stato nelle sue intenzioni né riesce a coinvolgerti, e rende
il tutto di un piattume fastidioso.
Per completezza però devo confessare
che il 90% delle recensioni di questo libro che per curiosità mi sono andato a
leggere in rete ne parlano tutte in maniera entusiasmante, lasciando ad una
minoranza i pareri meno che positivi. Ma la maggior parte di quelli che ne
parlano bene, secondo la mia modesta opinione, non intendono riferirsi tanto alla
biografia di Krakauer quanto alla fascinazione indotta dalle scelte,
criticabili o meno, del protagonista, confondendo il contenuto con il
contenente, il significato col significante. E le tragiche avventure del
protagonista e dei suoi epigoni, ricalcando spesso il fanatismo ecologico di un
Thoreau, si prestano molto bene ad essere osannate, quando non addirittura portate
ad esempio di modelli di vita, da persone facilmente suggestionabili e/o
sognatrici, gli stessi che in genere i piedi per terra ce li tengono poco.
Il Lettore
Il film è splendido e riesce proprio dove il libro ha fallito, far capire il senso di disagio che il protagonista viveva e quindi la sua scelta. Leggendo il libro ero tra quelle che pensava che il protagonista fosse un cretino. Il film mi ha fatto empatizzare con lui.
RispondiEliminaMi fa piacere di trovarti d'accordo. Io comunque non ho pensato che Chris fosse un cretino, anche se certamente Krakauer non lo dipinge come una persona raziocinante. Aveva le sue motivazioni e le sue spinte interiori. A me ha dato più l'impressione di un'abissale ingenuità e di uno stolido rifiuto a riconoscere la realtà.
Elimina