giovedì 13 febbraio 2014

Parliamo di musica

Quando leggi un libro scritto da una persona che conosci, e quando questo è oltretutto interessante, allora la cosa è ancora più piacevole.
Ho conosciuto Stefano Bollani qualche anno fa, quando ancora non era così famoso come oggi, e nel corso di diverse chiacchierate nei ristoranti e nel backstage dei teatri di Orvieto mi ha dato modo di farmi l’opinione di una persona alla mano, simpatica e socievole, oltre che di un pianista eccezionale.

Chissà se il successo lo avrà cambiato, e quanto.


Mi piace ascoltare buona musica, e mi piace anche leggere sulla buona musica, prediligendo testi che illustrino l’approccio creativo ad essa, sia dal punto di vista del compositore che da quello dell’esecutore. Libri come Kind of Blue di Ashley Kahn, nel quale è esaminato nei dettagli il percorso creativo e pratico che ha portato alla nascita del capolavoro di Miles Davis, o Come il Jazz può cambiarti la vita, nel quale un altro mostro sacro come Wynton Marsalis riversa molte sue considerazioni in ambito musicale, li ho divorati come fossero romanzi e mi hanno dato lo stesso piacere.
Ora è il turno di Stefano Bollani, coadiuvato dal giornalista e produttore Alberto Riva, di imprimere sulla carta ciò che pensa della musica come autore ed esecutore tra i più bravi dell’odierno panorama musicale italiano. E lo fa con un linguaggio semplice e schietto, in termini chiari e molto spesso in modo divertente: “Mi piace ascoltare, in ambito classico, le interpretazioni che non mi convincono. Più genericamente, mi piace ascoltare la musica che non mi piace. Se la conosci, la eviti.”
Un po’ come quando leggi le prove di certi aspiranti scrittori…
Bollani scrive i suoi pensieri riguardo la musica, in particolare il jazz, e l’improvvisazione, arricchendo la trattazione con numerosi aneddoti su altri musicisti e ponendo l’accento sulla condanna al sistema attualmente in vigore che relega l’insegnamento scolastico della musica agli ultimi posti: La musica dovrebbe far parte del progresso cognitivo di ognuno di noi. Ti insegnano a disegnare e non a cantare, ti insegnano a leggere e a capire le arti figurative ma non ad ascoltare la musica, ti insegnano a godere del suono di una poesia e non del suono di un clarinetto. Ti insegnano la storia della cultura del tuo e di altri paesi e non ti parlano mai dell'apporto dei musicisti. Giuro che non capisco perché.
Oppure: “La storia della musica come la studiamo noi (quando la studiamo, visto che nei nostri licei è la grande assente) è quella della musica occidentale. Nessuno ci racconta di altri mondi, di altre musiche (…). Questa visione della musica limita le nostre possibilità di ascolto.
Grandi e amare verità, in un libro piacevole dalla lettura veloce e interessante.
Da persona che tutt’al più riesce a strimpellare malamente una chitarra (ma che sa anche leggere uno spartito e costruire gli accordi su un pianoforte), e che invidia non poco quelli che si possono permettere di salire su un palco, ho provato ancora invidia e ammirazione quando Bollani descrive quella soddisfazione intima che pervade i musicisti dopo una session riuscita, quando li vedi sorridersi tra loro sul palco e nessun altro ne capisce il perché.
Il Lettore

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