L’estate
del Commissario Ricciardi è
il sottotitolo di questo caldo, afoso, sudato, torrido romanzo di Maurizio De Giovanni. Lo so e chiedo
venia, avevo scritto che per un pezzetto non avrei più parlato dell’autore
napoletano, e infatti avevo parcheggiato questo libro sopra al mio comodino fin
da prima di novembre. Poi l’altra sera mi sono detto ma sì, và, perché no,
potrebbe essere ora. E in due serate l’ho finito, complici la vicenda e lo
stile narrativo che non permette un momento di tregua.
Tranquillizzatevi: non mi
dilungherò, perché di Ricciardi e del suo autore ho già parlato abbondantemente
(per avere un’idea basta che clicchiate sul suo nome nell’elenco delle
etichette qui a fianco), e non è il caso di stare a ripetere cose già dette.
Me ne manca ancora una da
leggere per completare l’en plein, ma
se dovessi fare una classifica delle avventure del Commissario Ricciardi
probabilmente piazzerei questo romanzo al primo posto. Leggendo si avverte
l’empatia con cui il giornalista sviluppa i suoi personaggi, cesellandone la
caratterizzazione un poco di più ad ogni puntata: in ogni nuova vicenda De
Giovanni aggiunge particolari alla vita privata dei protagonisti, in una serie
di storie parallele alla vicenda principale che permettono di entrare in sintonia con il variopinto mondo della Napoli degli
anni ’30. Amore, gelosia e le tragedie che ne derivano sono i concetti portanti
che questa volta fanno da sfondo all’indagine poliziesca, come sempre condita
dall’implicita condanna della situazione politica dell’epoca e dalla profonda
umanità sia degli interpreti principali che dei comprimari, che si muovono spinti
da sentimenti profondi e ben delineati.
Come sempre stile
impeccabile, tecnica sopraffina, curatela del libro ineccepibile, lettura coinvolgente.
Che si può chiedere di più?
Il Lettore
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