3 – I CONTENUTI
Ecco, paradossalmente questo è l’aspetto più importante dello scrivere ma
del quale c’è meno bisogno di parlare.
Domanda: quand’è che un presunto Valutatore
preposto a dare un giudizio sulla vostra opera comincerà a pensare seriamente
al contenuto della stessa? Risposta:
solo quando avrà terminato di leggerla. Solo allora ne valuterà l’omogeneità e
la coerenza, lo spessore del contenuto.
Il
problema non di poco
conto è riuscire a farcelo arrivare, alla fine.
Quando
valuto l’opera di un
esordiente, per me è la stessa cosa se questa tratta delle avventure di una
dama del Settecento o degli omicidi seriali di un killer psicopatico o di un
saggio sulle variazioni ritmiche della musica dodecafonica (la casa editrice
per cui leggo non ha mai pubblicato alcunché su quest’ultimo tema, nonostante
ciò continuano ad arrivare scritti su argomenti del genere…): cerco di
immergermi nella lettura e di lasciarmi trascinare dalle parole, cerco di farmi
ammaliare dall’autore, di calarmi nell’opera, di riuscire ad interessarmi a ciò
che leggo; sono aperto ad essere conquistato dalle successioni di frasi di
qualsiasi cosa esse trattino.
Il fatto che questo non
succeda quasi mai non è colpa mia. Giuro.
E in genere non succede per
la scarsa cura con cui gli autori
trattano i propri elaborati: la barbara impaginazione, la presenza di errori
ortografici, grammaticali, sintattici, semantici, di refusi e frasi senza
senso, di abbondanza di avverbi e/o aggettivi e/o eccessi di autoreferenzialità,
di continue divagazioni fuori tema, di cazz… ehm, di scempiaggini insulse, di
dialoghi improbabili non permettono il necessario calarsi all’interno della
vicenda e impediscono quella lettura fluida che invece lo avrebbe consentito.
Quando questi impedimenti sono presenti fin dalle prime pagine diventa
giocoforza interrompere la lettura e
catalogare l’elaborato tra le schifezze. Alla faccia dei contenuti (che magari
avrebbero potuto essere veramente profondi, ricchi di significato, socialmente
utili eccetera eccetera). Solo quando il Valutatore sarà riuscito ad arrivare
in fondo allora si domanderà cosa avesse voluto dire l’autore e se sia
veramente arrivato a conseguire il suo scopo.
Di conseguenza in queste
lezioni non si parlerà quasi mai di
contenuti, più che altro esse verteranno sul “come” elaborare qualsiasi
tema in modo da renderlo gradevole alla lettura per quanto serio o faceto possa
essere l’argomento. Vista da un’altra angolazione, anche se ne volessimo
parlare potremmo starci fino alla fine dei tempi e non risolveremmo nulla di
concreto: di temi e argomenti di cui raccontare ne esistono un numero infinito
e tutto si può rendere interessante, se se ne possiede la capacità, ma
qualsiasi buon contenuto può essere distrutto da una stesura raffazzonata.
L’importante è che,
all’atto del mettersi a scrivere, si abbia qualcosa
da dire. Qualsiasi cosa. Su qualsiasi argomento. Ma deve esserci a priori. Non ci si può mettere a scrivere senza avere
un “progetto”. Non ci si sveglia la mattina con l’idea balzana di scrivere un
libro e dopo aver fatto colazione tracchete! si è già di fronte al pc a
dattilografare “Capitolo primo…”
Non è così che funziona.
Quando ho iniziato a
scrivere il primo romanzo che mi è stato pubblicato avevo in mente un’idea ben precisa, il progetto di
un’opera con una sua funzione specifica. Che non era per nulla un romanzo. Ma
avevo ben chiaro lo spunto da cui partire e la meta da raggiungere, e il fatto
che l’obiettivo si sia poi modificato lungo il percorso non modifica il
concetto: un progetto c’era.
Scriveva Ernest Hemingway: “La gran cosa è resistere e
fare il nostro lavoro e vedere e udire e imparare e capire, e scrivere quando
si sa qualcosa; e non prima; e, porco cane, non troppo dopo”.
“Scrivere quando si sa qualcosa”.
Come primo punto quindi bisogna saperlo, quel “qualcosa”, e poi
sentire il bisogno di narrarlo, e poi saperlo fare bene. Quant’è lunga la
strada…
Lo Scrittore Insegnante
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