venerdì 24 gennaio 2014

Neanche gli Dei

Chissà per quale strano motivo mi è presa la voglia di rileggere, a distanza di quasi quarant’anni da quando me l’ero gustato la prima volta, questo capolavoro di Isaac Asimov. Forse perché sto passando un momento in cui sono particolarmente schifato della nostra attuale situazione politica, e mi sono tornati in mente i tre sintagmi successivi che fanno da cappello alle tre parti in cui il romanzo è diviso e che presi insieme costituiscono una profonda verità di Friedrich Schiller:

Contro la stupidità / neanche gli Dei / possono nulla.


Asimov ideò questo romanzo dopo quasi dieci anni che non scriveva di fantascienza, essendosi dedicato completamente alla divulgazione che trovava assai più remunerativa (e questo nonostante fosse già considerato il più grande scrittore di hard science fiction esistente: da considerare che è suo anche quello che è considerato il più bel racconto del genere mai scritto, Notturno, elaborato quando aveva 21 anni). Un decennio che evidentemente gli è servito, dal momento che l’autore stesso ha specificato che questo è il suo romanzo di fantascienza preferito e il libro stesso ha ottenuto i maggiori riconoscimenti della letteratura fantascientifica: il Premio Hugo e il Premio Nebula.
Oltretutto, Neanche gli Dei, oltre ad essere diventato un caposaldo della letteratura fantascientifica, potrebbe essere preso ad esempio per spiegare due concetti utili a tutti gli aspiranti scrittori: l’ipotesi da cui partire e l’ellissi letteraria.
Una delle tecniche che si utilizzano nei corsi di scrittura creativa  per stimolare le capacità creative degli allievi è quella di ipotizzare una determinata situazione e porsi la domanda: che cosa succederebbe se… ? Che cosa succederebbe se finalmente al governo salissero persone dotate di un briciolo di cervello? Che cosa sarebbe successo se Otello non avesse creduto alle false accuse di Iago? Eccetera.
Nel nostro caso la domanda che si pone Asimov è: “che cosa succederebbe se un ricercatore scoprisse l’esistenza sulla terra di una certa quantità di plutonio 186?” Dal punto di vista chimico l’esistenza dell’isotopo di plutonio 186 è del tutto impossibile: il plutonio ha peso atomico 244, e ciò significa che per essere stabile ha bisogno all’interno del suo nucleo di 94 protoni e circa 150 neutroni a bilanciarli. Un ipotetico atomo di plutonio 186 avrebbe una vita lunga nemmeno un trilionesimo di trilionesimo di secondo. Ma se per caso venisse trovato… Asimov parte da questo paradosso e costruisce un universo parallelo, un parauniverso nel quale le leggi della fisica sono diverse da come noi le conosciamo, finendo con il mettere in comunicazione i due universi attraverso un dramma nel quale sono in gioco le loro stesse esistenze.
Se nel romanzo può essere individuato un punto debole, questo consiste proprio nella consueta logorrèa dell’autore russo, che come sua abitudine si dilunga a volte eccessivamente (anche se questo modo di scrivere è considerato con simpatia dai suoi affezionati), ma in questo caso la prolissità è riscattata dal modo geniale in cui Asimov ha scritto la parte centrale del romanzo, quella ambientata nel parauniverso e nella quale mostra la vita degli antagonisti alieni.
Non a caso ho scritto mostra, in corsivo per catalizzare l’attenzione, perché Asimov non si mette a raccontare, ma con un mirabile ricorso all’ellisse fa letteralmente calare il lettore all’interno del mondo alieno senza spiegargli i perché e i percome delle sue affermazioni e delle scene che si trova ad affrontare. Asimov dà per scontato, non specifica chi sia un Morbido o per quale motivo un Sinistride brilli a volte in quel modo: il lettore lo capisce a poco a poco proseguendo nel romanzo, ma è proprio il mostrare senza superflue spiegazioni che innesca nel lettore la curiosità necessaria a proseguire. Nell’affrontare la seconda parte del libro ci si trova dapprima spaesati, ma l’interesse cresce andando avanti fino ad arrivare a comprendere la complessità di una società del tutto immaginaria senza che l’autore si sia messo a descriverla. Basta questo a classificare il romanzo come un capolavoro.
Lo stesso Asimov aveva già utilizzato questa tecnica sia nella trilogia del Ciclo della Fondazione che in Io, robot, sia nel racconto Sulle proprietà endocroniche della Tiotimolina risublimata, scritto da dottorando all’età di 28 anni e con il quale elabora un esperimento: far passare un racconto inventato per un vero articolo scientifico. O viceversa. La Tiotimolina di Asimov è un composto capace di sciogliersi in acqua prima che lo sperimentatore la immerga nel liquido, e questo grazie alla sua contemporanea esistenza sia nel presente che nel futuro (il bello è che se il ricercatore furbino fa soltanto finta di immergerlo, il composto non si scioglie…). La genialità di Asimov è consistita nello scrivere il racconto come se fosse il risultato di una vera ricerca scientifica, con tanto di grafici, tabelle e bibliografia. Il racconto/articolo fece scalpore, tanto che all’esame finale della tesi per il dottorato uno degli esaminatori gli chiese per scherzo di illustrargli le proprietà della Tiotimolina…
Il Lettore

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