lunedì 6 gennaio 2014

Infermo

Ok, ok, metto le mani avanti… anche i migliori possono prendere le cantonate… non infierite, che già ce l’ho abbastanza con me stesso per essermi lasciato fregare come un novellino. E poi di solito le parodie non le leggo, tant’è vero che non ho letto le Cinquanta sfumature di Gigio ma nemmeno, se è per questo, le Cinquanta sfumature di grigio del quale il primo dovrebbe essere la versione ironica. E non ne sento neanche il bisogno. Ma ogni tanto mi piace anche leggere qualcosa di leggero e divertente.

Purtroppo non è stato questo il caso.


Stavolta ho toppato alla grande e vi spiego anche il perché. Quando in libreria ho visto la copertina di cui sopra ho pensato ecco, l’ennesima parodia, quindi ho preso in mano il volumetto e sono andato in quarta di copertina dove spiccava una frase di Paolo Hendel: “È un libro bellissimo. Me l’hanno detto gli autori.” Geniale. Questo è bastato per spingermi a leggere le prime tre pagine, nelle quali ho trovato una scena ricalcata sull’apertura dell’Inferno di Dan Brown con il protagonista (Robert Condom, nelle vesti dell’eponimo Robert Langdon) colpito da amnesia in una stanza d’ospedale (dove scopre con stupore di non avere più il pisellino). Tre pagine scritte decentemente, con una certa dose di umorismo, e questo mi ha indotto ad acquistare il libro.
La prossima volta di pagine ne leggerò almeno dieci.
Sì, perché l’umorismo che c’era all’inizio ben presto scade in una sgradevole trivialità di bassa lega che lascia ben poco spazio ad una comicità intelligente.
Io non sono per nulla un moralista, anzi, e mi piacciono l’umorismo e il sesso e l’erotismo fatto bene (ora che ci penso non ho mai recensito qualcosa di erotico, dovrò rimediare), e l’utilizzo di termini osceni non mi scandalizza affatto, ma l’uso eccessivo e gratuito di una terminologia volgare in situazioni surreali ed eccessive mi ha dato non poco fastidio. Può sembrare che le prime pagine le abbiano stilate apposta per fregare i fessacchiotti come me, perché questo (pseudo) romanzetto prosegue affondando in una rozzezza di contenuti, oltretutto assurdi, ricca di un lessico sguaiato di quelli che ad una professoressa in pensione verrebbe un colpo sul posto (è per evitare questa spiacevole conseguenza che non ne riporto nemmeno un pezzettino ad esempio).
Nelle intenzioni dei due “giornalisti” che l’hanno portato a termine, dei quali mi rifiuto di scrivere i nomi, oltre che una parodia del libro di Brown il romanzetto avrebbe dovuto essere: A) la canzonatura di un’editoria commerciale che abbassa la qualità a livelli inesistenti; B) la presa in giro degli ambienti di alto rango che infestano le grandi città; C) la denuncia del modo di fare falso e ambiguo della classe politica di cui attualmente siamo preda; D) un sistema per fare un po’ di soldi sfruttando linguaggio scurrile ed episodi sconci (come la scena della signora grassa che per masturbarsi si stantuffa un cinese nel culo – oops… ancora tutte vive le professoresse in pensione?).
Ma il tutto si perde in una trama che non sta né in cielo né in terra malamente imbastardita dal lessico osceno.
Una vera schifezza.
Non solo: non l’hanno nemmeno editato bene, perché vi si incontrano articoli mancanti, cognomi che cambiano da un periodo al successivo e altre amenità del genere. Basta, ne ho parlato anche troppo. E se incontro Paolo Hendel gli sputo in un occhio.
Non lasciatevi infinocchiare anche voi, non lo comperate.
Il Lettore

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