martedì 11 febbraio 2014

Scilla

Tanto per chiarire la mia posizione vi dico subito che il libro di oggi mi è piaciuto e parecchio.

Faccio questo preambolo perché dopo ne esaminerò gli aspetti negativi e non vorrei che sorgessero spiacevoli fraintendimenti: mi è piaciuto, lo ripeto, l’ho divorato in due sere, ma leggendo questo romanzo ho trovato alcuni spunti da cui trarre insegnamento per evitare errori in cui i principianti dello scrivere è facile che incorrano, e dal momento che molti aspiranti scrittori seguono questo blog ho colto l’occasione per illustrare loro un paio di concetti.


Eppure Massimo Boyer non è un principiante dello scrivere: è un biologo marino, un esperto fotografo subacqueo e un divulgatore scientifico con centinaia di pubblicazioni all’attivo, e Scilla è il suo primo romanzo, una storia che intreccia la vita marcatamente autobiografica di uno studioso dei mari con quella di una femmina di squalo bianco che nel corso delle sue peregrinazioni viene a partorire nel Mediterraneo.
Come mia consuetudine, per non togliere il piacere della lettura, non vi dirò nulla della trama e tantomeno della conclusione della vicenda, fatto sta che Boyer è riuscito a costruire una storia dotata di una consistente dose di tensione narrativa con uno stile fluido e accattivante, aiutato in questo dalla narrazione in prima persona e dal ritmo colloquiale che incuriosisce il lettore e lo spinge di continuo ad andare avanti.
Ma l’autore fa di più: unisce alla storia romanzata un vero e proprio Manifesto dei diritti degli abitanti marini, in particolare degli squali, impiegando le sue conoscenze sulla biologia marina per sfatare i falsi miti dei quali il cinema sensazionalistico di pellicole come Lo squalo ci ha impregnato. Da questo libro emerge potente una figura dello squalo ridimensionata, ricondotta dagli aspetti mitizzati a quelli reali, reincorniciata nel suo aspetto più pratico di animale predatore necessario all’ecosistema marino e che invece al momento rischia l’estinzione per essere oggetto di una pesca indiscriminata che va solamente a favore del guadagno economico di società senza scrupoli.
Nei capitoli in cui Boyer si cala in mare raccontandoci della vita di Scilla si avverte tutto l’amore che l’autore prova per le creature sottomarine e l’ambiente subacqueo, e che riesce a trasmettere al lettore utilizzando quella tecnica molto particolare del narrare in seconda persona singolare: “Risali lentamente dall’oscuro abisso… l’acqua fredda si apre al tuo passaggio e ti scorre attorno…”, così poco usata ma che, qualora sia utilizzata bene come in questo caso, riesce a comunicare sensazioni fresche e immediate.
Tra gli episodi riguardanti il protagonista umano e le tappe del viaggio di Scilla tra Canale di Sicilia e Tirreno, la storia si dipana inframmezzata da una vera e propria opera di divulgazione scientifica da cui traspare, fatti alla mano, la condanna delle più o meno legali politiche di pesca portate avanti negli oceani di tutto il mondo.
Ma pur essendo un professionista della scrittura scientifico-divulgativa, purtroppo Boyer incappa in alcuni errori da “principiante entusiasta della propria opera”, che poco tolgono al piacere della lettura, intendiamoci, ma che può essere utile rimarcare ad uso e consumo degli aspiranti scrittori desiderosi di ricevere utili dritte.  Il fatto di essere caduto negli errori che dirò è in buona parte colpa anche della casa editrice: probabilmente il testo non è stato revisionato da un editor capace che si sarebbe accorto di alcune incongruenze e avrebbe saputo convincere l’autore a correggere il tiro e rendere il romanzo ancora più gradevole di come sia stato licenziato alle stampe.
In pratica, lasciando fare all’autore, gli si è permesso di cadere nel pleonasmo, nella ridondanza, nel dire “troppo” a scapito della capacità immaginativa del lettore.
Un buon editor, per esempio, avrebbe eliminato le note a fondo pagina, che in un romanzo stonano terribilmente e distraggono dalla storia. Marcare i riferimenti alle spiegazioni ci può stare, del resto qualcuno può anche sentire il bisogno che gli si spieghi cos’è un “palamito” o una “nursery area”, ma le note a pié di pagina possono essere giustificate solo nei romanzi didattici per le scuole medie e manco tanto. Meglio radunarle in appendice e che la pagina sia riempita solo dalla storia. Un romanzo deve essere un romanzo, non si può rischiare che il lato divulgativo prenda il sopravvento.
Alcuni dialoghi, soprattutto nei capitoli iniziali, sono un po’ “legnosi”, sanno di artificiale e manca loro quella naturalezza che li fa scorrere via come fossero reali (ma la situazione migliora con il procedere della storia); così come non si può mettere così, di punto in bianco, in maniera incongrua con il resto dal punto di vista del layout, un capitolo nel quale i dialoghi sono preceduti dall’iniziale del parlante, neanche fosse uno scritto per il teatro: la revisione del testo fatta da un professionista non l’avrebbe lasciato passare.
Ultima cosa: Vincenzo Cerami definisce “talpe” quei personaggi inutili che non si capisce a quale scopo siano stati inseriti e che non apportano alcunché di importante ai contenuti della narrazione. Un Boyer pieno di entusiasmo di queste talpe ne crea ben due, per inserire un tocco di thrilling in un capitolo quasi scritto apposta per loro: un buon editor gliele avrebbe uccise subito, non consentendo nemmeno una loro nascita sulla carta stampata.
Comunque poche cose, come dicevo, che poco tolgono ad un’opera interessante, che si legge bene e che consente di comprendere meglio un ecosistema dal quale ci separa soltanto un diverso modo di respirare.
Il Lettore

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