sabato 3 maggio 2014

Un buco nell’acqua

Ho ripreso in mano questo esilarante romanzo di qualche anno fa quando un amico mi ha chiesto di prestargli qualcosa da leggere, e già solo nel toccarlo mi veniva da ridere.


Donald Edwin Edmund Westlake è considerato uno dei grandi “giallisti” della letteratura statunitense, e ciò che lo ha caratterizzato maggiormente è stata l’introduzione nel genere giallo di una vena umoristica di quelle consistenti. Ha vinto un numero impressionante di premi ed è famoso anche sotto diversi altri pseudonimi, i più famosi dei quali sono Richard Stark e Tucker Coe, con i quali ha dato alle stampe trame poliziesche dal carattere più hard boiled e noir. Dai suoi circa 100 romanzi sono stati tratti almeno 15 film, i più noti dei quali sono Senza un attimo di tregua con Lee Marvin, Two much, sul set del quale si conobbero Melanie Griffith e Antonio Banderas, Paiback con Mel Gibson e perfino quell’italianissimo Come ti rapisco il pupo con Walter Chiari, Smaila e Boldi.
Westlake imparò a scrivere nel corso degli anni ’50 lavorando come lettore di manoscritti per un’agenzia letteraria (lo dicevo io che leggere porcate è il miglior modo per imparare a scrivere bene…), e quando arrivò a diventare famoso si dedicò al genere che più gli si confaceva come carattere: il giallo condito di humour. Westlake si accorse che descrivendo personaggi in pericolo, se le loro azioni avessero fatto ridere, la minaccia incombente sarebbe diventata più reale. Oltre a divertire il lettore.
Un buco nell’acqua fa parte della serie di romanzi che ha come protagonisti la banda degli Ineffabili Cinque: un gruppo di rapinatori situati a metà tra il professionista e lo scalcagnato, capitanati da quel John Archibald Dortmunder che costituisce l’archetipo del delinquente “onesto” e sostanzialmente sfortunato. Dortmunder è circondato da complici ognuno dei quali è esperto in una branca del crimine, e ognuno dei quali è contraddistinto da aspetti caratteriali che lo rendono unico e particolare, sui quali non di rado si fonda la comicità dell’autore. Nel romanzo Dortmunder e i suoi accoliti sono incaricati, o per meglio dire costretti, di cercare di recuperare una consistente somma di denaro finita non vi dico come nientedimeno che sul fondo di un lago artificiale, e le ipotesi e le teorie sul recupero di questa, nonché i numerosi tentativi compiuti per riportarla fuori, sono tra i brani più comici che io abbia mai letto.
Come questo: Stan è l’esperto pilota della banda, Doug una persona che gli sta antipatica e che parla troppo, e si stanno recando in auto da qualche parte. Tanto per cambiare Doug sta blaterando.
“«Hai mai visto un tre-sessanta?» lo interruppe Stan. Doug scrutò il profilo inespressivo di Stan.
«Un che?»
«Un tre-sessanta.»
«Non so che cos’è» ammise Doug, con uno sfarfallìo di panico che gli frullava di nuovo nello stomaco.
«No?» Stan annuì. «Te lo faccio vedere» esclamò, e all’improvviso piantò il piede sull’acceleratore, e il furgoncino sfrecciò oltre la Cadillac con il contrassegno dei medici, raggiunse un tratto di strada senza macchine, con traffico davanti e di dietro, ma non là, e poi Stan girò il volante a sinistra, lo strappò verso destra, simultaneamente fece qualcosa di veloce e di strano con il freno, la cloche e l’acceleratore, e il furgoncino girò su se stesso in mezzo alla strada – continuando a procedere a cento chilometri l’ora verso New York – rimise di nuovo il muso verso sud, tremò per un attimo e proseguì.
Doug non respirava. Aveva la bocca aperta, ma non respirava. Aveva visto un completo arco del mondo esterno sfrecciare davanti al parabrezza – l’erbosa striscia centrale, la strada dietro di loro con la Cadillac da una parte, la foresta accanto alla strada, e poi di nuovo la strada vera e propria –  tutto in meno di un secondo; troppo veloce per essere preso dal panico durante la manovra, e così Doug stava andando a pezzi dopo.
Stan, il guidatore, senza parlare rallentò il furgoncino per far passare la Cadillac. Andy, al volante dell’altra macchina, rise e agitò la mano verso Stan, che fece un dignitoso cenno con la testa. E Doug ancora non aveva respirato.
Finalmente lo fece, una lunga, roca immissione d’aria che provocò dolore giù fino in fondo. E Stan si decise a parlare: «Quello era un tre-sessanta» disse. «Rivolgimi ancora la parola, e ti faccio vedere qualche altra cosetta che so fare.»
Doug rimase muto per tutto il tragitto fino in città.”

Avete notato come Westlake rende le emozioni di Doug attraverso le azioni? Non ti dice che cosa Doug prova, ti fa vedere l’effetto di ciò che gli succede.
Se qualcuno cercasse una lettura leggera e piacevole, ma scritta davvero bene, provi a cercare qualcosa di Westlake.
Il Lettore 

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