Quando leggi un libro
scritto da una persona che conosci, e quando questo è oltretutto interessante,
allora la cosa è ancora più piacevole.
Ho conosciuto Stefano Bollani qualche anno fa, quando
ancora non era così famoso come oggi, e nel corso di diverse chiacchierate nei
ristoranti e nel backstage dei teatri
di Orvieto mi ha dato modo di farmi l’opinione di una persona alla mano,
simpatica e socievole, oltre che di un pianista eccezionale.
Chissà se il successo lo
avrà cambiato, e quanto.
Mi piace ascoltare buona
musica, e mi piace anche leggere sulla
buona musica, prediligendo testi che illustrino l’approccio creativo ad essa,
sia dal punto di vista del compositore che da quello dell’esecutore. Libri come
Kind of Blue di Ashley Kahn, nel quale è esaminato nei dettagli il percorso
creativo e pratico che ha portato alla nascita del capolavoro di Miles Davis, o Come il Jazz può cambiarti la vita, nel quale un altro mostro sacro
come Wynton Marsalis riversa molte
sue considerazioni in ambito musicale, li ho divorati come fossero romanzi e mi
hanno dato lo stesso piacere.
Ora è il turno di Stefano Bollani, coadiuvato dal
giornalista e produttore Alberto Riva, di imprimere sulla carta ciò che pensa
della musica come autore ed esecutore tra i più bravi dell’odierno panorama
musicale italiano. E lo fa con un linguaggio semplice e schietto, in termini
chiari e molto spesso in modo divertente: “Mi
piace ascoltare, in ambito classico, le interpretazioni che non mi convincono.
Più genericamente, mi piace ascoltare la musica che non mi piace. Se la
conosci, la eviti.”
Un po’ come quando leggi le
prove di certi aspiranti scrittori…
Bollani scrive i suoi
pensieri riguardo la musica, in particolare il jazz, e l’improvvisazione, arricchendo la trattazione con numerosi
aneddoti su altri musicisti e ponendo l’accento sulla condanna al sistema
attualmente in vigore che relega l’insegnamento scolastico della musica agli
ultimi posti: “La musica dovrebbe far parte del
progresso cognitivo di ognuno di noi. Ti insegnano a disegnare e non a cantare,
ti insegnano a leggere e a capire le arti figurative ma non ad ascoltare la
musica, ti insegnano a godere del suono di una poesia e non del suono di un
clarinetto. Ti insegnano la storia della cultura del tuo e di altri paesi e non
ti parlano mai dell'apporto dei musicisti. Giuro che non capisco perché.”
Oppure:
“La storia della musica come la studiamo
noi (quando la studiamo, visto che nei nostri licei è la grande assente) è
quella della musica occidentale. Nessuno ci racconta di altri mondi, di altre
musiche (…). Questa visione della musica limita le nostre possibilità di
ascolto.”
Grandi e amare verità, in
un libro piacevole dalla lettura veloce e interessante.
Da persona che tutt’al più
riesce a strimpellare malamente una chitarra (ma che sa anche leggere uno
spartito e costruire gli accordi su un pianoforte), e che invidia non poco
quelli che si possono permettere di salire su un palco, ho provato ancora
invidia e ammirazione quando Bollani descrive quella soddisfazione intima che
pervade i musicisti dopo una session
riuscita, quando li vedi sorridersi tra loro sul palco e nessun altro ne
capisce il perché.
Il Lettore
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