giovedì 1 maggio 2014

Il sofà del produttore

Non vorrei rischiare di passare per il solito porco gretto e maschilista, così come non vorrei attirarmi addosso le ire di femministe inferocite, di conseguenza mi limiterò nei commenti sul contenuto morale di questo saggio. Anzi, vi dirò di più, leggendo questo libro mi è capitato molte volte di provare ribrezzo nei confronti degli appartenenti ad un certo universo maschile.


Lo stesso sottotitolo: Il rito del “pedaggio sessuale” nella storia di Hollywood lascia intendere, attraverso l’utilizzo della parola “pedaggio”, come le pratiche cui erano (e sono?) costrette le aspiranti attrici non fossero nella maggior parte dei casi una loro libera scelta ma assumessero piuttosto l’aspetto di una squallida imposizione ricattatoria, a volte tanto tragica da aver perfino fornito la spinta al suicidio. 
D’altra parte Selwyn Ford, che in realtà non esiste perché questo nome non è altro che lo pseudonimo dietro cui si celano Alan Selwyn e Derek Ford, produttori e sceneggiatori, ha scritto un’analisi impietosa di Hollywood dagli albori fino quasi ai giorni nostri, che si legge molto bene e soddisfa quel morboso lato gossippiano (perdonatemi l’orrido neologismo) nascosto in ciascuno di noi.
Soprattutto gli amanti del cinema proveranno, leggendo questo libro, la soddisfazione di scoprire un’infinità di risvolti nascosti nelle vite della miriade di personaggi che hanno costituito il gotha mondiale del cinema a partire dai primi anni del Novecento: da Theda Bara a Louise Brooks e via via ripercorrendo gli anni d’oro con Charlie Chaplin, Gary Cooper, Joan Crawford, Jean Harlow, Bette Davis, Vivien Leigh fino a Cecil B. De Mille, Greta Garbo, Howard Hughes, Jane Russell e tantissimi altri, fino a quella Marilyn Monroe che fornisce l’esempio tragico di una vita di donna calpestata fino a essere spezzata, e alla quale è riferito questo brano tratto dal libro:
“Ben Lyon, direttore del cast alla Twentieth Century-Fox, che aveva visto qualche sua fotografia, la invitò a un colloquio. Lei gli diede delle risposte cariche di doubles entendres, ansiosa di mostrargli che conosceva le regole del gioco. A Ben Lyon, cui si riconosceva il merito di aver scoperto Jean Harlow (già pagine indietro dipinta come un’esperta nell’uso della bocca, NdL), parve di ritrovare molti dei suoi pregi in Marilyn. La munì di lettera di presentazione e la mandò a fare un giro di visite ai funzionari della Twentieth Century-Fox. Marilyn, tutta emozionata, entrava sorridendo negli uffici di quei signori  e consegnava la lettera di presentazione, chiusa nella busta. Ma ogni volta si stupiva perché, dopo averla letta e averle rivolto qualche domanda superficiale, facessero tutti la stessa cosa: si alzavano e si giravano dall’altro lato della scrivania con i pantaloni sbottonati. Passarono settimane prima che si rendesse conto che la lettera diceva: «Questa ragazza sa far di tutto. È brava negli scritti, ma soprattutto nell’orale.»”
Ogni commento è superfluo.
Il Lettore 

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